Scrittura creativa – Il punto di vista
Bentrovati. Il nostro appuntamento settimanale con la scrittura creativa ha oggi per tema il punto di vista. Le nostre ultime due chiacchierate hanno esplorato le modalità della voce in narratologia; questa volta cercheremo, invece, di porre attenzione alla differenza che corre tra voce e punto di vista.
Per chiarirvi meglio la faccenda vi invito a immaginare il punto di vista ricorrendo a una metafora cinematografica: il punto di vista equivale all’occhio della cinepresa. Che poi, in altre parole, è in effetti lo strumento che il regista utilizza per esprimere il suo peculiare “punto di vista”. C’è un bel film di Wim Wenders, Il cielo sopra Berlino (1987), che vi consiglio vivamente di vedere perché (è uno dei miei film cult!) ben si presta al discorso che sto per farvi. Nei minuti iniziali della pellicola la macchina da presa, in un bianco e nero espressionista, ci offre una panoramica aerea della città; si sposta con lentezza dal cielo e si insinua, in basso, tra le vie affollate di gente. Un bimbo, da un autobus, guarda in su e scorge qualcosa. La cinepresa fa una carrellata sui passanti e ascoltiamo i loro pensieri, ovvero delle voci “fuori campo” che esprimono i loro pensieri. È il punto di vista di un angelo, Damiel, impersonato nel film da Bruno Ganz. La cinepresa poi si sposta (è l’angelo che torna a volare: è come se vedessimo con i suoi occhi): un aereo sorvola Berlino, diretto all’aeroporto; all’interno della fusoliera si restringe il campo; osserviamo alcuni tra i passeggeri, poi ci si focalizza su Peter Falk. Anche di Peter Falk ascoltiamo i pensieri. Non possiamo confondere il punto di vista (dell’angelo) con la voce (di Peter Falk).
Qualcosa di simile accade anche nei romanzi e nei racconti, ma con il ricorso a espedienti e tecniche diverse, dovute alle diverse caratteristiche del mezzo (vale a dire l’uso esclusivo della lingua in narrativa contrapposto, nel film, all’utilizzo della lingua più le immagini).
Se dico:
a) Fuori pioveva a dirotto.
b) Peter Parker vide dalla finestra del suo appartamento nel Queens che fuori pioveva a dirotto.
La voce è la stessa, ma il punto di vista è diverso. In entrambe le frasi la voce appartiene a un narratore esterno. Nel caso a) sembra non ci sia un preciso punto di vista; in questo caso si può dire convenzionalmente che si tratta del punto di vista del nostro narratore esterno alla vicenda che viene raccontata. Si tratta di un narratore onnisciente (sa tutto dei personaggi e dei fatti che racconta)? Se è così potremmo anche farlo coincidere con l’autore reale. O è, piuttosto, un autore implicito (per esempio Nathan Zuckerman, in Pastorale americana di Philip Roth, Einaudi, 1997), come già ne scrissi. Se volete familiarizzarvi meglio con i termini di autore reale e implicito vi consiglio di andare a rispolverare quel che dico qui. Nel caso b) il punto di vista è quello di Peter Parker; in questa frase il narratore esterno dice quel che Peter Parker vede.
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Messa così sembra piuttosto semplice, ma con la tecnica del punto di vista applicato a un’opera di narrativa possiamo attribuire a un personaggio (complicandoci la vita!) pure la sua opinione, in base alla quale i fatti della storia vengono interpretati e valutati:
a) Flint Marko è un poco di buono.
b) Peter Parker pensa che Flint Marko sia un poco di buono.
Nel primo caso il giudizio su Flint Marko va direttamente attribuito al narratore. La voce e il punto di vista coincidono. Nel secondo caso il punto di vista va riferito al personaggio (leggi: voce del narratore esterno, punto di vista del personaggio). Non possiamo sapere se il narratore condivida o meno il punto di vista di Peter Parker; a meno che, in qualità di autore reale o autore implicito, non ce lo dica espressamente. Un enunciato siffatto potrebbe essere:
c) Peter Parker pensa che Flint Marko sia sempre stato un poco di buono; in realtà Marko è diventato un malvivente per necessità, mosso dalla disperazione […].
Il narratore aggiunge il suo giudizio e lo pone a confronto con l’opinione del personaggio di Peter Parker.
Cosa possiamo dedurre dai casi che vi ho illustrato?
- Il punto di vista e la voce non appartengono necessariamente alla stessa persona.
- La voce riguarda la persona a cui vengono attribuiti gli enunciati, “chi parla”. Se non ci sono delle “citazioni” (argomento di cui parleremo in una delle prossime puntate), la voce appartiene al narratore, interno o esterno alla storia.
- Il problema del punto di vista riguarda il personaggio che, all’interno della storia, immaginiamo compia le azioni del vedere, del pensare e giudicare.
- Nel caso di c) si può dedurre che il punto di vista cambi con maggior frequenza della voce, ma è possibile (anche se più difficile) trovare interi racconti in cui vengono adottati una sola voce e un solo punto di vista.
Ne avete abbastanza? Io vi consiglierei, se per voi queste sono nuove acquisizioni, di fare un po’ di esercizio. Prendete qualche testo di narrativa (romanzi, raccolte di racconti) dalla vostra libreria e aprite delle pagine a caso. Soffermatevi su dei brevi enunciati, simili a quelli che ho citato qui sopra. Provate a riconoscere a chi appartiene la voce che state ascoltando/leggendo e provatevi a individuare il punto di vista (è un narratore esterno: autore reale o implicito?); di quale personaggio il narratore ci sta esponendo il punto di vista? Possiamo rinvenire episodi in cui il narratore affianca il suo giudizio e lo pone a confronto con quello di un personaggio?
Cercate di acquisire dimestichezza con questi aspetti, se volete raccontare in maniera appropriata. Distinguere bene le voci dai punti di vista vi eviterà di prendere granchi colossali. La confusione di questi elementi rischia di minare dalle fondamenta pure quegli edifici narrativi che si distinguono per delle buone idee e degli intrecci affascinanti!
Pensate ora di dover scattare una fotografia. Vi troverete nella condizione di dover impostare l’inquadratura: restringere il campo o allargarlo? Metto in risalto il primo piano e sfoco il fondo o viceversa? Mi concentro su un singolo dettaglio? Gérard Genette, nel suo Figure III (Einaudi, 1976, 2006) chiama “focalizzazione” l’adozione di un punto di vista particolare, ristretto, determinabile in relazione alla storia (per esempio quello di un personaggio o di un narratore coinvolto negli eventi che raccontiamo, rispetto a quello di un narratore esterno “onnisciente”).
La prossima volta prenderemo in esame i vari tipi di focalizzazione. Ancora punto di vista, perciò, e soprattutto “scrittura creativa”. A presto.
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Commenti
Alberto buongiorno,
fin qui più o meno sembra facile da seguire. Mi preoccupa il dopo però.
Buona giornata
Nessun problema, caro Enzo.
Per l'argomento della "Focalizzazione" - che segue questa puntata - ricorrerò a vari esempi.
E se hai qualche dubbio o perplessità mi scrivi, no?
Un caro saluto.
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