Sentire il mondo e provarne fastidio. Intervista a Claudia De Lillo alias Elasti
È un frammento di vita quello raccontato da Claudia De Lillo alias Elasti nel suo ultimo romanzo uscito per Mondadori. Nina sente s’intitola. Sente, come sinonimo di udire. Nina sente soprattutto le conversazioni dei suoi clienti che scarrozza in giro per Milano sul sedile posteriore dell’auto, il più delle volte in seguito a una chiamata partita dalla reception di Banca Sempre. Sente, come sinonimo di percezione olfattiva. Ha un disturbo Nina. O il mondo disturba Nina – una sottile questione di prospettive – attraverso i suoi odori che quasi le permettono di intuire il futuro prossimo. Cuoio e borotalco, ylang-ylang, tabacco. Prima ancora di incontrarli, Nina sa chi si avvicina e, certe volte, chi ha appena lasciato un posto.
E in mezzo a tutto questo, ci sono esistenze che s’intrecciano, si allontanano, si sfiorano, e altre ancora che giocano machiavelliche con i numeri, con le parole, con gli altri dando vita a un mondo – pieno di odori – che vortica intorno a Nina.
In occasione dell’uscita del romanzo, Claudia De Lillo ci ha svelato qualcosa in più in merito alla storia di Nina.
Nina, per tutti, Antonia, per la madre, chiusa nell’abitacolo della macchina appare come un confessore, una sacerdotessa moderna. Chi è Nina, in verità?
Nina, come tutti noi, è moltissime cose: una figlia, una sorella, una madre, un’amica, una ex compagna, una lavoratrice precaria, una donna che si è persa e sta cercando di ritrovarsi. Inciampa nelle cose e si trova invischiata in un mondo a cui non appartiene. Fa un sacco di errori, Nina. E forse è questo il suo lato migliore.
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Fare l’autista non è lavoro da donna: a pensarlo, è soprattutto un personaggio. Il mondo del lavoro è ancora diviso in due parti, secondo lei, oppure è un pensiero dovuto all’eccessiva preoccupazione del fratello di Nina?
Il mondo del lavoro è di certo ancora diviso per quanto riguarda i salari che per le donne rimangono ancora inferiori a quelli dei colleghi uomini. E questo, a mio parere, è l’aspetto più grave. Ci sono purtroppo ancora lavori “di genere” e questo non fa bene né alle donne né agli uomini. Quello che però esiste, al di là del genere, è la divisione, sempre più netta, tra lavori di serie A, ben pagati, tutelati, garantiti, e lavori di serie B, tra cui ci sono tutti quelli della cosiddetta gig economy, l’economia dei lavoretti. Il lavoro di Nina, autista di Uber, appartiene a questa seconda categoria in cui mancano regole e diritti. E questo, in una società evoluta, è intollerabile tanto quanto la disparità di genere.
Dice: «A Benedetta qualcuno aveva impedito di seguire i propri sogni. Nina invece era l’artefice del proprio fallimento». Che ruolo gioca avere qualcuno da incolpare nell’ottica di una più facile accettazione delle proprie sconfitte?
Avere un capro espiatorio è un alibi formidabile. Inoltre sacrificio a favore di qualcuno (della famiglia nel caso di Benedetta), in una società ancora molto cattolica come la nostra, è considerato una giusta causa per abdicare ai propri sogni. Quando invece non è possibile incolpare altri dei nostril fallimenti, occorre prendersi la piena responsabilità del nostro destino. E bisogna avere molto più coraggio.
Su Banca Sempre alleggia la presenza dei Cinesi, anzi la minaccia. Una storia pazzesca, dice il fratello di Nina, e chiede: «Ti immagini se i cinesi prendono pure le nostre banche?» Cosa ne pensa di questa minaccia?
Penso che non sia una minaccia. Non credo nella difesa dell’italianità né da un punto di vista etnico né da quello economico. In un mondo sempre più piccolo e interconnesso i movimenti delle persone ma anche dei capitali sono inevitabili e spesso portatori di nuova linfa. Non bisogna averne paura.
I banchieri cinesi, nel libro, si rivelano ben più trasparenti di quelli italiani.
«Sono anni che sostengo che la famiglia tradizionale è da rottamare», afferma Ada, vicina e amica di Nina. In che misura è d’accordo con Ada?
Io, per me, sognavo la famiglia tradizionale, forse perché da piccola non l’ho avuta. Sono sposata e ho tre figli. Potrei essere uno spot per il family day, ahimè. Sono felice delle mie scelte e se tornassi indietro rifarei tutto uguale. Eppure sono convinta che la famiglia tradizionale sia una delle tante forme possibili di famiglia. Credo che non esista una famiglia che funzioni. Ogni forma di famiglia è da rottamare o da prendere ad esempio, a seconda di chi ne fa parte. Prima delle famiglie ci sono solo persone che scelgono. E se scelgono bene la famiglia sarà quella giusta.
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C’è un momento in cui Benedetta si rimpicciolisce, diventa fragile, da madre diventa indifesa quasi quanto un figlio. Per Nina è un’immagine forte che la colpisce. Viviamo forse l’illusione che i nostri genitori siano la proiezione che abbiamo avuto di loro nell’infanzia finché la realtà non ci costringe a ridimensionarci, a ricrederci? Come vede lei l’intricato rapporto tra genitori e figli-adulti?
È un rapporto difficile che bisogna imparare a gestire e non sempre ci si riesce. Quanto più i nostri genitori sono stati solidi quando eravamo piccoli, tanto più è difficile fare i conti con la loro fragilità. Crescere significa anche questo purtroppo. La sensazione, a un certo punto della vita, di essere in prima linea, è terrificante ma occorre abituarcisi.
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Per la prima foto, copyright: Andraz Lazic.
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