Tomas Tranströmer, ovvero un Premio Nobel scopre la lettura
I ricordi mi guardano di Tomas Tranströmer è il viaggio autobiografico di uno dei poeti svedesi moderni più riconosciuti dalla critica internazionale. Nel 2011, anno del conferimento del Nobel per la Letteratura, Iperborea pubblica queste pagine – la cui prima edizione è datata 1993 con il titolo originale Minnena ser mig – tradotte da Enrico Tiozzo.
In relazione aperta con il mondo, gli affetti, le esperienze sin da bambino, il poeta svedese diventa scrittore di una vita: quella che dalle prime battute del libro sottolinea essere «La mia vita», presentata nel suo lungo evolvere in una sintesi perfetta di immagini condensate.
«Quando penso a queste parole mi vedo davanti una scia di luce. Guardando più da vicino, la scia di luce ha la forma di una cometa, con una testa e una coda. L’estremità più luminosa, la testa, è l’infanzia e l’adolescenza. Il nucleo, la parte più densa, sono quei primissimi anni in cui vengono definiti i tratti fondamentali della nostra esistenza. Cerco di ricordare, cerco di arrivare fino a là. Ma è difficile muoversi in quelle regioni compatte, è pericoloso, mi dà come la sensazione di avvicinarmi alla morte. Poi la cometa si dirada – è la parte più lunga, la coda. Diventa man mano più rarefatta, ma anche più ampia. Ora sono a uno stadio avanzato della coda, ho sessant’anni quando scrivo queste righe.»
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Così, di sensazione in sensazione, Tranströmer compie prima tre, poi cinque, poi sette, poi nove anni. In questo primo periodo di ricordi tocchiamo, attraverso la poesia della sua prosa, una storia familiare lunga due generazioni, la Stoccolma degli anni Trenta, l’emozione della scoperta del museo nazionale di Storia Naturale, nel sobborgo di Frescati, con «quelle volte odorose di ossa dove le balene pendevano dal soffitto», la paura dell’evacuazione dalla città – durante il primo anno di scuola elementare – a causa della guerra, la primavera del 1940 e la curiosità politica di un bambino di nove anni «magro e mingherlino che stava chino sulla carta delle azioni militari pubblicata sui giornali, dove l’offensiva delle divisioni corazzate tedesche era raffigurata con frecce nere. Le frecce penetravano nel cuore della Francia e vivevano come parassiti anche nel nostro corpo di nemici di Hitler. Non mi sono mai più impegnato con tanta passione in politica!»
Ma occorre aspettare due anni ancora prima di veder germogliare in Tomas quello che sarà l’impegno più grande, la passione che lo guiderà verso il ricordo più caro: la lettura. A soli undici anni infatti lo scrittore scopre un «grosso cubo in mezzo al quartiere di Söder»: è la Casa del Cittadino, costruita negli anni Quaranta, che ospitavala biblioteca comunale.
«Passavo in biblioteca quasi ogni giorno. […] Questa era muro a muro con i bagni pubblici. All’entrata si respiravano i vapori delle vasche, l’odore di cloro che penetrava dagli sfiatatoi e si sentivano le voci lontane echeggiare nelle piscine. C’è sempre un’acustica meravigliosa nei bagni pubblici. Il tempio della salute e i libri erano vicini, mi sembrava meraviglioso.
Rimasi fedele alla filiale della Casa del Cittadino per molti anni. La ritenevo chiaramente superiore alla biblioteca centrale di Sveavägen – dove l’ambiente era più pesante e l’aria ferma, senza vapori di cloro, senza eco di voci. L’odore dei libri era diverso lì, faceva venire il mal di testa.»
E così Tomas seleziona letture di saggistica, storia e soprattutto geografia lasciandosi rapire dalle immagini dell’Africa su cui sogna a occhi aperti spedizioni come esploratore della foresta di Ituri o come entomologo alla ricerca di nuove specie di insetti.
I libri diventano il mezzo per conoscere il mondo, scoprirlo, analizzarlo, controllarlo, come fa uno scienziato con la sua materia. Il bambino e l’adolescente si formano sull’attenzione che diviene osservazione matura negli anni adulti. Nei suoi ricordi rileggiamo tutte le scoperte che lo hanno accompagnato nei passaggi iniziatici più importanti della vita, e che il poeta è riuscito a custodire dentro di sé come gli insetti che amava collezionare. Due in particolare sembrano segnarlo: «la prima esperienza della morte» e la scoperta della poesia:
«Una volta, verso la metà degli anni Trenta, sparii in pieno centro di Stoccolma. Io e la mamma eravamo andati ad un concerto della scuola. Nella ressa all’uscita dell’Auditorium persi la mano della mamma e venni trascinato via dalla corrente umana ed essendo così piccolo nessuno se ne accorse. C’era buio fuori nella piazza Hötorget. Rimasi lì defraudato di ogni sicurezza. C’era tanta gente intorno, ma erano tutti presi dalle loro faccende. Non c’era niente cui aggrapparsi. Fu la mia prima esperienza della morte.»
Con la stessa essenzialità Tranströmer guarda al secondo ricordo, quello liceale, della metrica classica come scoperta della “Forma” che innalza la sostanza, pur essa banale, fino al sublime:
«Nel secondo anno di liceo cominciai a scrivere le mie prime poesie moderniste. Al tempo stesso ero attirato dalla poesia antica e quando le lezioni di latino passavano dai testi storici su guerre, senatori, e consoli ai versi di Catullo e Orazio, mi lasciavo volentieri scivolare nel mondo poetico […] Erano i presupposti della poesia. Attraverso la forma (la Forma!) si poteva elevare qualcosa. Le zampette del bruco erano sparite, si aprivano le ali. Non si doveva perdere la speranza!»
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Nasce il poeta di Det vilda torget (La piazza selvaggia), una, delle quattordiciraccolte di poesie la cui prima uscita risale al 1954, quando Tranströmer ha ventitré anni. E sono tutte “meditazioni attive” a partire da questi ricordi.
«Ci si sente sempre più giovani di quanto non si è. Dentro di me porto tutti i miei volti passati come un albero i suoi cerchi. La loro somma sono «io». Lo specchio vede solo il mio ultimo volto, io sento tutti i miei precedenti».
Per la prima foto, copyright: Ben White.
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