Solo la memoria storica può salvarci dall’odio. Intervista a Laura Fusconi
È stato pubblicato da Fazi il romanzo d’esordio di Laura Fusconi e si intitola Volo di paglia, come quel qualcosa che l’autrice ci racconta come sopravvissuto nel tempo.
Siamo nel piacentino, in una delle sue valli, poco lontani dalla città ma abbastanza distanti da poterle sfuggire appena arriva l’estate.
La valle, le sue colline e i suoi boschi non sono le uniche cose alle quali si va incontro quando ci si allontana dalla frenesia del mondo moderno. È come se si aprisse un varco e, in qualche modo, si potesse viaggiare nel tempo grazie a chi ha vinto il suo inesorabile passare.
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Ci si ritrova così a vivere due vicende, una lontana, intrisa delle vite di partigiani e dei postumi della grande guerra, e una recente, fresca, giovane, carica dei tormenti tipici di un’età pura. E in mezzo a loro passa un filo rosso che cuce entrambe in modo armonico, fino a unirle in un’unica storia.
In occasione dell’uscita del romanzo, Laura Fusconi ha svelato ulteriori dettagli che si celano dietro la stesura di Volo di paglia.
Piacenza, anzi le sue valli, sono ben note per le storie di partigiani, di resistenza, di rastrellamenti e di fascisti. La storia di Lia, di Camillo, trae forse ispirazione, appunto, dalla grande Storia delle valli?
È vero: Piacenza, per la sua posizione geografica, ha sofferto in modo particolare durante la guerra di Liberazione. Anche il minuscolo paese di Verdeto, sulle prime colline, fu teatro delle lotte tra partigiani e fascisti, che tendevano agguati notturni e picchiavano chiunque si opponesse a loro. In Volo di paglia i miei personaggi si collocano verosimilmente in questo contesto: ho cercato di rendere l’atmosfera della Storia partendo dalle storie piccole. Penso che la narrativa possa rendere più viva la Storia.
L’odio, esattamente come la sua controparte, l’amore, ha le medesime capacità di sopravvivenza nel tempo? In che modo si può spezzare il ritorno della storia, ma soprattutto dell’odio?
Credo che insistere sulla memoria sia necessario per evitare di ripetere gli stessi gli errori: soprattutto oggi, la memoria del passato dovrebbe essere interiorizzata e fatta propria da ciascuno, in modo da costituire la base del presente. Per evitare che l’odio si riproponga penso che si debba mantenere altissimo il livello di attenzione e consapevolezza: ricordare e comprendere ciò che ci ha preceduto è il modo migliore per anticipare il futuro e fare le scelte giuste nel presente.
L’amore persiste in modo più sotterraneo, ma mi pare che abbia più forza, che alla fine, in qualche modo, riesca a prevalere.
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La natura e le sue allegorie sono molto presenti nel romanzo, è più di un elemento di contorno. La si sente, la si percepisce. Si tratta di una sua passione?
Ho trascorso tutte le estati della mia infanzia in campagna, nei luoghi di Volo di paglia: correvo su e giù per la Stradina, mi lanciavo giù dai balloni nel fienile della Valle, mi nascondevo nei boschi quando i miei genitori mi sgridavano. Ho imparato allora a distinguere le foglie degli alberi e a riconoscere il verso dell’assiolo, la sera. La natura era un rifugio straordinario e al tempo stesso qualcosa di terribile e inevitabile: i tramonti con il sole che spariva dietro al castello di Boffalora mi facevano sentire grande, i fulmini che rompevano i tetti mi facevano sentire minuscola. E c’erano i cieli dopo i temporali, la pentola di monete alla fine degli arcobaleni, i ricci investiti in mezzo alla strada, gli uccellini caduti dal nido e mangiati dai gatti.
In Volo di paglia il paesaggio collega il passato al presente: il male che negli anni Quaranta era stato compiuto a Verdeto sopravvive nella vallata. I luoghi diventano custodi e testimoni della storia.
Un gioco di incastri, di tempi passati e presenti, distanti eppure vicini, speculari, se vogliamo. Come mai ha scelto questo modo per raccontare la storia?
È stato un processo del tutto naturale. Sono cresciuta con tante storie, diverse ogni volta che venivano raccontate: con gli anni si sono sedimentate assieme ai ricordi, ai luoghi, alle voci di tante persone. Nel romanzo volevo indagare gli strani meccanismi per cui il presente si lega passato ed è da esso determinato: due bambini che, negli anni Novanta, giocano in una vecchia casa in rovina si ritrovano, inizialmente senza saperlo, a ripetere i giochi e a rivivere i dolori di chi, tra quelle mura, era stato bambino cinquant’anni prima. Tutti i personaggi di Volo di paglia hanno qualcosa del proprio passato che non riescono ad affrontare, a volte nemmeno a definire. Il “non detto” scava, si allarga, impregna i luoghi a distanza di anni. L’idea di fondo è che il passato non può essere archiviato, soprattutto se implica dolore: l’unica via è affrontare onestamente ciò che rimane di irrisolto.
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Ha incontrato difficoltà a calarsi nel lontano ‘43 e ripescare la grande Storia per poi cucirla nella vita dei personaggi?
È stato molto stimolante. Oltre all’interesse che provo per gli anni del fascismo, mi affascina la forza con cui la gente ha saputo reagire. Per scriverne in Volo di paglia mi sono affidata alle testimonianze di chi il fascismo l’ha vissuto sulla pelle, aiutandomi poi con documenti e testi. Ho riletto Pavese e Fenoglio, mi sono addormentata con la luce accesa e fotografie d’epoca sparse per terra. L’immaginazione ha fatto il resto.
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