Una dodicenne alle prese con la morte della madre. “Miss Comedy Queen” di Jenny Jägerfeld
La voce di Jenny Jägerfeld mi arriva distante, le domande gliele riporta l’interprete e, nell’attesa tra una risposta e l’altra, ripenso alle emozioni che mi ha lasciato Sasha, il personaggio di Miss Comedy Queen, il nuovo romanzo della psicologa e scrittrice svedese, uscito per DeA Planeta nella traduzione di Gabriella Diverio.
La prima emozione che riaffiora, mentre Jenny mi spiega chi sia Sasha, è una grande tenerezza nei confronti di quella ragazzina dodicenne che ha perso la mamma e ora stila liste di cose da fare per non somigliarle e per sfuggire a ogni possibilità di finire nella morsa della depressione.
Niente capelli lunghi, niente esseri di cui prendersi cura, nessun libro da leggere e, soprattutto, diventare una cabarettista.
Mi rispecchio. Sono figlia e ho figli, e mi rendo conto che il discorso della perdita di qualcuno di caro mi ha toccato diverse volte, anche se non allo stesso modo di Sasha. Mi sono sentita anestetizzata dentro anche io, e, forse se avessi avuto quello stesso lampo di genio di Sasha, le cose sarebbero andate diversamente.
Infatti, per Sasha non è facile accettare la scomparsa della mamma, ma ha un progetto grazie al quale forse riuscirà a portarsi in salvo. Quella lista è una mappa di sette passi che ha tutta l’aria di portare a un tesoro inestimabile, a un se stesso fortificato.
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Lo stile di Miss Comedy Queen è frizzante, ironico, a tratti struggente, travolge come un fiume in piena, porta il lettore in mezzo alle risate e alle lacrime di commozione proprio come la vita reale. La vedi Sasha, a scuola, a casa, nella sua stanza assieme all’amica Marzia che non sa bene che cosa fare e allora fa una cosa essenziale, le sta accanto.
A chi si inspira Sasha?
Sasha non si inspira a persone conosciute, anche se in qualche modo si inspira ai miei figli, a me stessa, alla mia esperienza come psicologa. Lavoro come psicologa da diciassette anni, prima ancora ho lavorato nell’ambito della psichiatria, e ho avuto modo di incontrare molte persone afflitte dalla depressione, che non trovavano più un senso alle loro vite. Per fortuna molte di loro non hanno rischiato il suicidio, anzi i pazienti durante la terapia sono scesi a patti con la vita.
Ho avuto amici però che invece non sono riusciti a scendere a patti con la vita. Un mio vecchio fidanzato è morto suicida, cinque anni fa. Soffriva di una forte depressione e, ultimamente, trovava sempre più difficile vivere, sebbene fosse stato sposato e avesse figli.
Uno dei punti nella lista di Sasha delle cose da fare per non essere come la mamma riguarda la lettura… Se i libri rendono le persone infelici perché contengono a volte storie tristi, lei non leggerà più, anche se è una sua passione…
La lettura è indubbiamente una fonte positiva, un modo per migliorarsi, un aiuto per capire se stessi e il mondo che ci circonda. Leggendo puoi comprendere cose di te che prima non capivi perché la lettura ti dà l’occasione di cogliere un punto di vista diverso. Detto altrimenti, identifichi ciò che sei e ciò che non sei.
Nel romanzo, quando Sasha sostiene che i libri rendono infelici, faccio una battuta. In verità, la mamma di Sasha, sebbene non lo dica, forse ha resistito più a lungo proprio grazie ai libri.
Ridere, per molto tempo, è stato considerato come gesto frivolo. A leggere la storia di Sasha, mi viene da pensare che invece una risata può invece salvarci?
Ci sono occasioni in cui ridere fa sparire le cose negative o ci permette di guardare alla vita con distacco. La vita, e anche un eventuale dolore. La risata dà una tregua, un attimo di sollievo.
È importante poter ridere, ma anche poter parlare di ciò che ci coinvolge dal punto di vista emotivo.
Per Sasha, in effetti, è tutto più semplice quando affronta la vita assieme alla sua amica Marzia che, grazie alla sua empatia, le consente di aprirsi con maggiore facilità.
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Parliamo della solitudine di chi soffre e di chi sta accanto. Certe volte è difficile identificare la depressione e ancor di più contrastarla. Cosa può fare la famiglia per chi ne soffre?
Sasha, per sua fortuna, non è sola. Ha un’amica preziosa, uno zio che la aiuta moltissimo, un padre, una psicologa che la sostengono.
Parlando della depressione in generale, devo dire che non conosco le statistiche in Italia, ma in Svezia il tasso di chi ne soffre è molto alto, e le donne sono in numero maggiore. Anche se gli episodi registrati sono sporadici, magari non più di una o due volte nella vita.
Gli uomini, dal loro canto, soffrono più spesso di altre tipologie di disturbi.
La depressione, una volta identificata in base ai sintomi clinici, può essere superata. Si può uscire da quel dolore lancinante che non passa mai. Non sempre è facile identificare le cause e nemmeno stare accanto a chi ne soffre. Nella quotidianità si finisce per vivere sempre in tre: tu, il partner e la depressione.
Quello che è molto importante è chiedere aiuto, perché uscirne da soli non è affatto semplice.
La famiglia è essenziale nel percorso terapeutico. La prima cosa da fare è quella di sostenere la persona depressa proponendole quelle attività che un tempo gli davano piacere. La famiglia deve munirsi di empatia, di passione e di partecipazione, senza mai lasciare solo chi soffre, e affrontare la terapia (a volte anche con farmaci) rivolgendosi a un medico specialista per salvare la vita del paziente.
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Ha rituali irrinunciabili per scrivere? Predilige un momento particolare della giornata per dedicarsi alla scrittura?
La giornata migliore è quella in cui riesco a lavorare assieme a un mio amico, scrittore anche lui, Carl. Usiamo la tecnica del pomodoro, per cui scriviamo per venticinque minuti, poi una pausa di cinque minuti e ancora altri venticinque minuti di scrittura, e così via. È una tecnica che ti permette di restare concentrato su quello che stai facendo e la pausa imposta non ti distrae dall’idea che avevi in mente.
In sottofondo, ascoltiamo musica strumentale, senza parole perché altrimenti ci distraiamo e, in angoli diversi di uno stesso tavolo, ognuno di noi lavora al proprio progetto, confrontandoci, eventualmente, nelle pause.
Abbiamo trascorso una giornata di questo tipo due sabati fa. L’abbiamo conclusa con una bella passeggiata e un bicchiere di vino.
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Per la prima foto, copyright: Sydney Sims su Unsplash.
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