Un libro che è un luogo dove nascono e fioriscono i sentimenti
Puntata n. 68 della rubrica La bellezza nascosta
«Pulce, che era piccola ma conteneva tracce di adulto, aveva un debole per i pettegolezzi; avendo sentito i genitori accennare più volte negli ultimi tempi a una misteriosa disavventura della signora Lucia, aveva torchiato la figlia della portinaia e così aveva scoperto che il marito della vicina si era invaghito della cassiera di un bar ed era scappato con lei in un altro continente. Perciò sapeva bene a cos’era dovuta la faccia triste della signora Lucia, e decise di ricorrere alla formula standard con cui la nonna liquidava le disgrazie altrui fingendosi partecipe: sono cose che succedono, signora Lucia.»
Ci incastriamo dentro giorni che non mollano mai la presa. Restiamo avviluppati nelle ore che appaiono scarne, scure, consumate da un affanno che trasciniamo indefessi. C’è una letteratura importante che ci racconta di come fare a mantenere vivo l’interesse per le piccole cose, per i gesti accorti, l’interesse per ciò che è bello. La difficoltà di restare dentro il fascino della bellezza è il risultato di una quotidianità che non lascia scampo. Ritmi frenetici, velocizzati ancora di più dalla tecnologia, e dalla consapevolezza che basta rallentare un attimo per restare tagliati fuori, sì, ma fuori da cosa? I portatori di incanto, nella nostra società, sono i bambini. Sono loro che si fermano a bocca spalancata davanti a un temporale, che restano immobili a vedere la neve che viene giù dal cielo. Sono loro, ed è per loro che la notte di Natale l’albero che scintilla di lucine nel buio diventa una magia.
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Sergio Claudio Perroni è nato a Milano nel 1956, editor, traduttore di molti nomi noti della letteratura straniera (Houellebecq, Ellroy, David Foster Wallace), il romanzo La bambina che somigliava alle cose scomparse è stato pubblicato dalla casa editrice La nave di Teseo. Le illustrazioni sono di Leila Marzocchi.
Pulce è una bambina che, stufa dei genitori, decide di lasciare casa, allontanarsi momentaneamente dal tetto familiare, per sentirsi libera e per sfuggire alla noia di tutti i giorni. In questo suo personale viaggio, si troverà ad avere rapporti con varie persone. Scoprirà, così, di possedere un dono, quello di somigliare alle cose, di poter assumere forme differenti, e questo dono le permetterà di aiutare gli uomini e le donne che incontrerà in questa sua avventura.
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Sergio Claudio Perroni ci mette tra le mani una bimba di sette anni, ce ne parla con grazia e, attraverso le pagine, ci fa percepire la dolcezza forte con cui tratteggia il personaggio della bambina in fuga da casa per esplorare il mondo.
«Era quasi notte, e Pulce girava intorno alla fontana salticchiando nelle pozze di luce disegnate dai lampioni. Era un gioco che le piaceva molto, simile a “campana” ma con in più l’impareggiabile ebbrezza del girare in tondo. Purtroppo non riusciva a giocarci quasi mai, perché dopo il tramonto si usciva da casa solo per missioni eccezionali – visite di cortesia, cene dagli zii – e la mamma era convinta che arrivare sudata e ansimante a casa della gente fosse un po’ in contrasto con l’effetto che cercava di ottenere facendola vestire come una versione anziana della nonna.»
Lo stile di Perroni è asciutto e immediato, percorrendo la storia di Pulce diventiamo anche noi, di volta in volta, una chiave perduta o una donna deceduta che riappare al figlio per l’ultimo saluto. C’è la forte empatia che traspare dalla penna dell’autore, e c’è la meraviglia che esplode dagli occhi di una bimba, e c’è la bellezza smisurata che possiedono tutte le cose che finiscono sotto lo sguardo dei bambini. La bambina che somigliava alle cose scomparse è una favola moderna, questo libro è un luogo, una terra in cui nascono e fioriscono i sentimenti, e dove ogni movimento che compie Sergio Claudio Perroni risulta essenziale e necessario.
«Ancora immersa nelle tenebre, Pulce cominciò a baluginare; i suoi occhi color tatuaggio erano diventati trasparenti, le sue guance erano traslucide, e l’intero viso emanava un alone lattiginoso che si fece sempre più vivido, trasformandosi infine in una fiamma ovale che disperse la nuvola di buio e illuminò la scalinata fino al sagrato della chiesa.»
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Se ognuno di noi si fermasse a sfogliare il ricordo di quando era un bambino potrebbe accorgersi di quanto in fretta abbia deciso di lasciare andare via la verità, di quanto sia stata inutile la rabbia verso il mondo e di che tristezza pesante, ferrosa e ingombrante si trascina dietro senza un vero perché. Pulce è quello che non siamo più capaci di essere, è quello che siamo stati, forse poco, forse fino in fondo, ma che ci è piaciuto; è una bambina luogo, dove le cose preziose tornano a essere ovunque.
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