Speciale Premio Campiello Giovani 2018 – Intervista a Elettra Solignani
Raccontare l’anoressia non è facile, soprattutto quando la protagonista della tua storia ha quasi la tua stessa età. È questa la sfida che sembra essersi posta Elettra Solignani, finalista del Premio Campiello Giovani 2018, con il racconto intitolato Con i mattoni.
Elettra ha scelto un modo molto particolare per raccontare la storia di E. – la sua protagonista è indicata solo con quest’iniziale – procedendo in ordine alfabetico e facendo scegliere alla giovane E. una parola che riguarda la sua vita per ogni lettera dell’alfabeto. Questo cupo sillabario, come l’ha definito la Giuria del Premio Campiello, è un modo per ricostruire i mesi più tormentati della vita di E. riuscendo però a trovare alla fine la via d’uscita «dal suo labirinto di preoccupazioni e ragionamenti».
È stato il suo professore d’Italiano ad averla spinta a partecipare al Premio Campiello. Cosa può fare un buon insegnante per una giovane come lei?
La peculiarità dell’ambigua posizione che un professore riveste risiede proprio nelle sconfinate possibilità che ha di agire attivamente sui percorsi dei propri alunni.
Un professore può essere un archetipo, un confidente, una figura paterna, ma anche un individuo senza volto che si limita a ripetere parole vuote, un legislatore immune a ogni emotività.
E negli innumerevoli differenti ruoli che il professore può scegliere di incarnare, vi sono altrettante differenti potenzialità.
Forse egli – il professore – è l’unico adulto in grado di vedere veramente lo studente per la persona che è, senza il peso dell’influenza dei pregiudizi famigliari, e sulla base di ciò, è probabilmente il solo capace di elargire i suggerimenti più giusti.
In merito a questo personale caso specifico, posso affermare che il mio professore di italiano – già da un anno destinatario della mia ammirazione e stima – ha creduto in me più di quanto non fossi disposta a farlo io stessa e non credo di aver mai ricevuto in dono qualcosa di più prezioso della sua fiducia.
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L’anno scorso ha studiato per tre mesi all’estero, in Florida. Quanto può essere importante e utile per i giovani fare un’esperienza come questa? Cosa ha riportato con sé in Italia?
Dipende da quanto possa essere importante per il singolo realizzare che i confini del mondo non sono la carta da parati della sua stanza o il cancello in ferro battuto della sua scuola, che tra le persone alle quali bisogna fare attenzione ci siamo anche noi stessi.
Uscire dal proprio nido significa conoscersi, crescere, imparare tutto di nuovo. Imparare a stare da soli, imparare a essere soli.
Considerando la mia personale esperienza, posso affermare che un punto di vista diverso dal solito sul mondo permette di intravedere, di scoprire qualcosa di inimmaginabile. Io ho potuto osservare che non c’è un solo modo di amare e che non ce n’è uno più giusto degli altri. Ho incontrato personaggi inconsueti e notato come l’affetto possa essere dimostrato secondo prassi stravaganti.
A mio parere, questo regala ai più piccoli gesti – anche a quelli così piccoli da passare attraverso la cruna di un ago – un’importanza enorme.
Sul volo di ritorno, stipati nella mia valigia, oltre ai tanti ricordi e a una collezione di avventure, sorrisi e promesse, c’erano tante nuove consapevolezze. Qualcuna piegata ordinatamente, qualcuna aggrovigliata, certe in fila, altre sparse tra i magneti e le cartoline. Era un bagaglio contenente prese di coscienza e una capacità di adattamento cresciuta durante il tragitto.
Il suo racconto, Con i mattoni, narra di una giovane adolescente alle prese con l’anoressia, un tema delicato e di cui si parla spesso. Cosa l’ha convinta a occuparsi di quest’argomento?
Una domanda interessante che un’interessante risposta non ha e di questo, sono molto dispiaciuta.
Al momento di scrivere, mi sono trovata seduta alla mia scrivania, con una penna Bic in mano e un foglio a righe davanti.
Ho iniziato a disegnare, tra riccioli e ghirigori, le lettere dell’alfabeto, una dopo l’altra. Ho guardato per qualche momento la mia colonna di consonanti, vocali e fiori per poi prendere un altro foglio sul quale ho iniziato a scrivere, di getto.
La storia di E. – la mia protagonista – è nata così, senza riflessioni.
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Quali sono, secondo lei, gli errori che si commettono con maggiore frequenza quando si parla di disturbi alimentari? E come invece bisognerebbe farlo?
I commenti e i giudizi elargiti a questo proposito raggiungono spesso l’apogeo delle ingiuste generalizzazioni e dell’irrispettoso cliché.
Personalmente, credo che dietro alla maschera del disturbo alimentare si nascondano insopportabili disagi, angoscianti preoccupazioni, inestinguibili paure. Eppure tanti, troppi, si limitano a scuotere il capo davanti a queste malattie, imputandole all’egocentrismo e alla vanità, senza addirittura considerarle degne della denominazione di “patologie”.
A causa della disinformazione, si rischia di cadere nella semplificazione e di credere che al rifiuto del cibo corrisponda un proporzionale desiderio di avere visibilità, di farsi notare, quando invece al digiuno risponde a volte un bisogno di avere il controllo, a volte la smania di negare una situazione difficile.
I disturbi alimentari sono complessi, sottovalutati, paiono incomprensibili. In merito a essi bisognerebbe esprimersi con rispetto e, nel caso in cui si avesse un conoscente malato, con reale apprensione, agendo di conseguenza.
Ma alla base di ogni valutazione e discorso che vede come protagonisti questi mali è necessario che ci sia una profonda e solida comprensione, perché attraverso l’alimentazione riceviamo la vita e nel momento in cui qualcuno sceglie di respingere il nutrimento, sceglie di rinunciare a vivere.
Lei non ha ancora diciotto anni, quindi è più vicina all’adolescenza di me e di tutti quelli che in genere discutono di anoressia, per cui potrebbe aiutarci a capire di più alcuni aspetti: quali sono le dinamiche che possono spingere un’adolescente a diventare anoressica?
Non ho le competenze adeguate per rispondere con sicurezza a questa domanda.
La credenza comune è che l’anoressia si sviluppi in seguito a una dieta e onestamente credo che questa sia una banalizzazione di enorme portata.
Una dieta è un accorgimento alimentare al fine di perseguire un determinato scopo, non la culla di una malattia. L’anoressia nasconde più che la frivola voglia di dimagrire prima dell’estate: cela paure, difficoltà, disagi.
Nello specifico caso di E., essa si sviluppa parallelamente alla patologica necessità di avere il controllo sulla propria vita durante il periodo di totale cambiamento che è l’adolescenza, quando tutto pare sfuggire alla propria volontà.
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Immagini di trovarsi difronte a una sua amica anoressica. Cosa le direbbe?
Credo che a qualcuno che si nutre prettamente di pensieri e vive costretta in un’aporia di ansie e affanni, le parole non servano.
Non ascoltare i consigli, i suggerimenti che tanto spaventano è facile se si è abituati a non ascoltare il proprio corpo.
Più che cadere in discorsi vuoti, tenterei di farle percepire il mio sostegno senza, però, essere invadente. Le starei vicina, farei in modo di non imbarazzarla con commenti o giudizi inopportuni.
Non proverei a controllare il suo consumo di cibo, ma mi renderei disponibile per mangiare insieme a lei, se questo potesse aiutarla.
Ma onestamente sarebbero così tanti i verbi al condizionale da elencare e i buoni propositi da formulare che nessuna risposta a questa domanda potrebbe risultare completa o soddisfacente.
Semplicemente, mi comporterei da amica e tenterei di fare del mio meglio, contattando qualcuno con più competenze di me in caso di necessità.
“E se la felicità venisse prima dell’essere magri?”
Con i mattoni
Il Premio Campiello Giovani rappresenta per molti aspiranti scrittori la prima prova pubblica. Come sta vivendo queste giornate e come si sta preparando alla serata finale?
Mi posso definire una persona organizzata: mi piace programmare le mie giornate, controllare ciò che posso nel limite del possibile.
Qualche anno fa, mia madre mi ha rivelato un segreto: ciò che è inaspettato e non previsto può rendere felici.
E aveva ragione, le sorprese riempiono di gioia più di quanto non lo facciano le liste di cose da fare.
Non avevo osato sperare di essere selezionata tra i venticinque semifinalisti e quando mi hanno citata tra i finalisti, ho temuto che ci fosse stato un errore. Non c’è stato niente di inaspettato come il Campiello nella mia vita e forse niente mi ha mai donato così tanta soddisfazione e felicità.
La scrittura è la mia più grande passione, solo circondata da parole riesco a sentirmi completa ed essere riconosciuta proprio per questo – per il mio primo racconto, per le mie parole – mi fa sentire bene.
Aspetto la serata finale serenamente, godendomi ogni esperienza ed emozione che questo periodo mi regala, lasciandomi sorprendere.
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