Un uomo alla ricerca delle proprie origini. Intervista ad Adélaïde de Clermont-Tonnerre
Adélaïde de Clermont-Tonnerre sorride quando stiamo per intervistarla. D’altra parte, è Tempo di Libri e le ragioni per sorridere, per una volta, sono superiori a quelle per non farlo. Adélaïde è una scrittrice parigina che, grazie al romanzo L’ultimo di noi (Sperling & Kupfer, traduzione di Margherita Bernardini – qui la recensione di Monica Raffaele Addamo), ha vinto il Gran Prix du roman de l’Académie française, uno dei più prestigiosi premi letterari francesi. Il romanzo è ambientato nella Germania del 1945, devastata da centinaia di bombe, e la New York di fine anni ‘60, la New York di Allen Ginsberg, Jimi Hendrix e Andy Warhol. A collegare i due momenti e i due luoghi ci pensa Werner, che nel ‘45 è un bambino nato sotto le macerie e orfano fin da subito e nel ‘69 è un giovane arrampicatore sociale a cui le donne non sanno resistere.
Com’è stato vestire i panni di un uomo?
Tutte le donne si sono chieste almeno una volta nella vita che cosa vuol dire essere uomo. Questo è proprio quello che ho fatto. È stato divertente vestire i panni di un uomo: immaginarmi come un uomo agisca. È stata un’esperienza interessante. Così all’inizio Werner pare antipatico ed egocentrico, ma piano piano ho scoperto che c’è bisogno di tempo per conoscerlo perché è un personaggio complesso. Se sembra tanto geloso è perché è stato abbandonato.
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Un romanzo che vede i protagonisti a confronto con le proprie origini…
La nostra vita è un po’ un cerchio: quando siamo piccoli stiamo con i nostri genitori, poi tra i venti e i trent’anni nasce la voglia di emancipazione. Tra i tra i trenta e quaranta, però, arriva l’esigenza di conoscere le nostre origini, riconoscendo loro valore. L’infanzia segna la nostra autodeterminazione. La maggior parte delle nostre scelte nasce dall’infanzia. È quello che succede a Rebecca e Werner che si trovano a dover fare i conti col proprio passato.
Il suo è anche un romanzo che vuole fare i conti con un passato collettivo…
Ho avuto la fortuna che i miei parenti durante la guerra fossero dalla parte giusta, dalla parte della resistenza, ma tutti ci chiediamo: se fossi stato al loro posto, come mi sarei comportato? Il problema è che pensiamo che scelte di questo genere non vadano prese in tempi di pace e prosperità, invece tutti i giorni siamo chiamati a scegliere. Ho scritto questo libro subito dopo la morte di mio nonno, che aveva vissuto la resistenza ma non ne ha mai parlato: gli faceva troppo male. Ho messo in scena la sofferenza che causa l’assenza di comunicazione raccontando la famiglia altolocata di Rebecca, la donna di cui Werner si innamora, in cui il dialogo è assente. Credo che il dialogo in famiglia sia fondamentale.
Come si è documentata?
Ho fatto moltissima ricerca perché quando si parla della storia – e ancor più di una storia ancora relativamente recente – bisogna essere precisi. Ho incontrato molte persone, ho letto tanti libri e sono stata aiutata da uno storico che ha ricontrollato quello che ho scritto. Dobbiamo ricordarci che non esiste il bianco e il nero e le persone sono fatte di sfumature. Emblematico è il caso di Wernher von Braun, l’inventore dei missili V2 per il governo nazista, che è riuscito a bypassare i tribunali e si è ritrovato anni dopo a fondare la NASA.
Forse, in discussione, oltre alla Germania sul finire della guerra e la New York degli anni ‘70, c’è anche il nostro presente europeo. Non è così?
Per capire il presente bisogna conoscere il passato. La cosa molto interessante è che in questo momento ci sono molti punti di contatto con gli anni ‘60 e ‘70. Negli anni ‘70 c’era una forsennata ricerca del senso della vita, una grande preoccupazione per la natura, una forte lotta per le uguaglianze. Tutto quello che viviamo oggi nasce in quell’epoca. Per capire cosa viviamo oggi dobbiamo capire l’epoca dei nostri genitori e l’epoca dei genitori dei nostri genitori. Spesso dimentichiamo la fortuna che abbiamo. Nel nostro contesto abbiamo pace, prima dell’Unione europea c’erano continue guerre, ma alle porte dell’Europa c’è ancora la guerra. Volevo scrivere un libro di facile lettura ma capace di dare uno spunto di riflessione. Certo, l’Europa non è come la vorremmo, ma se non ci fosse continuerebbe a esserci anche qui la guerra che c’è in tutto il mondo.
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Un romanzo ambientato tra Germania e Francia che però lascia trapelare fortemente l’origine francese.
Siamo tutti calati nella nostra cultura e nel nostro ambiente. Sono sempre io che scrivo, anche se mi piace scrivere di cose diverse. Come diceva Faulkner, se vuoi veramente essere universale devi essere estremamente locale.
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Per la prima foto, copyright: Jason Wong.
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