Siamo una comunità di consumatori?
Siamo considerati una comunità di consumatori? A quanto pare sì. In Italia si continua a confondere la necessità di servizi con l’urgenza della spesa privata.
La concessione del bonus bebé, degli ottanta euro, dei quaranta agli immigrati, sono la testimonianza di una cultura dell’accoglienza che verte sulla spesa, non sull’erogazione di servizi.
In un Paese che tentenna, blatera e biascica, il Governo decide di riavviare l’economia offrendo denaro manco fossimo un popolo di questuanti. Al contrario, andando in giro per lo Stivale troviamo voglia di lavorare, non di spendere, di sentirsi una comunità Paese, produttiva, intelligente, solidale, perfino egualitaria. Ogni territorio italiano piange di fronte alla disoccupazione crescente, al dramma dell’assenza di prospettiva occupazionale, non finanziaria.
Mentre Roma continua a dilapidare il patrimonio pubblico a danno delle autonomia locali, privandole di identità nel tentativo di ritocco del Titolo V della Costituzione, l’Italia che dovrebbe essere una rete diventa una resa, una resa dei conti tra Stato e Regioni. E noi siamo chiamati a compensare con qualche briciola i tagli agli stipendi, il massacro contrattuale e la negazione delle culture locali a vantaggio di un culto del denaro che monetizza perfino la nostra stessa vita.
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Cosa sono, infatti, questi regalucci se non la rivelazione della divinità del denaro? Poi però la realtà va da un’altra parte, non spende, si chiude nell’incertezza e vive di quel che ha: nella lunga depressione della crisi, ma di una crisi che viene da lontano. La risposta è la mancata spesa, la tesaurizzazione dei pochi euro ottenuti, la ricerca di senso in una vita insensata, paragonabile a un limbo imperituro, al travaglio di Sisifo, al racconto di un tunnel mai scavato perché mai imboccato davvero.
Il racconto triste della crisi non può ricevere, come risposta, una manciata di spiccioli, ma una prospettiva concreta di speranza. Senza di essa non siamo più nulla e non ci resta che osservare l’affondamento continuo del nostro vascello piagnucoloso. Dove sono i piani industriali? Le priorità produttive? Le certezze occupazionali? Dove sono finiti i valori della sussidiarietà, del lavoro, della vita soggettiva? Si perdono e si confondono nel primato del denaro.
Siamo in vendita, la nostra patente di cittadini è in vendita. O in svendita, che è uguale quando c’è crisi. Sottocosto comprano il nostro vivere insieme e ci riducono a una comunità di consumatori. Così non va bene.
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Commenti
Riflessione interessante, che fa riflettere su come questa individualizzante spinta al consumo non sia altro che l'ennesima rappresentazione di un sistema Stato votato al capitale.
:)
Uno Stato che abdica, nel conflitto tra Capitale e Lavoro. :)
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