Un amore contro il mondo. “La vita docile” di Maurizio Cucchi
Puntata n. 106 della rubrica La bellezza nascosta
«A Milano, fin dal suo arrivo, Pino aveva incontrato con facilità le simpatie di chiunque, o quasi. Buon parlatore, con un accento siciliano, come sappiamo, quasi impercettibile, e che comunque cercava di smussare; garbato e insieme discretamente... immodesto, risultava simpatico. E forse anche per questo Agnese ne aveva subito diffidato. La vedova dalla quale Pino alloggiava, invece, stravedeva per lui. Certo, un ragazzo così giovane che veniva da lontano per studiare, e per di più al Politecnico di piazza Cavour, non poteva che appartenere a una famiglia come si deve e ben provvista di mezzi. Del resto, quando sua madre si era rivolta per lettera alla signora Magnani, su indicazione di un’amica salita a Milano da anni, era stata così gentile e forbita da persuaderla subito. Così, in giro, nei negozi della zona e con i vicini, la donna non mancava mai di tesserne le lodi, o addirittura di vantarsene.»
Ci sono amori destinati a finire, amori che si accendono e non riescono a trovare poi la giusta legna per continuare a bruciare. Sono amori caduti, amori decaduti, sono amori che forse continuano a durare, anche dopo anni, anche dopo silenzi lunghissimi; perché forse è proprio quell’amore che non si riesce a vivere pienamente, quel legame che si spezza per cause esterne, è proprio quello che non muore mai, che continua a vivere perennemente nella memoria delle due persone, dell’uomo e della donna. E anche se entrambi hanno nuove vite, nuovi compagni, nuovi gesti, anche se posseggono nuovi movimenti e hanno esistenze magari appaganti, resta sempre un piccolo sentiero nei ricordi, una piccola strada che entrambi continuano a percorrere, un luogo in cui c’è una domanda che accade di continuo: che cosa sarebbe accaduto se non ci fossimo divisi?
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Maurizio Cucchi è nato a Milano nel 1945, La vita docile è stato pubblicato da Mondadori.
Due vite, una è quella di Pino, ragazzo che appartiene a un’illustre famiglia siciliana che si trova a Milano per studiare, l’altra è Agnese, una ragazza timida che ha perduto il padre da poco e che lavora come sarta. Due vite che si scontrano e che rimangono incastrate; nasce un amore e da questo amore anche una figlia. Ma il mondo ci mette lo zampino affinché questa relazione naufraghi. È questa la vicenda che ci racconta Cucchi, partendo da alcune fotografie e da una minuta corrispondenza tra i due.
«Agnese, in quel tempo, era una ragazza incerta, soprattutto perché d’improvviso si era trovata nella necessità. La morte di Tommaso, il padre, aveva sconvolto il regolare corso delle cose: la famiglia non avrebbe potuto più contare su nessun sostegno. Anita, la madre, era rimasta vedova a neppure quarant’anni, si dava arie da signora, reclamava una sua nobiltà di origini e nella sostanza era una donna allo sbando, senza arte né parte, e senza l’umiltà né la voglia per ricominciare. Agnese aveva vent’anni, il fratellino Carlo appena dieci. Con una madre incapace di provvedere a loro, ben presto cominciarono a darsi umilmente da fare per sopravvivere. Agnese come piccola sarta, Carlo come garzone nei negozi. Quando Pino era diventato inquilino nello stesso stabile, Agnese sapeva che ben presto avrebbero dovuto sloggiare, non avendo più i mezzi per mantenere una comoda casa borghese, e anche questo la metteva in difficoltà davanti a un ragazzo di ben altra condizione sociale, in quel momento.»
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Maurizio Cucchi ci permette di entrare dentro le esistenze di due ragazzi, due giovani che s’innamorano, due vite che si ritrovano vicine e che si sentono invincibili, invincibili fin quando gli eventi non iniziano a far crollare ciò che sembrava potesse essere saldo. I personaggi somigliano a delle diapositive, sono figure fermate nel tempo e dal tempo, i luoghi appaiono come disegni, tratteggiati da una matita leggera che non usa una mano pesante e rende reali solamente i contorni. La lingua che usa Cucchi è semplice, è una lingua che non ha bisogno di forzature e che è uno strumento, un mezzo per mettere nelle mani del lettore una storia di vita vera, reale, dura.
«Lì sulla ringhiera, al primo piano, i microappartamenti erano pochi e tutti uguali: due sole stanzette, una dentro l’altra, con la camera da letto in fondo. E al centro della ringhiera un monolocale (che allora, ovviamente, nessuno chiamava così) dove in questo caso alloggiava, quanto mai miseramente e un po’ da tutti evitata, la vecchia Angiolina. Gli altri alloggi erano occupati da operai e lavoranti domestiche, come la Gennari, sempre accanto alla finestra a cucire a macchina o a rammendare calze, mentre più vicino all’Andrea c’era una coppia poco in armonia con l’ambiente. Lei, la Flora, era una biondina giovane e fragile, graziosa e raffinata, e lui, il Poldo, uno spilungone magrissimo, commesso dal salumiere Piona e aspirante pittore, il quale menava le mani su quella poverina, che ogni tanto sentivano urlare.»
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Un romanzo che somiglia a una cronaca, in cui il tempo e gli eventi sono scanditi splendidamente dalla sapienza letteraria di Maurizio Cucchi e il fato e il caso diventano protagonisti rendendo gli sforzi umani degli spostamenti a vuoto.
Bisogna inventarsi modi di amare o, talvolta, provare a fingere di non amare più.
Per la prima foto, copyright: Kelly Sikkema su Unsplash.
Per la quarta foto, la fonte è qui.
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