Sesso, droga e rock and roll. “Blu quasi trasparente” di Ryū Murakami
Un libro non facile, straniante, questo Blu quasi trasparente di Ryū Murakami, pubblicato da Atmosphere libri nella collana Asiasphere e tradotto dal giapponese da Bruno Forzan.
Questo autore giapponese, poco conosciuto e, soprattutto, poco tradotto in Italia (altri titoli che possiamo trovare sono 69.Sixty-ninedel 1987, Tokyo decadence del 1988 e Tokyo soup del 1997), pur avendo vinto diversi premi letterari nel suo paese, non ha alcuna parentela con il ben diverso Haruki Murakami con cui ha, però, in comune l’utilizzo della musica come parte integrante delle sue storie. Ryū ha fatto parte di diverse rock band e il suo amore per questo genere musicale appare chiaro in ciò che scrive. Scrittore, sceneggiatore, regista, si è cimentato anche nella conduzione di programmi televisivi nonché nella produzione e distribuzione di e-book.
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Autore cult per i giovani giapponesi negli anni delle sue prime pubblicazioni, ovvero gli anni Settanta (ha venduto più di tre milioni e mezzo di copie), leggerlo adesso, che ormai siamo abituati a leggere di tutto, può risultare un’esperienza meno forte. Eppure, quella sensazione di sporcizia (dentro e fuori), di disperazione e solitudine mi si è attaccata addosso. È una lettura che consiglio? Sì e no. No, perché ci vuole uno stomaco forte per sopportare tanta desolazione. Sì, perché i libri servono a questo: trasportare in un mondo “altro”, anche lontanissimo dalla propria realtà, per fartelo vivere senza subirne le conseguenze.
Certo, per apprezzare questo romanzo lo dobbiamo contestualizzare. E in questo ci aiuta l’ottima postfazione di Bruno Forzan (che consiglio di leggere prima, non dopo).
«Quello scenario tracciato a grandi tinte come tanti murales di artisti di strada rivela invece con estrema efficacia il disagio e il vuoto creatosi tra le giovani generazioni nella società giapponese di quel periodo.»
La trama di questo libro, in modo molto semplicistico, potrebbe essere riassunta con le parole usate nel titolo (ovvero: sesso, droga e rock and roll). Perché questo ci racconta Blu quasi trasparente di Ryū Murakami: la vita di alcuni giovani sempre sotto l’effetto di droghe, che fanno sesso anche estremo e disperato, con un sottofondo musicale altrettanto disperato.
Ma dobbiamo andare oltre la trama e leggere tra le righe l’angoscia di una generazione lasciata allo sbando, abbandonata a se stessa, lontana da casa, in senso fisico ma, soprattutto, figurato.
Durante la lettura ho avuto bisogno – lo confesso – di distaccarmi da tutto ciò che stavo leggendo, da quella disperazione. E sono riuscita a trovare quel distacco concentrandomi sulla colonna sonora del romanzo. Ryū, Kei, Yoshiyama e tutti gli altri, infatti, in questa loro desolazione, tengono sempre un disco che suona in sottofondo: i Doors, i Rolling Stones, Billie Holiday… ecco, soprattutto Billie Holiday mi ha colpito.
«Stava per tirare fuori il disco dalla copertina, dove c’è una foto di Billie Holiday che sembra un fantasma.»
Murakami sta parlando del brano Left Alone. Canzone struggente e dalla storia anche molto interessante: scritta da Lady Day e dal pianista Mal Waldron, non fu mai registrata dalla cantante (Qui potete vedere una sua esibizione del 1957).
I’m left alone, all alone / There’s no house that I can call my home (Io sono rimasto solo, solo / Non c’è nessuna casa che posso chiamare casa mia).
Da qui all’omonima canzone dei blink-182 il passo è breve:
Left alone, we’re only halfway home / Sink like stones, fall into the unknown / Break me down, I’m not afraid of you / Pull me under, slowly drown / I never wanted to / Left alone to wonder (Lasciati soli, siamo solo a metà strada da casa / Colare a picco come pietre, precipitare nell'ignoto / Buttami giù, non ho paura di te / Spingimi giù, affogando lentamente / Non ho mai voluto / Lasciati soli a meravigliarci).
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Parole che incarnano del tutto la sensazione che pervade Blu quasi trasparente di Ryū Murakami, che raggiunge il suo apice nel confronto tra Ryū e Lily, verso la morte o l’amore assoluto… chissà.
Per la prima foto, copyright: Hector Bermudez su Unsplash.
Per la terza foto, la fonte è qui.
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