Superare il dolore della perdita. “Lettera d’amore allo yeti” di Enrico Macioci
Cercano di superare il dolore della perdita Riccardo e Nicola, rispettivamente padre e figlio, protagonisti dell’intrigante romanzo Lettera d’amore allo yeti di Enrico Macioci, pubblicato da Mondadori. L’adulto e il bambino di nemmeno sei anni si trovano in una sofferta condizione esistenziale perché Lisa, moglie e madre, è uscita dalle loro esistenze, strappata per sempre alla vita. Riccardo e Nicola cercano di arginare quel vuoto che li tormenta da otto mesi trasferendosi al mare, nella casa acquistata poco tempo prima che la giovane donna morisse. Tutto sembra andare bene, c’è relax, pace, divertimento e una crescente curiosità del piccolo Nicola per la misteriosa figura dello yeti, per la quale dimostra una vera e propria ossessione. L’equilibrio, in breve tempo, si rivela fragile e viene destabilizzato dall’improvvisa scomparsa dell’animatrice tanto amata dal piccolo Nicola. La donna è sparita nello stesso punto dove, in anni precedenti, erano scomparse senza spiegazioni apparenti altre persone. Non ci sono indizi certi, se non in alcune fotografie, dove compare uno strano uomo con delle mani enormi che incutono timore solo a vederle.
Sulla scia di queste esigue tracce Riccardo cercherà di capire cosa accade attorno a lui e al piccolo Nicola, il quale ogni volta che passa vicino a un chiosco a forma di limone è come assalito da una strana paura.
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Il romanzo di Macioci è un vero e proprio viaggio nella psiche umana e nella sofferenza che può scatenare la scomparsa di una persona amata. Non a caso il vedovo, nonostante stia cercando di ritrovare un po’ di armonia, è tormentato da un sogno che lo assilla quasi tutte le notti (la moglie è morta proprio nel sonno). Questo fatto non solo sta mettendo in crisi la sua salute, ma rischia di alterare la quiete e l’armonia ritrovate tra lui e il figlio. L’assillante visione onirica che disturba il giovane vedovo è l’evidente segno della sua difficoltà ad accettare la scomparsa improvvisa dell’amata moglie. Nicola, anche se piccolo, ha già capito che la mamma non tornerà mai più e questo dimostra che in lui c’è una profonda maturità. Allo stesso tempo il suo chiodo fisso per lo strano essere dello yeti lo porta a vedere il mostro come una creatura grande e grossa che incute timore ma, allo stesso tempo, quell’omone peloso è segno di bontà e magari di capacità segreta di riportare a casa la sua mamma. Padre e figlio, con questi loro atteggiamenti diversi e allo stesso tempo complici, si sostengono a vicenda nel cammino della vita nella quale purtroppo dovranno accettare il fatto che mancherà un tassello.
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A fiancheggiare iprotagonisti principali ci sono tanti altri personaggi che rendono ricca la trama creata dallo scrittore abruzzese, ed è come se fossero nati per dare forma alle diverse sfaccettature che il carattere umano può assumere. Ad esempio, il piccolo Nicola trova molto simpatico Teodoro Inverno, un energumeno dalla stazza imponente, solitario, a volte scontroso. Il bambino però non si preoccupa di quelle che possono sembrare delle pecche caratteriali e non a caso si ferma ore e ore a parlare con l’omone. Altro personaggio che interagisce con i protagonisti, in particolare con il padre, è Walter il gestore del Long John Silver, il locale dal quale Riccardo osserva il figlio giocare. Walter e Riccardo sono diversi e allo stesso simili, perché accomunati dalla passione per Stevenson e per la filosofia. Poi c’è lei, Ismaela, la giovane e affascinante cameriera del bar che ha qualcosa di profetico nel nome. A mettere un po’ di zizzania sul conto di Teodoro Inverno ci pensa l’anziana signora Lepidi, il tipico esempio di donna ficcanaso e pettegola che dice di sapere delle verità sconvolgenti sul vicino di casa. Queste affermazioni, unite al fatto che Riccardo scopre che tra le persone che sono scomparse prima dell’animatrice c’era un bambino dell’età di Nicola, non fanno altro che scatenare una serie di domande, dubbi e perplessità che spingono l’attenzione e il sospetto verso Teodoro.
Il libro di Enrico Macioci è caratterizzato da un linguaggio scorrevole, in grado di costruire un impianto narrativo avvincente sia dal punto di vista della lettura, molto piacevole e coinvolgente, sia da quello letterario, nel senso che il romanzo affronta temi esistenziali importanti (legami affettivi, il dolore per la morte o la scomparsa di una persona amata, il bisogno di scoprire la verità) nei quali ogni lettore si può identificare. Le pagine di Lettera d’amore allo yeti scorrono via veloci una dopo l’altra perché l’elevato tasso di suspense che le caratterizza induce il lettore a non posare il libro per capire cosa accadrà alla fine. Ci si accorge poi che lo scrittore guida i fruitori dentro a una vicenda dove, oltre ai fatti,importante è mettere sotto la lente dell’indagine i comportamenti e la psicologia, in quanto solo in questo modo si avrà la possibilità di comprendere quanto la mente di un individuo possa essere complessa e imprevedibile.
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Sono dell’idea che il nuovo libro di Macioci fatichi a essere incasellato all’interno di un genere letterario preciso; questo non dev’essere considerato un difetto, anzi è un pregio che evidenzia la capacità autoriale di far convivere generi diversi nello stesso spazio letterario. Tra le pagine troveremo un po’ di giallo, un pizzico di noir, di romanzo piscologico e atmosfere che richiamano, e questo sarà lampante per chi già lo conosce, lo stile di Stephen King.
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In conclusione, in ogni capitolo di questa intensa narrazione si assiste alla costruzione e al consolidamento del tenero rapporto tra un giovane padre vedovo e il figlio orfano di madre. Ma Lettera d’amore allo yeti di Enrico Macioci stupisce anche per l’indagine profonda nelle pieghe, e direi pure nelle piaghe, più oscure dell’animo umano dalle quali prende forma, non sempre in modo consapevole, l’eterna lotta tra il Bene e il Male.
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