Una serena crudeltà. “Il libro di Katerina” di Auguste Korteau
Il libro di Katerina è il nuovo romanzo di Auguste Korteau, pseudonimo di Petros Chatzopoulos, pubblicato da Nutrimenti nella traduzione di Michela Corvino, e narra le vicende familiari di Katerina Chorianos. La voce narrante usa uno stile lineare e graffiante e il racconto si apre con lo specchietto, quasi una pièce teatrale, dei personaggi principali, e il clima è davvero da tragedia greca – l’autore che demanda alla protagonista l’onere e il godimento della scrittura è appunto di origine greca e attivista lgbt, dato anagrafico di non poco conto all’interno della vicenda. La domanda che ci si pone alla fine della storia è se tutto quello che abbiamo letto sia pura autobiografia, seppur romanzata e raccontata da Katerina, e non dall’autore stesso, che è poi il figlio, Petros: «Mi ha trovata mio figlio. All’alba di un venerdì, cinque giorni prima del suo ventiquattresimo compleanno.»
Il libro racconta la faccia oscura, anche, della Grecia lungo un arco storico che va dagli inizi del 1900 ai primi anni del 2002 e la maestria dell’autore è quella di dare con pochi giusti riferimenti, pure musicali e cinematografici, le coordinate per comprendere una porzione di storia che in fondo non è solo di questa famiglia (greca) e di questo contesto storico, ma si allarga a una visione antropologica, generale. Ci si pone, a un certo punto, di fronte a questo romanzo, con gli stessi occhi di Katerina:
«Sto ancora cercando di capire attraverso questo scritto. Di entrare nell’animo dei responsabili, che altri non sono che coloro che ci hanno allevati.»
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Dunque la scrittura può essere un modo di analizzare e comprendere il proprio vissuto senza essere smaccatamente terapeutica? A quanto pare sì, questo libro lo fa con un tocco a volte minimale, telegrafico e schietto, diaristico, o meglio, “appuntistico” e a volte imbastendo un fraseggio di ampio respiro mai barocco ma sempre complesso, per quanto niente affatto dispersivo. C’è in questo scritto la lucida disamina della follia umana e della sofferenza, poiché è anche la lunga storia della depressione, di una solitudine curata invano con psicofarmaci, laddove, invece, il problema sembra essere il cozzo tra l’assenza genitoriale e, allo stesso tempo, ingombrante cattiveria familiare, e il narcisismo “da difesa” di Katerina. Un serpente che si morde la coda, la depressione, di cui non si riesce a venire a capo: «nemmeno tutti i libri del mondo riescono a sciogliere l’enigma del mio dolore e a consolarmi.»
Nel romanzo di Katerina c’è tanto amore virato nella sua estrema forma di bisogno e mancanza a vessillo delle azioni di tutti i protagonisti, assenza di desiderio che si fa godimento estremo tradotto in abuso di psicofarmaci, alcool, hashish, sesso e amore morboso: «anche nei suoi eccessi non può far male. O forse sì». Figlia di una genitrice gelida, Katerina sarà, invece, la madre castrante di un figlio che l’amerà al punto di diventare scrittore e narrarne la storia. Un cerchio che si richiude, anche come forma, questo piccolo romanzo che riesce a scuotere e far sorridere. In alcuni punti ironico: «quando mi spoglio per entrare nella vasca da bagno temo che lo specchio vada in frantumi per la disperazione», in altri esplicito e distruttivo, a volte velando con pudore la difficoltà estrema di esistere, altre tirando pugni in faccia e nello stomaco di chi legge, calci e carezze: «Questo libro non vuole ferire nessuno, eccetto coloro che lo leggeranno».
Si potrebbe credere che narrare le vicende di una famiglia, dai genitori dei propri genitori al proprio figlio, si trasformi in impresa da miriadi di pagine: così non è e, speditamente, «gli anni passano e così arriviamo al giorno del nostro matrimonio […] è una cerimonia ridicola.» Tasos Chatzopoulos è il marito di Katerina e intorno alla loro relazione la storia evolve ramificata, dal primo incontro da favola alle cattiverie infernali dopo il primo breve idillio matrimoniale. Quanta tristezza e dispiacere questa forma di uomo semplice e bonario che è Tasos, forse la vera vittima nel morboso triangolo edipico che lo vuole quasi escluso dal rapporto della moglie con il figlio: «non siamo più coniugi, ma coinquilini, e anche questo a forza. Il mio coniuge è ormai da molti anni Petros.» Capace di affetto profondo, Katerina a volte diventa spietata, senza volerlo, ovvio, al culmine della malattia: «quando Tasos viene a trovarmi, non lo riconosco […] Tasos piange e io lo consolo: “Non pianga, signore. Non pianga”.»
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L’agilità con cui si legge Il libro di Katerina è tutt’una con la profonda emozione che travolge. La bravura dell’autore, credo, è nel raccontare la propria sofferenza e la propria disperazione dal punto di vista dell’altro materno lasciando aperto, quindi, lo spiraglio per ulteriori possibili racconti, un margine di miglioramento e serenità, nonostante tutto: «sono serena. Quasi felice.»
E poi ci insegna, Petros Chatzopoulos, a tradurre la morte che ci portiamo dentro in un atto creativo. Liberatorio, come ogni atto d’amore.
Per la prima foto, copyright: ActionVance su Unsplash.
Per la terza foto, la fonte è qui.
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