[Racconto inedito] Lo scheletro d’oro di Carlo “Charlie D.” Nan
Qualche settimana fa vi abbiamo parlato del Festival Letterario Gita al Faro, nato dall’idea di Lidia Ravera e con la direzione artistica di Loredana Lipperini: sei scrittori a Ventotene per fare un’esperienza sul posto e trasformarla in un racconto.
Tra questi pubblichiamo in esclusiva il racconto Lo scheletro d’oro di Carlo “Charlie D.” Nan.
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- Mimì, che hai fatto questi due anni, non ti sei più fatto vedere.
Quando giravamo ebbri di stolte notti e giocavamo a sfiorare i muretti con l’ape, mi dicevi che eravamo come due gemelli. A fine corsa, dall’alto guardavi la lanterna del faro girare. Tu te lai sei sempre cavata, lo sapevano tutti che rubacchiavi in giro sull’isola l’oro dei turisti.
Ora siedi al baretto a bere birra, alzi lo sguardo, tiri giù tutto di un sorso, mi dici se facciamo un'altra volta il giro veloce sulla strada dell’isola – l’hai fatto anche quando non c’ero?
- Sì, mi devo tenere in allenamento per scappare.
- Ti hanno mai inseguito?
- No, perché quando mi chiamavano al telefono gli atri isolani ero già lontano, come potevo essere stato io. Mica si può stare in due posti contemporaneamente.
Così, tu mi carichi sull’ape e acceleri a più non posso, mi chiedi da quando soffro la velocità.
- Forse, non ci sono più abituato
- Mimì, ti è venuta la voce dura.
Suoni ai turisti per strada e quando non si scostano, SPOSTATEVI! In queste sole notti spese a ricordare.
- Siamo sempre due gemelli!
Sì, ma non sai che siamo separati da un futuro barbarico!
Notte, scorrono dal finestrino i tralicci e i numerici civi 32 29 46, l’insegna CARABINIERI, l’indicazione verso l’osservatorio ornitologico, la luna fumosa, le vie strette e le berte ci urlano dietro, il sapore dell’aria si sente più quando siamo veloci SPOSTATEVI! Vedi il muretto avvicinarsi e dici che siamo a metà strada, abbiamo il fiato corto dalla velocità, l’ape curva – Mimì io t’ho tenuto una parte del bottino!
- Ma non lo voglio, perché non l’hai rivenduto?
- Qua è brava gente, chi lo vuole l’oro rubato ai turisti.
- A Formia?
- Ma lì ti fregano.
Superiamo il bivio per l’albergo, dici ci fanno la piscina, l’isola si sta migliorando ora sono tutti con le auto elettriche, ma tu preferisci l’ape, la chiudi dalle ruote con delle catene a doppia mandata. Scolliniamo giù, c’è solo il buio a cui urlare, ti risponde con la dispersione della voce tra i cespugli.
- Ci sta il notaio napoletano in vacanza, se sa che sono stato io a prendergli gli ori alla moglie!
- Quello è capace di rinchiuderti su Santo Stefano!
- E io ritorno a nuoto.
Siamo alla fine, la strada si chiude. Dici che ti fermi sempre prima perché qua non prende il telefono, se ti chiamano e non rispondi è ovvio che stai scappando. Mi osservi scendere e guardare l’isola.
- Potresti fonderlo.
- Mimì mi sei mancato!
Giorno, vieni a prendermi sotto casa con l’ape carica, dici che hai preso la lamiera e il PVC, che dobbiamo andare a costruire il forno per fondere il metallo.
Ventotene sospensione di declivi, voci impastate da eremo invernale che ha appena riaperto i battenti, gatto giallo vecchio malandato.
- Mimì, hai una bombola GPL?
- Potevi chiedermelo prima.
Mi riporti sulla strada SPOSTATEVI! Sono arrivati i turisti a metà giugno. Carichiamo la bombola, riparti, stavolta le catene all’ape non le hai messe.
- Andiamo a prendere lo smorzo dalle ville in costruzione, ci serve per il forno.
Corri sempre sulla strada e mi dici di voltarmi, è il notaio sulla sua auto elettrica che ci segue, dici che ci sta spiando.
- Mimì gli avranno fatto la spia ma non ha prove, quando mi hanno chiamato stavo già dalle panchine colorate, quelle dove dormono i gatti.
La vanga affonda nella docile ghiaia rossa di Ventotene smossa dalle gru accanto alle ville, affondi e carichi, affondi e carichi, te ne serve un sacco pieno, TUNK quando colpisce la roccia più dura, TUNK quando colpisce qualche ferro sepolto, TUNK TUNK TUNK una testa di scheletro a forma di roccia.
Da sopra le luci accese della macchina del notaio napoletano che ci spia sotto il sole cocente.
Tanto spunta la cassa toracica, il femore, l’ulna e le dita sparse, le raccogli una ad una.
Notte, tagli il tubo da 160 ad un'altezza di 25 quello da 50 ad una lunghezza di 20, fai un foro tangenziale sul tubo di PVC grande, tornisci due pezzi di legno. La volta è preferibile farla a cupola per facilitare la riflessione del calore verso il basso. Versi lo smorzo sopra la cupola per aumentarne il calore interno.
Lo scheletro è ricomposto affianco a noi, adagiato con il teschio sulla ruota dell’ape osserva il metanico fuoco azzurro e bianco uscire dalla bocca del fornetto. Ci cacciamo dentro l’oro del notaio, fonde a 1064°.
- Mimì sta scendendo il notaio, sta venendo a prenderci!
- Nascondi tutto!
Tu scarichi l’oro incandescente sopra lo scheletro, dici che lo faremo passare per un reperto archeologico, di quelli che trovano sempre sull’isola. Uno scheletro d’oro brilla nella notte rappresa nel sentore di metallo fuso, aglio selvatico e salino, lo scheletro si alza sulle sue gambe, ci osserva dagli incavi.
- Su dai, sali che dobbiamo scappare.
Corriamo tra i muri di luce elettrica dei lampioni, dici che ora illumineranno tutte le strade dell’isola e si vedrà dal mare come il faro, lo scheletro d’oro è salito sul cassone dell’ape, bussa dalla lunetta e gli passi un pacchetto di sigarette. La macchina con il notaio napoletano sopra ci tallona, il vento fischia tra le ossa dello scheletro d’oro, SPOSTATEVI!. Semini l’inseguitore.
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Guidi fino alla spiaggia del faro.
- Stavolta siamo stati più veloci del giro della lanterna!
Lo scheletro d’oro ci segue sulla spiaggia, sorride d’oro raggiante, scricchiolano le giunture laccate di metallo, gli chiedi come si chiama, con un dito sulla sabbia segna: Gaetano Bresci, REGICIDA.
- Ma non ti avevano scaricato a mare?
- Mimì, saranno affari suoi!
Lo scheletro d’oro si accende una sigaretta dietro l’altra, muove le mascelle come se volesse raccontarci una storia, eppure anche un ritorno alla vita ha i suoi momenti eternamente muti, il silenzio fa parte di quell’abisso in continua espansione che si chiama passato, quell’abisso che si nutre di parole più viene raccontato nei libri e più crea la distanza tra l’uomo e la totale assenza di sintesi della sua natura.
- Mimì e questo ora dove lo mettiamo.
Togli le catene alle ruote. Lo porti prima a fare un giro veloce dell’isola e poi di nuovo giù, urli, urli forte.
Corri con l’ape per i pendii dell’isola, lo scheletro è seduto al tuo fianco. Ti fermi a guardare l’isola dall’alto, il faro.
- Gaetà, ora sei libero!
L’indice d’oro punta acuminato contro la carlinga d’alluminio dell’ape. Incide
QUANDO MI HANNO SEPOLTO DI NASCOSTO HO SCOPERTO LA LIBERTA’.
SENZA TOMBA E SOVRANO NON MI RIMANEVA CHE RESPIRARE LA TERRA.
- Chiederò a Mimì cosa intendi.
Gli passi un’altra sigaretta, arriva dalla strada il notaio napoletano, scende dall’auto elettrica e minaccia di chiamare i carabinieri. Rivuole indietro quello che gli spetta.
Tu lo osservi, lo scheletro d’oro gli va in contro, il notaio napoletano lo fissa nelle orbite vuote. L’indice punta contro la lamiera della macchina
L’ORO NON RICORDA QUANDO ERA SOLO SABBIA.
Si volta, lo morde sulla spalla, affonda i denti nella carne. Il sangue e il suo dolore colano sulla notte e sui vestiti. Il notaio napoletano crolla a terra.
Quando torni alla spiaggia del faro dici di seguirti, saliamo e le catene dell’ape che ti porti dietro ciondolano scalino dopo scalino.
- Mimì tanto oramai è tutto meccanizzato, mica ci sta il guardiano!
Entriamo: in cima, dalla lanterna lo prendiamo in due e lo incateniamo al faro.
Lo scheletro d’oro gira nella notte, lampi spezzati si infrangono contro le pareti notturne, solo da dentro il mare lo possono vedere, le navi come i pesci, tu lo sai, come sai che hai fuso il tuo oro.
- Mimì, te ne ritorni?
- Per ora sto qui.
Corri su per la strada.
Per la prima foto, copyright: Thought Catalog.
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