Una mamma alla ricerca della figlia scomparsa. ESTRATTO da “Come il profumo” di Emma Saponaro
Una donna alle prese con un trasloco e con i suoi ricordi. Cecilia, la protagonista di Come il profumo (Castelvecchi), romanzo di Emma Saponaro (in libreria dal 23 novembre), si ritrova alle prese con un trasloco che è l’occasione per lasciarsi alle spalle una vita che sente non appartenerle più e per fare i conti con i suoi ricordi.
Tutto ha inizio nove anni prima quando un incontro con un uomo cambierà la vita di Cecilia donandole la figlia Leila che, però, otto anni dopo scomparirà improvvisamente.
La polizia scoprirà che Leila è stata rapita e che il mandante è un boss della ’ndrangheta calabrese.
Sarà questa scoperta a trasformare la storia in una serie di colpi scene e di verità drammatiche che, in un modo o nell’altro, segneranno la vita dei protagonisti.
Qui di seguito un estratto dalla prima parte del romanzo.
PARTE I
Le note di testa
Bergamotto Limone Mandarino Arancia Pompelmo
e
Artemisia Salvia Rosmarino Lavanda
Ricordi in scatola
Ottanta metri quadri di un piano ammezzato in uno dei quartieri più affascinanti e popolari di Roma. Ottanta metri quadri, testimoni di segreti e confessioni. Ottanta metri quadri di coperta che, fino a un anno prima, mi avevano avvolta nei momenti più freddi e bui.
Li ho calpestati per quasi vent’anni, ma non pensavo che nel giro di pochi mesi mi sarei ritrovata a vivere in quella situazione. Soffocata e quasi incastrata tra gli scatoloni che invadevano le tre stanze, stavo smantellando il mio locale. Scatole già riempite e scatole da riempire, proprio come i ricordi che custodisco gelosamente in un angolo illuminato da una fiammella, e come la strada che avevo deciso di percorrere, lasciando alle spalle la furia cittadina per guadagnarmi bucolici respiri.
I miei pensieri, le mie domande rimaste senza risposta, lo sconvolgimento della mia esistenza; dovevo organizzare il caos. Malgrado il dispiacere per la vendita del locale, mi accorsi che nel riordinare materialmente tutto ciò che quelle pareti racchiudevano, provavo un certo sollievo, e che tutto questo mi aiutava a riflettere su ogni persona, sull’imprevedibilità, ma anche su come ciascuno di noi possa orientare il proprio destino. Riflettevo sulla vita in generale.
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In preda a queste elucubrazioni, continuavo a selezionare gli oggetti; a fatica e con reticenza, ma dovevo assolutamente liberarmi di quelli invadenti, ingombranti e ormai inutili. Riordinare, fare e disfare, selezionare e scegliere. Proprio come l’andamento della mia vita.
Se solo penso a come ero prima, faccio fatica a riconoscermi.
Sono passati giusto dieci anni da quando feci ristrutturare il locale.
Avevo voluto dargli un tocco, una nota di allegria. Dal glaciale e asettico bianco a un colore tenue, pastello, e direi femminile, benché la vanità che può aleggiare in questo posto non sia propria solo delle donne.
I muri vennero tinteggiati di un rosa pallido, tranne la toilette che fu dipinta con un bel rosso ciliegia.
Scelsi le tende in un negozio di tappezzeria a piazza Cavour, rinomato, e a detta di alcune clienti anche chic, il che già bastava a immaginare i prezzi. Tessuti pregiati che potevano permettersi solo gli avvocati che con i loro studi hanno invaso l’intera zona. Ma ormai ero lì, ed era troppo tardi per rinunciare a quella impavida decisione.
Prima di entrare, sbirciai l’interno del negozio attraverso la grande porta di vetro blindato. La mia attenzione fu immediatamente catturata dalla figura di un uomo. Di sicuro era uno dei dipendenti, tutti impeccabilmente eleganti. Ma questo mi colpì in particolar modo per la sua effeminatezza, talmente delicati erano i tratti del suo viso. Entrai, salutai ed ebbi il piacere di osservarlo a distanza ravvicinata. Secondo me non superava i trent’anni. Alto, capelli lisci e setosi nero corvino più lunghi della media, occhi blu cobalto. Fisico atletico che gli permetteva di indossare quell’abito con assoluta disinvoltura, come se fosse abituato a vestire così elegante, o magari era il portamento che gli conferiva una distinzione tra quei manichini di colleghi imbalsamati e ingessati, vestiti tutti uguali.
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Comincio a sospettare che sotto sotto ci sia una fregatura. Non è possibile che un solo uomo incarni così tante doti. La perfezione. Magari ha una brutta voce, oppure. Mi stavo facendo trascinare troppo dalla fantasia. Impulsi che credevo ormai assopiti cominciarono a ondeggiare con ardore, provocandomi anche una leggera pesantezza alla testa. Ma certo, è così. A volte un po’ di frivolezza non guasta, anzi, ci aiuta a riemergere dalla quotidianità, noiosa ma indeclinabile. Beh, allora ben venga il capriccio, lo sfizio, il ghiribizzo, la benevola follia, con il potere di stuzzicare vivacità addormentate, rammentandoci che il mondo animale è diviso in due generi: maschio e femmina. È proprio così: la vanità, troppo spesso biasimata, a volte stimola la gioia di vivere. Ed ecco che torniamo a prendere coscienza del nostro genere di appartenenza, il che equivale a riconoscere che dall’altra parte c’è un genere diverso e distinto ma del quale non possiamo fare a meno: l’Uomo.
Che sciocchi pensieri. Del resto, era già da un pezzo che non avevo il piacere di una compagnia maschile e dunque…
Per la prima foto, copyright: London Scout.
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