“Una casa di acqua e cenere” di Kalyan Ray: «Quello che fa nascere le famiglie è il potere dell’amore»
Una casa di acqua e cenere (edito da Nord Editrice nella traduzione di Francesca Totichi), questa sarebbe la risposta se qualcuno mi chiedesse quale sia il romanzo più coinvolgente che abbia letto negli ultimi tempi. L’ho confessato anche a Kalyan Ray, l’autore, quando ho avuto il privilegio di incontrarlo per un’intervista: tra le sue pagine ho trovato la giusta dose di descrizione, dialogo e azione. Kalyan, però, non è bravo solo con la stilografica e il foglio in mano, t’incanta anche quando lo ascolti parlare.
La narrazione del romanzo inizia nei giorni nostri, a New York, ma subito dopo si fa un grande salto temporale e spaziale. 1843. Sligo, Irlanda occidentale. Da dove nasce la scelta dell’Irlanda, e la passione per questo Paese la cui storia dimostra di conoscere molto bene?
Sono nato e cresciuto in una famiglia povera, mediamente povera, diciamo. Avevo una cara amica che prendeva lezioni di inglese con una professoressa irlandese. Un giorno d’estate, molto torrido, mi trovavo a casa di questa amica per partecipare anche io alle lezioni di inglese. Condividere tutta una serie di cose era naturale per noi, incluse le lezioni di inglese. Ci raggiunse l’insegnante e, in cerca di un po’ di freschezza, si era tolta il copricapo lasciando scivolare lungo le spalle una splendida chioma rossa. Ero un bambino, avevo circa sette anni all’epoca, e quella visione mi colpì. Non solo, a un certo punto l’insegnante ci raccontò della sua Irlanda e di come i suoi genitori fossero stati costretti a spostarsi da un posto all’altro in cerca di cibo. Oggi è un cliché che le persone si spostino, migrino, per me bambino fu una sorpresa incredibile. Mi avevano sempre detto che l’Europa fosse ricca; ecco, però, che ritrovavo un’Europa povera, come me. Appena ritornai a casa mi precipitai sul mappamondo in cerca dell’Irlanda. Ci misi un’ora e poi la trovai. La trovai ancor prima dell’Europa, dell’Asia e dell’India stessa. Anni più tardi, ero studente con ottimo profitto, mi fu offerta la possibilità di completare i miei studi negli Stati Uniti. Prima di raggiungere l’America, però, desideravo visitare l’Irlanda. Certo, prima ancora dell’Irlanda, Liverpool, per via dei Beatles. In Irlanda era d’obbligo visitare Dublino e porgere i miei ossequi al grande W. Yeats, per una serie di motivi arrivai fino a Sligo. Seguii i miei obiettivi uno per uno, purtroppo, però, a un certo punto i soldi iniziarono a scarseggiare. I soldi, ma non il tempo. E, allora, come fa uno che si vuol spostare, ma non ha soldi? Cammina. E camminai, da Sligo a Dublino. Nella vita, come in natura, nulla si perde, tutto si trasforma. Anche Padraig Aherne, uno dei personaggi, cammina da Sligo fino a Dublino.
Tra l’altro, la mamma di Padraig, Maire Aherne, è una bellissima donna con splendidi capelli rossi. A proposito di questo, mia moglie, considerando che continuavo a parlare di Maire, divenne gelosa. Mi disse: smettila di parlare di lei, questa donna esiste veramente, nella tua testa.
È una storia che affonda le radici addirittura in frammenti dell’infanzia. Com’è nato il romanzo Una casa d’acqua e di cenere?
È stata la storia a cercarmi. È una benedizione per uno scrittore quando la storia viene a cercarlo.
Vede, nella realtà le informazioni ci arrivano lacunose. Già in questo momento, mentre parliamo, da qualche parte accade qualcosa che ci resterà ignoto. Ricorda che Robert Aherne scopre di avere una sorella? La notizia della nascita della sorella è anche la notizia della sua morte. Questo sa Robert. Il lettore sa bene che le cose non stanno proprio così. Scrivere ti permette di non perdere informazioni della realtà che crei in quanto scrittore. Lo scrittore è onnisciente, sempre, il narratore lo è a discrezione dello scrittore. Così il lettore.
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Mi ha colpito un dettaglio, in particolare, del romanzo: ci sono gli alberi genealogici, fino a sette generazioni passate, di ciascun personaggio. Una tradizione per molti popoli, venuta meno nella società occidentale. Cosa si è perso scordando di annotare i nomi degli avi per tramandarli ai figli?
Non si tratta di una discendenza puramente di sangue, non è questo l’unico elemento che ci rende famiglie. Tuttavia, noi, quelli di oggi, siamo anche i nostri avi. Pensi a Padraig e a Brendan. All’inizio, la loro realtà, il loro mondo è un’isola, anzi una scuola. E il maestro è, in qualche modo, anche loro padre. Si spostano e il loro mondo si allarga e i discendenti saranno il connubio del piccolo mondo iniziale e di quello allargato.
Dicevo prima che non è solo il sangue a creare le famiglie. Quello che fa nascere le famiglie, in verità, è il potere dell’amore.
C’è un bel racconto nella tradizione sanscrita che parla del kasti, una pietra nera che, in sé, è priva di valore, ma, se graffiata dall’oro, il contatto lascia una scia gialla. Si dice che il cuore degli uomini sia nero, nero come il kasti.
Il titolo originale del romanzo è No Country, seppur ciascun personaggio pare sia alla ricerca del proprio luogo, del Paese. Quanto è importante il luogo?
Consideri che sui passaporti i dati che vengono indicati sono la data di nascita e il luogo. Non vi è traccia del nome dei genitori, per esempio. Il luogo ti dice chi sei.
La storia ci insegna che i popoli hanno sempre migrato, inizialmente per esplorare, poi per colonizzare e, in seguito, si sono verificate migrazioni di interi popoli. Nel romanzo parlo di una certa ragazza, la prima fidanzata di Robert, divenuta attrice. Una ragazza che decide di scappare e reinventarsi la storia personale, raccontando di esser nata in Australia da genitori inglesi. Il costo di questa nuova identità? Sua sorella si ammala gravemente e lei non può fare nulla, se non svelando in pubblico la grande menzogna.
Le riflessioni attorno agli anglo-indiani mi hanno molto colpita, sentirsi né carne né pesce e al contempo sia una sia l’altro, senza una sintesi finale…
Di questo aveva parlato già Yeats. In Navigando verso Bisanzio anticipa ogni nostro dubbio sull’argomento. Nessun Paese è abbastanza buono. I Paesi cambiano, si trasformano. Ciò che resta è la cultura, la civiltà. Pensi agli eventi che hanno investito la Francia in questo periodo. Crede davvero che con la violenza si possa distruggere una civiltà? C’è una grandissima armata, ci sono Dante, Yeats, Michelangelo… L’Islam stesso – una altrettanto grande civiltà – non permetterà di essere rappresentata dalla violenza.
C’è una storia di Akbar il Grande e Birbal. Quest’ultimo spesso faceva della satira sul conto del suo sovrano. Akbar ascoltò e apprese l’arte del ridere, corresse i suoi errori traendo ispirazione proprio dalla satira di Birbal. Non per niente lo chiamarono Akbar il Grande.
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