Una lunga lettera d’amore. “Il romanzo dell’anno” di Giorgio Biferali
Puntata n. 80 della rubrica La bellezza nascosta
«Le lettere d’amore sono ridicole. Anzi no, chi scrive lettere d’amore è ridicolo, soprattutto oggi che nessuno le scrive più. Chi ha il tempo di prendere carta e penna, di fermarsi a pensare, cominciare una lettera, riscriverla più volte fino a che non viene bene, rileggerla, piegarla, chiuderla in una busta, uscire di casa e andare alla posta, o magari cercare una buca dove infilarla? Le buche rosse, sì, con quelle due fessure in alto dove si infilavano le lettere, a sinistra per la città, a destra per tutte le altre destinazioni. Ti ricordi quanto abbiamo riso quel giorno, quando abbiamo scoperto che sotto casa mia c’era una di quelle buche davanti a una cabina telefonica? Ormai, le ultime lettere d’amore rimaste sono scritte sui muri delle città.»
La scrittrice spagnola Rosa Montero dice: noi scriviamo principalmente contro la morte.
Scrivere, quindi, diventa per tutti, scrittori e non, un tentativo di guadagnare un attimo di immortalità, o, per lo meno, un metodo per non pensare alla morte.
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Ciò che siamo, ciò che diventiamo resta attaccato alla materia del ricordo, e l’atto di prendere una penna o di pigiare i tasti di un computer per raccontare e raccontarci è, prima di ogni cosa, una maniera per restare aggrappati a ciò che è stato. Ma la memoria è fallace, lo stesso avvenimento vissuto in contemporanea da due persone, probabilmente, nel racconto, differirà e non di poco.
Questo accade perché la percezione del mondo e della realtà varia, muta, è in evoluzione continua.
Possiamo però ugualmente decidere di voler raccontare un giorno, un mese o addirittura un anno a qualcuno che quel lasso di tempo non l’ha potuto vivere, non come avrebbe dovuto; e sarà sempre un pezzo di strada visto a seconda della nostra percezione della vita.
Giorgio Biferali è nato a Roma nel 1988, Il romanzo dell’anno è stato pubblicato dalla casa editrice La nave di Teseo.
Nicolò e Livia litigano durante la notte di Capodanno, siamo a Roma. Alla fine della furiosa lite decidono di lasciarsi, Livia fugge via in motorino, scivola e finisce in coma. Nicolò, che ha perduto entrambi i genitori, resta così spezzato in due, resta immobile nell’impotenza di poter cambiare le cose. Un giorno decide di prendere il computer che la madre della ragazza ha lasciato nella stanza di ospedale e di scrivere una lettera a Livia per provare a spiegarle quello che sente. Inizia così a scrivere di tutto quello che gli sta accadendo intorno, di quello che cambia lì fuori.
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Il romanzo dell’anno si apre con un incidente, con un corpo che si danneggia, con due persone che litigano; si apre, quindi, con forza. Giorgio Biferali ci conduce direttamente, sin dalle prime parole, nel centro nevralgico del romanzo, non prende tempo, con dei movimenti netti e precisi ci racconta una storia che può essere quella di tanti e lo fa con il punto di vista che può essere solo quello del fidanzato (ex?) di Livia.
La scrittura di Biferali è molto semplice, precisa, accomodante; il romanzo, l’intero romanzo, è una lettera aperta a Livia, un atto d’amore, anche se Nicolò stesso, durante la narrazione, più volte ci dice che le lettere d’amore sono ridicole.
«Ma quand’eri piccola ti leggeva le storie per farti addormentare meglio? Com’era l’ordine, quindi? Lei cominciava a leggere, poi vedeva che ti eri addormentata, chiudeva il libro, spegneva la luce, poco dopo entrava tuo padre e ti dava un bacio sulla guancia, e faceva tornare il sereno nei tuoi sogni che erano già cominciati da un po’. Oppure no, non ti leggeva nessuna storia, magari ti regalava libri su libri, tu non ne leggevi neanche uno, perché erano libri che sceglieva lei, non che sceglievi tu, e poi si lamentava a scuola che sua figlia a dieci anni ancora non leggeva nulla. Io non lo so, non me l’hai mai raccontato questo, mi sembra di essermi perso qualcosa. Questa storia, però, non te l’avrebbe mai letta. La nostra piccola galassia con te al centro, ferma, con noi che ti giriamo intorno, e chissà se c’è qualcuno tra di noi che sa di essere veramente lì, veramente qui. Le tue amiche guardano tua madre, fanno finta di ascoltarla, ma vorrebbero andare via.»
Questo è un libro che a tratti appare dolce, a tratti duro, altre volte, invece, ci dimentichiamo che la destinataria di questa lettera è in coma, e se ce ne dimentichiamo è perché Biferali è bravo ad avvolgerci e coinvolgerci. I toni intimi e confidenziali delle pagine aiutano poi il lettore nella lettura, mai pesante.
«Forse mi converrebbe chiudere gli occhi. Lo facevo anche dabambino, quando la notte non riuscivo a dormire per i rumoriche venivano da fuori e perché le ombre dei rami sul soffitto mi sembravano delle mani giganti, scheletriche, di chissà chi,pronte a portarmi via. Se chiudo gli occhi siamo uguali, io e te,amore. Solo che se chiudo gli occhi non dormo, continuo a vedere tutto come se fossero ancora aperti, e anche di più. Faccio fatica a dormire, faccio fatica a dormire senza sognare,faccio fatica a dormire senza fare brutti sogni, che poi in fondosono anche meglio della realtà.»
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Forse, alla fine, quella, che nelle intenzioni di Nicolò voleva essere una lettera d’amore, diventa una lettera di vita, di speranza, di ricordi, di cadute e di dolore. Giorgio Biferali non si nasconde, affonda le mani nelle emozioni, nelle sensazioni, e nelle angosce di una separazione su cui non c’è controllo. Separazione, distacco che altro non è che una metafora della vita, dell’illusione effimera che ogni giorno abbiamo di poter controllare noi stessi e quello che accade sotto i nostri occhi.
Per la prima foto, copyright: Annie Spratt su Unsplash.
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