“Sale grosso” di Maria Moresco, come a un teatro di emozioni
Sale grosso di Maria Moresco è una raccolta di poesie edita da Nottetempo, la definirei un teatro di emozioni, vediamo perché.
Le cinque sezioni della raccolta si articolano su temi differenti e risonanti in un continuum che sembra portarci dentro la vita e dentro l’anima dell’autrice.
La prima sezione, Zona di non volo, segna una cesura con il mondano e l’insensibilità. È la zona dell’artista, della sensibilità elitaria che si scontra inevitabilmente con la durezza del mondo.
L’ambiente claustrofobico senza alcuna prerogativa di sogno diventa luogo della diversità e della lotta. Moresco lo esprime benissimo in una nelle sue poesie che contiene un’anafora pregnante:
Gettarsi così
all’arma bianca
In un mondo di vetri antiproiettile il poeta si getta così, all’arma bianca, riconoscendo la violenza del mondo come fragilità interiore che ci accomuna tutti, in un tentativo nobile di dare all’altro la possibilità di reagire, di porci filo contro filo e trovare un confronto nella lotta. Non si tratta di un duello o uno scontro, è un gettarsi per mancanza di alternative, per circostanze avverse dell’esistenza.
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La seconda sezione, Giardini, è una sublime contrapposizione alla precedente. La definizione di questi giardini la dà l’autrice stessa:
Nelle aiuole fiorite del tempo
non succede niente.
Il luogo del sogno prende il sopravvento e inghiotte la zona di non volo, seppur limitando l’anima in uno stato quasi vegetativo di pacifica indolenza. Sono attimi di tempo sereni e immutabili, che nascondono un lato difficile da percepire: la stasi, che altro non è che la morte. Allora si deve andare avanti, si deve uscire dai paradisi artificiali e incontrare la vita.
Ciliegie è la terza sezione, un cestino di felicità. L’infanzia e la bellezza fanno da padrone.
Qui ritroviamo alcuni dei piccoli capolavori sparsi per tutta la raccolta, in particolare uno dei temi principali di Moresco: il rapporto tra i sentimenti e gli altri che fa da eco all’altro grande tema poetico del rapporto tra parole e la vita. Entrambi affiancati da un tema accompagnatore: rispettivamente il quotidiano e il tempo atmosferico. Quest’ultimi, poi, non sono forse nient’altro che allegorie di due modi di percepire lo scorrere dell’esistenza. Il tempo degli impegni che si sussegue e il tempo ciclico delle stagioni e degli umori.
Tutta questa metafisica, in realtà, è fatta di parole semplici e soavi:
Mi appoggio un sorriso
alle labbra
mi metto gli occhi
delle grandi occasioni
e voilà!
Ciononostante di una profondità infinita, come la seguente in cui vedo un elogio all’anti-fragilità (avevamo già introdotto questo concetto):
Mi sono fracassata contro gli scogli
ma non mi sono fatta molto male
e tu
mio caro
che sei stato così attento ad aggirarli
soffri molto?
La penultima sezione è Sale grosso che dà il titolo alla raccolta. Si arriva al climax, i temi dominanti sono la purezza e l’anima delle cose. Sale grosso è la realtà senza costruzioni, è il luogo di chi esce dalla grotta.
Il vento tra le foglie
non fa frr frr
le rane non fanno affatto
cra cra
il vento e le rane
non sono mica scemi.
E di nuovo il tema della sofferenza come occasione di vita, un tema anche cristiano ma che non viene incastonato in chiave religiosa:
Quando tornerai
sarò un’altra
avrò educato la mia sofferenza
come un figlio.
Infine, Bianca, la figlia che dà il nome all’ultima sezione. La maternità come tema poetico diventa un regalo a cui va slegato il nastro con lentezza e delicatezza per il lettore. Ormai si è giunti alla conclusione, ci si sente dentro a un viaggio che ci riporta a casa.
Moresco anche qui è molto limpida:
Non date retta
a chi parla di sensazioni
e di dolore
partorire è andare in un posto
tornare da un lungo viaggio
mentre tutti gli altri
sono rimasti a casa.
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Per concludere, uno dei componimenti più ispirati dell’autrice, di nuovo legato alla tematica del rapporto tra il proprio sentire e il prossimo, dove la delicatezza e la raffinatezza di un animo poetico si scontrano con la banalità e la meschinità del materialismo e dell’avidità del desiderio.
La mia voce
ancora piú nuda
cosa doveva togliersi
ancora?
Per la prima foto, copyright: Nigel Tadyanehondo su Unsplash.
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