Sopravvivere a orrori e privazioni. “Una storia ungherese” di Margherita Loy
Come tutti gli espatriati, anch'io aguzzo la vista quando da qualche parte vedo scritta la parola che definisce le mie origini, quindi nella fattispecie “ungherese”; figurarsi se è addirittura stampata nel titolo sulla copertina di un libro. Una storia ungherese è un titolo dall'indubbio fascino, anche se la curiosità è immancabilmente accompagnata da perplessità: quanto sarà credibile, autentica, veramente ungherese, questa storia? Dopo poche righe arrivano già due sorprese molto gradite: Kinga, la ventenne protagonista, scrive il suo diario che è la costola del romanzo, in via Attila, ai piedi del quartiere della Fortezza che l'autrice, Margherita Loy, lascia in originale, ossia Vár, e il periodo descritto è l'assedio cinto dall'Armata Rossa intorno alla Budapest occupata dai tedeschi, cioè l'inizio del 1945, e i mesi successivi alla liberazione prima della capitale, poi di tutta l'Ungheria. Il caso ha voluto che il quartiere fosse della mia infanzia e gioventù, e l'arco di tempo è estremamente interessante perché per motivi di opportunità politica non è mai stato elaborato a sufficienza nella letteratura ungherese.
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Kinga è figlia di un pittore friulano e di una magiara discendente della nobiltà di provincia. Anni prima il padre aveva abbandonato lei, sua madre e suo fratello, ed era tornato in Friuli. Per sopravvivere, i tre rimasti a Budapest sono andati a stare per un anno e mezzo dalla nonna materna nella contea di Szabolcs, al confine con l'Ucraina. Entrati in possesso di mezzi finanziari, i tre tornano a Budapest dove presto scoppia la guerra. Il passato e il presente scorrono in parallelo nel diario che Kinga scrive in italiano durante l'avanzata dell'Armata Rossa verso Budapest, l'occupazione della città, e i primi mesi di libertà che vedono i tre trasferirsi in Friuli. Non è una riunificazione della famiglia perché il padre di Kinga non è più in vita, ma la fuga dalla città distrutta e dalle tragedie personali che solo cambiando paese sperano di poter lasciare definitivamente alle spalle. Il primo capitolo si conclude con la sistemazione dei protagonisti, e il secondo capitolo, quasi un prologo per lunghezza e per densità, annoda i fili. Chiude una sorprendente e funzionale postfazione in cui l'autrice, di origine romana, figlia della scrittrice Rosetta Loy, a sua volta scrittrice di libri per l'infanzia e qui agli esordi come romanziera, racconta la genesi del romanzo.
Kinga scrive il diario per sopravvivere agli orrori e alle privazioni che anche i civili sono costretti ad affrontare. Nelle giornate disperate si rifugia nei ricordi dei tempi della dimora di campagna della nonna a Zsurk, dove si era innamorata di un giovane ebreo. Quando non vi è più nutrimento per la bocca si nutre del ricordo della complicità affettuosa con la nonna e dei momenti di una felicità mai conosciuta prima e che vedremo non potrà assaporare mai più. Ho scelto di non svelare null'altro della trama per non compromettere il piacere della lettura, per non rovinare le scoperte che il romanzo ha in serbo per il lettore.
Margherita Loy porta avanti la trama con rigorosa precisione e una scrittura potente resa credibile e convincente dalla ricchezza dei dettagli che rispondono a domande anche molto difficili. Con poche eccezioni noi, lettori dell'Italia odierna, abbiamo avuto l'immensa fortuna di non essere stati toccati da guerre, quindi se non siamo costretti non ci riflettiamo sopra e meno che mai ci immedesimiamo, eppure la pace, la democrazia si apprezzano molto di più se si è consapevoli delle conseguenze del contrario. Una storia ungherese (pubblicato da Edizioni di Atlantide) non è quindi solo un buon romanzo con una bella trama, ma è anche dispensatore di verità storiche da tener presente, oggi più che mai, in Ungheria e altrove.
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Da ungherese ho letto questo libro con un certo stupore dovuto innanzitutto al coraggio di Margherita Loy: di solito la nostra lingua neppure indoeuropea ma ugro-finnica spaventa, e la nostra storia complessa non si presta a facili interpretazioni. Scrivere Una storia ungherese non poteva che essere stata un'impresa davvero ardua e molto impegnativa, che la scrittrice ha assolto bene. Da madrelingua e oriunda della zona di Vàr ho rilevato pochi errori e tutti veniali, che certamente non disturbano né fuorviano il lettore italiano. Quindi non mi rimane che fare i complimenti e ringraziare Margherita Loy per le ore liete trascorse con Una storia ungherese.
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