Un’amicizia molto particolare. Intervista Franco Faggiani
Non esistono posti lontani, è il nuovo romanzo di Franco Faggiani pubblicato da Fazi, uscito il 9 luglio. Protagonisti sono l’archeologo Filippo Cavalcanti e Quintino, un giovane ischitano al confino. Tutti e due si troveranno a Bressanone, negli anni del regime fascista, e quelle opere d’arte trafugate dai nazisti che Cavalcanti deve sorvegliare diventeranno per la coppia, motivo per una rocambolesca fuga e l’inizio di una vera e propria amicizia. Ne abbiamo parlato con Franco Faggiani, autore tra i finalisti del Premio Bancarella 2020.
Come è nata l’idea di ambientare la storia del nuovo romanzo durante il periodo del fascismo?
La storia che avevo in mente era proprio diversa; unica cosa in comune era il viaggio nei posti sperduti dell’Appennino. Viaggio che ho fatto davvero, senza una meta precisa e senza mappe o navigatori, ma chiedendo la strada verso sud di paese in paese. In tanti di questi paesi c’erano solo anziani, i cui ricordi, da bar o da panchina in piazza, erano ancora quelli di settant’anni fa, del tipo: “Ti ricordi quando i tedeschi buttarono giù quel partigiano dalla cascata? E quando portarono via tutte le bestie a quella vedova con i tre figli? Poveretta, morirono di stenti”. Memorie ormai remote, storie locali sconosciute dentro il grande vaso contenente la storia della Seconda guerra mondiale. Così ho pensato che le prime erano più coinvolgenti, intime e destinate a svanire con la scomparsa inevitabile di questi anziani. Dunque valeva la pena raccontarle.
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Filippo Cavalcanti, archeologo maturo, Quintino un giovane mandato al confino a Bressanone. Perché la scelta di due personaggi così diversi tra loro per età ed estrazione sociale?
Perché la loro diversità su tutti i fronti avrebbe reso più complicata e probabilmente più incerta e anche divertente la nascita della loro amicizia, che i due, in fondo, non svelano mai del tutto, ognuno resta un po’ sulle sue fino in fondo. “Ma lei è diventato suo amico?” Chiede con curiosità una delle sorelle di Quintino al professore. E lui risponde: “Una specie”. La diversità ha reso più numerosi e vari anche i temi di conversazione e riflessione. Se fossero stati amici da tempo o colleghi, tutto sarebbe stato più noioso.
Spesso nei suoi romanzi torna il tema delle generazioni a confronto, qui come è stato svilupparlo ai tempi del regime fascista?
Il tema delle generazioni a confronto in sostanza è il tema del confronto con me stesso. Io per molti versi sono il professore; per educazione, mentalità dei genitori, rigore nell’osservare regole e principi, distacco dalle cose quotidiane. In passato però stono stato Quintino: caotico, sventato, coraggioso, sognatore, pronto a partire per qualsiasi impresa avventata, capace di inguaiarmi ma anche di cavarmela da solo. Ancora oggi, a volte, mi piglia la Quintinite, vorrei mollare tutto e ripartire, organizzare, ricominciare. Poi la saggezza del professore prevale. Per fortuna, dato che ormai io e Cavalcanti siamo quasi coetanei. I tempi del regime fascista non hanno influito. Io comunque mi sarei comportato come il professore.
Cosa si scatena nell’animo di Cavalcanti quando riceve l’incarico dal regime?
Dolore e delusione, evidentemente, perché oltretutto in questo caso in cui è coinvolto, tra le cose trafugate c’è anche una sua scoperta dal grande significato, il sarcofago de Il bambino che giocava con le nuvole, che è il titolo del romanzo tradotto nella lingua dei Paesi Bassi, dove il libro uscirà all’inizio di gennaio 2021. Il rispetto delle regole per Cavalcanti è più forte del dolore, perciò l’onorabilità del suo comportamento sempre irreprensibile va difeso.
Filippo e Quintino uniscono le forze per compiere una missione. Quel tutelare l’arte può essere l’elemento che li rende più maturi e amici?
Non credo. A renderli più maturi e amici è stato, alla lunga, lo stare insieme, il condividere ricordi, pericoli, imprevisti e avventure. Certo, per il professore salvare le opere d’arte era importante, ma l’idea del viaggio era scattata nella testa di Quintino, che voleva solo tornarsene a casa e aveva fatto furbescamente leva sull’ansia di Cavalcanti. Se al posto delle opere d’arte ci fossero state altre cose, per Quintino sarebbe stato lo stesso. Le opere d’arte sono importanti non tanto per l’inizio della storia quanto per la fine.
Qual è la differenza sul valore delle opere d’arte per Cavalcanti e per i nazisti che le vogliono portare in Germania?
Beh, per Cavalcanti l’arte ha un valore elevato; è, in fondo, l’oggetto del suo lavoro, anzi, della sua passione, alla quale ha dedicato tutto il suo tempo, rinunciando anche all’amore. Per i nazisti è solo un ricco bottino di guerra. Oltre a quadri, tappeti e sculture, depredarono anche intere cantine di vini pregiati, paramenti sacri, lingotti, collezioni di francobolli e quant’altro di prezioso avrebbe potuto essere collezionato o, meglio ancora, venduto, ricavandone molto denaro.
Dal Trentino, in Svizzera, passando per la Toscana, le Marche fino Roma a Ischia. Che ruolo ha il paesaggio molto presente nella narrazione?
Il paesaggio e la natura hanno un ruolo importante non solo perché delineano gli ambienti diversi tra loro che i protagonisti sono costretti ad attraversare, ma costituiscono anche il loro principale rifugio, il posto migliore dove nascondersi. È proprio nei boschi, sulle colline solitarie, nel fondo delle valli che i due quasi-amici fanno i loro incontri. I paesi si spopolavano, allora, e la gente andava a rifugiarsi nei boschi, che dunque diventavano quasi affollati. Ho fatto, prima di iniziare a scrivere, tutto il loro viaggio e il paesaggio è ancora molto coinvolgente, i luoghi sono ancor più selvatici di allora. Io sono nato e ho vissuto a Roma fino ai quattordici anni e quando da ragazzino, in estate, andavo dai nonni in un paesetto di montagna delle Marche, ricordo di aree attraversate molto ben tenute, campi in ordine, staccionate perfette, fienili a cupola, gente con i carri e i buoi… Adesso è tutto molto diverso. Fabbrichette e capannoni per un po’ avevano preso il posto di stalle e fienili, adesso non ci sono più né le une né le altre. Solo ruderi, tracce mattutine di cinghiali e frinire assordante di cicale.
A un certo punto Quintino dice al professore: «Non esistono posti lontani. Ci sono solo posti da raggiungere», oltre a dare il titolo a libro, cosa scatenano nel professore che le ascolta dal ragazzo?
Gli danno la conferma della determinazione e del coraggio di Quintino, gli infondono dunque fiducia. Mi viene in mente la frase che aveva “impressionato” Shizo Kanakuri nel Il guardiano della collina dei ciliegi: «Comincia dall’inizio e vai avanti fino alla fine», tratta da Alice nel paese delle meraviglie. In fondo hanno lo stesso significato, vuol dire che per andare avanti, per raggiungere una meta o un obiettivo, ci vuole semplicità, coerenza, tenacia.
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Chiedo anche a lei, come ho fatto ad altri scrittori, nel caso si facesse un film tratto dal suo romanzo, chi sarebbe adatto per vestire i panni dell’archeologo Cavalcanti e quelli di Quintino?
Non ne ho la minima idea, è troppo presto per immaginare una cosa del genere. Me lo hanno chiesto in passato anche per gli altri mei libri pubblicati con Fazi, che in effetti avrebbero le caratteristiche per essere tradotti sullo schermo, ma non sono riuscito ancora a individuare nemmeno i possibili protagonisti de La manutenzione dei sensi, che è uscito tre anni fa, figuriamoci questo che è uscito il 9 luglio.
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Per la prima foto, copyright: Werner Sevenster su Unsplash.
Per la terza foto, la fonte è qui.
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