Una storia tra il nero e il comico. Intervista a Christian Frascella
Il titolo, Cadaveri a sonagli, corrisponde a un’immagine ben precisa del nuovo romanzo di Christian Frascella, uscito per Mondadori. È un’immagine intensa, vivida, che penetra e permane nell’immaginazione per tutta la durata della lettura.
Siamo in un paesino dove non accade mai nulla, finché a qualcuno viene l’idea di farlo accadere. Il progetto non è molto ambizioso. Rubare qualche gioiello, un piatto prezioso, un computer, insomma un bottino con cui tirare avanti. Invece, ai due malfattori capita l’imprevisto. C’è qualcuno in casa.
Da allora in poi le cose possono solo degenerare, e non soltanto per i malviventi, ma per tutti i personaggi. Per chi è in casa, per chi se n’è appena andato, per l’amante, per il poliziotto, per il suocero, per chi lo sa, per chi cerca di sfruttare a proprio vantaggio una situazione assurda.
È un domino. Meglio ancora: è l’effetto dello scontro di due placche tettoniche, del prima e del dopo, da cui nascono le colline, quelle colline così caratteristiche, ondeggianti, come una distesa marina. Ciascuna collina disegna l’esistenza di un personaggio creando nell’insieme una vastità armoniosa e coinvolgente.
In occasione dell’uscita del romanzo, con Christian Frascella ci siamo addentrati in alcuni dei temi che si celano dietro Cadaveri a sonagli.
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Come nasce l’idea di Cadaveri a sonagli?
Ho immaginato un paese in un luogo caratteristico. Nel quale non succede quasi mai niente. E ho pensato a quanto un omicidio avrebbe potuto destabilizzare gli equilibri. Nella mente avevo questo marito fedifrago che vuole liberarsi della moglie, e due ladruncoli che entrano nella loro villa quando lui non c'è. Ho scritto le prime scene e il resto del romanzo è venuto giù come una valanga. Nessuno doveva risultare del tutto innocente.
Gianni Romoli, dovesse definirlo, che tipo di uomo è?
Ne esistono a migliaia nelle cronache e in letteratura, per non parlare del cinema: bel fisico, ottima parlantina ma poveri in canna. Cacciatori di dote che sposano donne che non amano con un discreto patrimonio, ma che non riescono a impadronirsene perché le mogli si rivelano molto più furbe di loro. Gianni è così, e nella scena d'apertura che lo riguarda compare mentre è a letto con un’altra donna. Ha acceso una polizza sulla vita della moglie qualche mese prima, e in lui il delitto è maturato come un frutto malato ormai da tempo. Altri sprovveduti gli forniscono quella che sul momento lui ritiene essere la soluzione più scaltra. Ma non sarà così.
Gli assassinii ai tempi moderni devono tenere conto della tecnologia che complica le cose. Quali limiti e quali occasioni si aprono, da questo punto di vista, nella scrittura di un poliziesco?
Credo siano più i limiti che le occasioni. L'idea dei personaggi che si spostano per incontrarsi in un dato luogo per un dato motivo, e nel noir è quasi sempre criminale, può creare molta più tensione di una telefonata tra gli stessi individui. La telefonata non è mai particolarmente caratterizzabile. Però è anche vero che questo è solo il mio caso. Altri autori di thriller usano la tecnologia in modo da avere un ulteriore scatto nel ritmo nella storia. Ma a me non interessa granché.
Tutto accade in un piccolo paese tranquillo. A rigor di logica, ci si aspetterebbe che un omicidio, in seguito a una rapina, susciti spavento, orrore, invece, molti personaggi vivono la situazione come un’occasione, un modo per raggiungere la ribalta, i riflettori. Perché succede questo secondo lei? È una reazione tipica dell’uomo contemporaneo, mediatico?
Consideriamo che sono personaggi di una storia nera che è anche comica in molti punti. Per cui la realtà criminale è condizionata dal carattere con cui ho impostato la storia, e tutti loro ai miei occhi si comportano come stupidi che cercano qualcosa che tanto non possono avere: soldi, successo, libertà. In realtà vivono in un pozzo, nel fondo di un pozzo dal quale non si vede mai la luce. Per continuare a vivere, allora la immaginano. Solo che in molti non continuano a vivere, in molti muoiono. Perché fuori dal pozzo sono diventati anche ciechi e pericolosi.
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Dovesse redigere le cinque regole d’oro per scrivere un poliziesco avvincente e originale, quali sarebbero?
- Leggere molti polizieschi, di tutte le epoche.
- Il fatto criminale è importante, ma non fondamentale: ciò che conta sono i personaggi e i conflitti tra loro.
- Riscrivere i dialoghi fino a che non suonano come quelli della realtà, il romanzo nero è lo specchio della società e in una società sordida i dialoghi non possono essere all'acqua di rose.
- Scalettare per capire quando inserire un colpo di scena. Due colpi di scena ravvicinati sono mortiferi per la storia.
- Diffidare di chi impone regole. In generale.
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Per la prima foto, copyright: Rowan Heuvel su Unsplash.
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