Tra Medioevo ed Età moderna insieme a Marcello Simoni
Marcello Simoni ritorna in libreria con il nuovo volume di Secretum Saga. Il patto dell’Abate Nero, edito da Newton Compton, tratta di un’avventura storica che ha inizio il 13 marzo 1460 nel Porto di Alghero, dove un mercante ebreo vuole vendere un’informazione preziosa a un agente segreto. Come le foglie di un’edera, le storie dei protagonisti porteranno la vicenda fino nella Firenze dei Medici, tra vie strette e oscure, ma anche tra appassionanti intrighi.
Con uno stile pastoso, alla stregua di un buon vino invecchiato, Simoni racconta la storia di una certa madonna de’ Brancacci, del suo matrimonio con un uomo che nasconde un segreto del quale la moglie intende impossessarsi a ogni costo. E, insieme alla storia della donna, si dispiegano le vite degli altri personaggi in un susseguirsi di eventi che tengono il lettore legato alle pagine.
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In occasione dell’uscita, lo scrittore Marcello Simoni ha svelato qualcosa in più in merito alla stesura del suo ultimo romanzo.
Come nasce Secretum Saga?
Nasce dal desiderio di muovermi in bilico il Medioevo e l’Età Moderna, e pure sui tetti di Firenze nei panni di un ladro. Era da tempo che cercavo l’ambientazione perfetta per una serie di romanzi incentrati sull’avventura e sull’intrigo. Penso di averla trovata.
Vi fu un tempo in cui, sebbene la società cercasse di sedare le pulsioni, bastava poco perché queste avessero la meglio. Anzi, il mondo era a portata di uomo, e anche i delitti potevano avvenire con una certa facilità, o di impeto, se vogliamo. In che misura è d’accordo, specie in riferimento alla vicenda narrata ne Il patto dell’Abate Nero?
Penso che nonostante le avventure di Tigrinus e di Bianca de’ Brancacci si svolgano nel pieno Quattrocento, i loro sentimenti e le loro pulsioni siano le stesse che riscontriamo nell’uomo contemporaneo. Oggi non siamo meno barbari di allora, e non si può certo affermare che col passare dei secoli il genere umano abbia smesso di cedere all’odio, alla violenza e alla cupidigia.
I miei romanzi non parlano di un tempo più “facile” per i criminali, ma semplicemente analizzano la loro natura, spesso versata alla ribellione, e la trasformano in intrattenimento.
Dalle pagine de Il patto dell’Abate Nero emerge una figura di donna fragile, violentabile, ma anche forte, scaltra, lungimirante. È la donna una convivenza di ossimori, a suo avviso?
La donna è l’elemento imprevedibile di una crime story. La sua forza e la sua fragilità si fondono in maniera talmente indissolubile da trasformarla in una figura perfetta per una trama d’intrigo. Non per nulla, Milady de Winter è diventata un personaggio eterno.
Vi è un dettaglio che mi ha molto colpita. Parla del barlume dei ceri che “facevano risaltare la linea virile degli zigomi e il taglio degli occhi. Profumava di salvia e issopo”. Chi guarda il defunto, scorge una bellezza oggettiva che prima non aveva colto. La morte toglie le paure a Bianca, ed ella vede. Ci vuole spiegare meglio chi è Bianca?
Bianca è la ragazza della porta accanto. Bella, intelligente, orgogliosa. Non è una criminale e nemmeno una santa, ma semplicemente una persona risoluta a ottenere ciò che vuole. E come qualsiasi eroe chiamato in causa nella tramna di un romanzo, verrà messa di fronte a una scelta: vivere libera o sottomessa?
L’uomo contemporaneo è l’erede di quello moderno, di conseguenza, di quello medioevale. Di questa eredità, conserva spesso l’animo torbido. Secondo lei, può il romanzo storico, oltre a intrattenerci piacevolmente, smussare i nostri angoli?
Il romanzo storico può aprirci gli occhi su due cose: ciò che siamo stati un tempo e ciò che siamo oggi. Nella maggior parte dei casi, questi due elementi coincidono.
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Quali sono i libri che le hanno lasciato un segno, sia a livello professionale sia personale?
Ce ne sono molti, ma mi limiterò a citare tre titoli:
Pinocchio.
Il Corsaro Nero di Salgari.
Meridiano di sangue di McCarthy.
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