Un improvviso futuro. “Le affacciate” di Caterina Perali
Le affacciate è il nuovo romanzo di Caterina Perali pubblicato da Neo. edizioni nella collana Dry e recensito qui. Nina, protagonista e voce narrante, licenziata senza un motivo, sprofonda nel baratro di un malessere esistenziale per la vergogna di aver perso il lavoro. Nonostante ciò, continua a fingere, persino con la sua migliore amica e sui social, di non essere disoccupata. Narcisista e incapace di sopportare il fallimento, passa le giornate nel vuoto rancoroso della sua stanza a contare ossessivamente i chiodi di una trave a vista, finché nel condominio non appare la giunonica e irruente Svetlana, migliore amica dell’anziana condomina Adele…
«Anna e i suoi messaggi mi stanno distraendo»: il romanzo fa i conti con la modernità e l’oralità scritta della messaggistica. Come dice Magris, in Mondo, romanzo, è importante tener conto delle nuove forme di comunicazione e lei lo fa, appunto, intrecciando narrazione tradizionale con l’espediente visivo delle nuvolette di WhatsApp dei messaggi tra Nina e la sua amica Anna: ci racconti come è nata questa idea.
Mi interessava meticciare i generi. Mi sono molto divertita a mescolare la narrazione con la messaggistica istantanea che, sebbene sia un elemento disturbatore, a modo suo è pur sempre narrazione. Penso sia diventata parte della vita quotidiana essere interrotti o interrompere qualcuno con un messaggio. Concentrarsi solo su una cosa pare non essere più un lusso.
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«Anna non ha colto la mia richiesta di aiuto. La sua ossessione per i social, le chat, gli aggiornamenti, le notifiche, l’hanno resa gradualmente più vulnerabile, iperattiva e onnipresente. Ogni giorno sempre più connessa.» In brevi ma densi capitoletti che narrano la quotidiana odissea di un io ferito, mostrando la deriva narcisistica dei social e di solitudini iperconnesse, l’autrice si appropria del linguaggio delle chat e dei social senza pregiudizio alcuno: come possono due generi di scrittura così lontani amalgamarsi senza diventare o scrittura di bassa lega o sterile retorica antisocial?
I social ormai ci scorrono nelle vene. Quando non siamo connessi vorremmo esserlo e viceversa. Ma nel dubbio è meglio essere connessi.
Non volevo ci fossero due livelli di scrittura o di contenuto, però ho dovuto rispettare le regole che sottendono i diversi generi. Anche se ora i messaggi di WhatsApp possono essere lunghissimi ho voluto mantenerli rapidi e senza troppa punteggiatura.
Di certo non mi interessava fare una polemica antisocial, semmai fare un elogio alla vita off line, quella dove si sbaglia, si cambia idea, si piange, si soffre, non si può cancellare quello che si è detto.
«Presto saprò quanti morti ha visto Svetlana caderle davanti, quanto odio e ingiustizia le sono schizzati davanti agli occhi.»: come deus ex machina, la serba Svetlana entra in scena e spariglia le carte della vita di Nina e della narrazione: l’ascolto dell’altro, sfondando l’autoreferenza di Nina, ci porta dall’eterno presente della depressione alla storia nella sua crudele vitalità: perché ha deciso di raccontare proprio la tremenda parentesi della guerra dei Balcani?
La guerra dei Balcani è sempre stato un cruccio per me dai tempi dell’università, quando studiavo Lettere a Venezia. La Croazia era attaccata, Sarajevo dall’altra parte dell’Adriatico eppure sembrava tutto così lontano. E poi in quegli anni stavo seguendo dei corsi di Storia del Teatro, e il teatro più necessario che c’era in circolazione sembrava essere quello di guerra, sicché quello di Sarajevo. Quando ho incontrato la mia Serba non mi sembrava vero. L’ho intervistata per mesi e alla fine ho capito che il libro non sarebbe stato su Sarajevo e nemmeno sulla guerra.
«Danni Collateralidi Z. Bauman, ed. Feltrinelli.»: le note traducono termini stranieri, elucidano vite di personaggi scomparsi, rinviano a altri autori, ma non sono semplici riferimenti extratestuali, al contrario: pare che l’autrice cerchi di contenere il sapere della protagonista creando una frattura stupenda: come riesce a fare di Nina un personaggio vivo e autonomo?
Le note che ci sono nel romanzo mi sono servite a non dare freni al linguaggio di Nina. Mi piaceva che i suoi riferimenti culturali, il suo slang, la sua memoria non dovessero essere spiegati o chiariti. Volevo che fosse libera di esprimersi accompagnando però il lettore nel suo mondo. Nina non è un mio alter ego, ma sicuramente una parte di me.
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«La magia della mia convivenza era finita da un pezzo e Lorenzo già se la faceva con la tossica del secondo piano»: gli uomini sono un po’ defilati, in questa coralità tutta al femminile, ma lo sguardo, pur empatico della scrittrice, è obiettivo: secondo lei, chi scrive deve mostrare le sue idee e quindi essere di parte, o lasciare che siano i personaggi a destreggiarsi nelle loro diatribe ideologiche?
Tutti abbiamo più o meno una visione del mondo.
Chi scrive la può seminare tra i personaggi, farla emergere nelle sfumature, in una battuta, in un pulviscolo di suoni, non necessariamente va urlata col megafono. O per lo meno non sempre.
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Per la prima foto, copyright: freestocks su Unsplash.
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