“Uccidi il padre” di Sandrone Dazieri: un salto dal noir al thriller
Cercherò di non spoilerare troppo Uccidi il padre, ultima fatica di Sandrone Dazieri, ma qualche riferimento alla trama nella recensione devo pur inserirlo, non credete? Comincerò col dirvi che l’ho divorato in quattro giorni, al lago, il che vi dovrebbe già dare una prima “imbeccata”. Sono 562 pagine, e si corre a buon ritmo perché – man mano che ci si addentra nella vicenda – non si riesce a fare a meno di restarne sospesi, col desiderio di vedere dove ci condurrà il suo autore.
Dazieri abbandona il genere noir e il suo personaggio culto, il Gorilla (protagonista di un celebre film interpretato da Claudio Bisio), per approdare al thriller, con indubitabile perizia. Intervistato da Cristiano Idini, che gli chiede come mai abbia deciso di cimentarsi con questo genere, l’autore risponde: «[…] la storia che avevo in mente era una storia thriller. Fosse stata una storia porno avrei scritto un porno, non mi do limiti».
Lo spunto narrativo dal quale si sviluppa l’intreccio di Uccidi il padre, romanzo edito da Mondadori, è quello di un omicidio in un parco alla periferia di Roma, I pratoni. Un certo Maugeri vaga confuso tra gli alberi, denunciando la scomparsa della moglie e del figlio Luca di sei anni. A poca distanza gli inquirenti trovano il corpo della donna, decapitata. Su un ramo sono appese le scarpe di Luca. I sospetti convergono sul padre, che si scopre essere un violento e che potrebbe essere stato colto da un improvviso raptus. Ma Luca non si trova e il padre non confessa. Che Maugeri lo abbia ucciso e seppellito da qualche parte?
L’omicidio e il presunto occultamento del cadavere del bimbo permettono a Sandrone Dazieri di innestare nel racconto due personaggi di cui non ci dimenticheremo con facilità, tanto bucano la pagina e vengono delineati a tutto tondo. E in effetti lo stesso autore ammette di aver lavorato due anni a strutturarli, a esplorarli e farli interagire prima di calarli in un plot serrato e incalzante. La caratteristica peculiare che accomuna i due personaggi è il fatto che entrambi sono stati in qualche modo “danneggiati” dall’esistenza, marchiati indelebilmente da cicatrici profonde che ne minano il fisico e la psiche. Colomba Caselli è una figura di poliziotto in gonnella: trent’anni, bella e atletica. Il lettore la conosce in un brutto momento: sta cercando di riprendersi da un terribile shock post-traumatico, per il quale ha dovuto prendersi un lungo periodo di congedo. Colomba si è creata una scorza di granito; è sprezzante e in apparenza insensibile, per dissimulare, in un mondo di maschi-avvoltoi (i suoi colleghi), il terribile senso di colpa per aver gestito (non senza errori) un caso complicato, poi sfociato in tragedia. Ma lei è sempre stata una delle migliori e il suo vecchio capo, un certo Rovere, la coinvolge suo malgrado nella questione del bimbo scomparso.
C’è qualcosa che non torna nell’omicidio dei pratoni, e Colomba appare perplessa sulla direzione da prendere. Rovere la mette in contatto con Dante Torre, un consulente di avvocati e inquirenti, esperto di abusi infantili, che agisce sotto copertura. Dante è salito, anni prima, alla ribalta delle cronache con l’appellativo di uomo del silo: è stato rapito ancora bambino, e mentre tutti lo credevano morto è stato allevato rinchiuso in un granaio, senza contatti col mondo esterno che non fossero quelli con “Il Padre”, un sadico e misterioso carceriere che lo ha educato con un rigido e crudele sistema di premi e punizioni. È curioso e molto intrigante, per il lettore, osservare come Colomba e Dante entrino in contatto, come gli eventi li travolgano, ne intreccino le sorti e come una iniziale, reciproca diffidenza, si tramuti pian piano in un sentimento di più intima e reciproca comprensione.
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Dante ha maturato un’esperienza di vita singolare, quasi unica nel suo genere, e questo ne fa un individuo sempre in bilico, sull’orlo della follia. È geniale, pieno di idiosincrasie, di fobie e paranoie. Il suo appartamento è un open space dotato di ampie finestre; da maniacale collezionista Dante vi ha ammassato un archivio di scatoloni dove sono contenuti gli oggetti più disparati. In un’età cruciale a Dante Torre sono stati sottratti gli anni migliori di socializzazione e crescita con i suoi coetanei, di gioco e apprendimento. Dopo essere fuggito dal silo dov’era tenuto prigioniero, Dante ha dovuto recuperare i ricordi, i telefilm, le classifiche dei dischi, i personaggi più famosi, vecchie storie, articoli e aneddoti e ricostruire retrospettivamente la propria esistenza mutila (perché senza ricordi, molti dei quali condivisi, non si può affermare di essere esistiti davvero). Il ventaglio di possibilità offerte da un personaggio così devastato, anche nel corpo (ha una mano deturpata dalle punizioni che si è dovuto infliggere per compiacere il “Padre” disumano, una presenza che ai suoi occhi era tutto, e che spesso assumeva le caratteristiche del divino) è notevole, e Dazieri ha saputo calibrarlo e distribuirlo in una vicenda intricata e complessa, utilizzando differenti registri di scrittura. Godibilissimi i dialoghi, ironici e graffianti, ma anche cinici e disperati. Da par suo Colomba Caselli attrae per la sua determinazione, per quel suo non arrendersi e continuare a rimettere insieme i cocci della sua precaria esistenza, di un ambiente (quello del suo lavoro) che odia in modo viscerale, per i suoi intrallazzi sotterranei, per le meschine quanto orribili figure che lo popolano, per tutta la sofferenza che lo attraversa, ma che riconosce anche essere la sua parte più autentica, la mission per la quale è chiamata, la purezza scintillante del talento e dei nobili ideali che la spingono avanti. Colomba è arruffata e istintuale, è tenace e decisa ma è invasa dai suoi fantasmi e da violente crisi di panico che hanno il potere di paralizzarla per brevi periodi.
Il terzo personaggio che a buon titolo rivendica la scena è quello del “Padre”. Dapprima sembra un incubo del solo Dante, che non è mai stato creduto riguardo alla sua sopravvivenza(gli investigatori archiviarono il suo caso dopo l’incendio che devastò il silo in cui era stato imprigionato e con il suicidio di un contadino, ritenuto il responsabile del suo rapimento). Ma c’erano molti lati oscuri in quella vicenda. E tutti i nodi arrivano al pettine. Il patto narrativo con Dazieri funziona e anche l’iter procedurale ci convince (intricato ma verosimigliante). Il “Padre” affiora dall’ombra e diviene un possibile assassino seriale; non più un Freddy Krueger che popola i nostri sonni più agitati ma un uomo all’apparenza insignificante, che tiene un profilo basso e che potrebbe pure abitarci accanto; un uomo che ha insospettabili legami con una parte marcia della nostra società e si muove in un ambiente claustrofobico, in un percorso che si snoda dalle cupe periferie di Roma alla campagna cremonese, punteggiata di cascine abbandonate, ancora libero di agire secondo il proprio arbitrio e piacere. Colomba, dapprima riottosa e razionale, finisce per farsi travolgere: tante coincidenze all’apparenza casuali sono le fondamenta di verità inoppugnabili e la corsa si fa affannosa, bisogna bruciare “Il Padre” sul tempo!
A questo punto anche noi lettori siamo coinvolti dall’incedere implacabile di Uccidi il padre. Dazieri ci conduce dove vuole, con la disinvoltura di una scrittura diretta ma affilata e chirurgica, in un affascinante gioco di scatole cinesi. C’è tecnica e documentazione in questo romanzo: basterebbe il solo capitolo (di grande impatto emotivo) sulla descrizione, istante per istante, della deflagrazione di una bomba e dei suoi effetti tra le pareti di un ristorante e nei corpi dei suoi avventori per attestarcelo. Non mancano i colpi di scena, tipici del genere, ma non c’è niente di scontato. Il meccanismo ormai trito (se volete, ma sempre rivitalizzato dagli scrittori di innegabile mestiere e talento) è quello di immergerci in un climax di continua scoperta; alziamo coperchi e quello che intravediamo è un paesaggio sempre più vasto, dove gli orrori si moltiplicano: pedofilia e snuff film, armadi che si aprono rigurgitando scheletri e segreti raccapriccianti, logiche perverse di gruppi di potere e di multinazionali. Il confronto col Male, l’inevitabile faccia a faccia (con l’aiuto di Colomba) tra Dante e l’uomo che gli ha rovinato per sempre la vita.
Non mancheranno le citazioni e i luoghi comuni a tanta cultura pop tra gli anni Settanta e Ottanta: dai telefilm di Supercar e Quincey a Zardoz di John Boorman, a L’uomo che cadde sulla terra di Nicolas Roeg (con David Bowie). Non potrete fare a meno di ricondurre le situazioni del romanzo alle perturbanti vicende che hanno condito tanta cronaca italiana che entra ogni giorno nelle nostre case per mezzo della Tv, di internet e dei giornali. È un altro viaggio di andata e ritorno all’Inferno, Uccidi il padre di Sandrone Dazieri. C’è l’adrenalina, certo, ma siamo al buio e non è per niente rassicurante.
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