Ricostruire la propria identità. “Un attimo prima” di Fabio Deotto
Il capitalismo finanziario è crollato, in Un attimo prima (Einaudi), il nuovo romanzo di Fabio Deotto. I soldi come li conosciamo noi sono scomparsi, non è più necessario lavorare, le chiese non sono più luoghi di culto ma spazi da visitare, provenienti da un passato lontano, come una piramide dell’antico Egitto, di cui fatichiamo a capire la funzione.
La Milano distopica di Fabio Deotto, collaboratore de «La Lettura» del «Corriere della Sera»e già autore di Condominio R39 (Einaudi 2014), è molto simile alla nostra eppure completamente diversa. Sono scomparsi molti degli oggetti che compongono la struttura del nostro vivere quotidiano, dai cellulari alle monete. Le automobili si guidano da sole ma il traffico non pare diminuito. In un mondo profondamente orwelliano, le frontiere sono confini invalicabili, le città sono cosparse di fibre video, la sicurezza è affidata a droidi spietati e il matrimonio è diventato un contratto rinnovabile ogni tre anni. Per un uomo, come Edoardo Faschi, cinquantenne nato quando ancora il mondo era governato dal capitalismo, dal lavoro, dal denaro e dalle leggi di libero scambio e libera concorrenza, trovare un equilibrio in questo nuovo scenario è complicato quanto indossare un vestito quattro taglie più piccole: lo puoi anche mettere ma ti darà un fastidio insopportabile.
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E come se non bastasse, Edoardo ha perso tutto: suo fratello Alessio è morto, la moglie Claudia l’ha lasciato, il nipote Sealth è scomparso. A casa di Edo, specchio del suo caos interiore, regna il disordine tra tupperware, libri, giornali e dischi accatastati alla rinfusa in qualsiasi angolo delle stanze.
Ora, per tentare di riempire questi vuoti e ricominciare a vivere, ha deciso di sottoporsi a una terapia sperimentale ispirata alla scatola specchio di Ramachandran, un dispositivo usato per curare la sindrome dell’arto fantasma nei pazienti mutilati. La speranza è quella di riuscire a guarire le mutilazioni del suo animo, profondamente ferito. La terapia prevede il campionamento dei ricordi che sono alla base di questi vuoti. Edoardo è così costretto a ripercorrere la propria vita e a ricostruire le radici della propria identità, dall’adolescenza al suo presente, parecchi anni più avanti rispetto al nostro. L’obiettivo è quello di riavvolgere il nastro, tragliuzzarlo e farlo ripartire. Se per la maggior parte di noi la sfida più grande consiste nello smettere di essere figlio per diventare padre, per Edoardo sta nello smettere di essere fratello per diventare se stesso.
La storia è costruita tra passato e presente, un passato precedente al Grande Crollo, e un presente successivo a esso, un passato in cui è raccontata la giovinezza di Edoardo, all’ombra del fratello Alessio, e un presente in cui Edoardo tenta finalmente di fare i conti con questa figura ingombrante, che gli ha lasciato un figlio, Sealth, da crescere. Il problema è che Sealth è scomparso da due anni: ha perso la cittadinanza e la possibilità di condurre una vita normale, relegato com’è in un ghetto in cui dormire poco più di qualche minuto è un sogno. Il romanzo prende il via proprio dall’incontro tra Edoardo e il nipote/figlio Sealth. Soltanto il desiderio di aiutarlo riesce a dare a Edo la forza per uscire da quel torpore che ha spinto la moglie Claudia a lasciarlo. Nella sua vita tutto pare lasciato al caso.
Fabio Deotto, invece, pare non lasciare nulla al caso. La sua scrittura non teme periodi lunghi, complessi e allo stesso tempo leggeri. L’autore esplora attraverso le parolel’intero universo dei nostri sensi. D’altra parte, se la scrittura romanzesca, come sta accadendo, continua ad appiattirsi sul visivo nel tentativo di affiancarsi alla scrittura cinematografica e televisiva, è destinata a soccombere. Quello che deve fare, forse, non è affiancarsi ma affrancarsi da uno stile incentrato sulle immagini. Deotto, invece, esplora l’udito, l’olfatto, il tatto, come in pochi hanno saputo fare (e penso a Italo Calvino). Un attimo prima è un romanzo che puzza e profuma, ricco di canzoni, rumori e di sensazioni tattili.
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La distopia, rispetto agli altri generi romanzeschi, ha la capacità di guardare oltre la contingenza, riuscendo a cogliere quelle criticità proprie del nostro presente, al quale solitamente siamo capaci di dedicare poco più distratte occhiate e sterili critiche. Spingendo lo sguardo più in là, la distopia sa dar vita alle nostre paure più profonde, dando loro una trama che bene o male trova una conclusione, che può richiudersi sul punto di partenza o, come riesce a fare bene Un attimo prima di Fabio Deotto, permetterci di fare un passo in avanti.
Per la prima foto, copyright: LoboStudio Hamburg.
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