"Quattro piccole ostriche", l'esordio narrativo del giornalista Andrea Purgatori
Quattro piccole ostriche è il primo romanzo di Andrea Purgatori, giornalista, saggista e sceneggiatore cinematografico, oltre che conduttore televisivo del programma Atlantide.
Per il suo esordio nella narrativa ha scelto una storia di genere: una classica vicenda di spionaggio che ricorda quelle che ai tempi della Guerra Fredda fecero la fortuna di autori come John Le Carré.
La narrazione inizia ai giorni nostri, ma si collega a un momento storico preciso: la caduta del Muro di Berlino, il 9 novembre 1989, che segnò di fatto la fine dell'egemonia sovietica sull'Europa orientale. Nell'autunno del 2019, mentre i capi di stato e di governo di mezzo mondo stanno per ritrovarsi a Berlino a celebrare il trentennale dell'evento, Markus, un tempo spia della Germania Est rifugiatosi dopo la caduta del Muro in Svizzera, dove si è rifatto una vita sotto un altro nome, viene richiamato nella capitale tedesca da Greta, sua ex collega alla Stasi, ma anche l'unica donna che forse abbia davvero amato nel corso di un'esistenza movimentata. Un diplomatico russo è stato assassinato, si pensa a opera di militanti jihadisti, ma quest’ipotesi non convince i poliziotti tedeschi incaricati dell'indagine. Mentre il tempo stringe, perché le autorità premono per chiudere il caso prima dell'arrivo delle delegazioni straniere, si riaffacciano i fantasmi del passato, quando Berlino era un celebre crocevia di spie nel conflitto sotterraneo tra Est e Ovest per il predominio mondiale.
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Abbiamo fatto qualche domanda ad Andrea Purgatori a proposito di questo suo esordio.
Quest'anno si celebreranno i trent'anni dalla caduta del Muro di Berlino. È stata l'importanza di questa ricorrenza a suggerirle di scrivere un romanzo, oppure la scelta di ambientarlo in quel momento preciso è nata successivamente al desiderio di cimentarsi nella narrativa, dopo aver scritto tanto in altri ambiti?
Questa storia l'avevo in testa da dieci, forse anche quindici anni. La coincidenza è stata un po' forzata, perché non avevo mai tempo per scriverla, finché Harper Collins non mi ha proposto di scriverla per loro e il contratto mi ha obbligato finalmente a farlo, e ad arrivare fino in fondo. È il frutto di incontri fatti negli anni passati, quando mi è capitato di conoscere spie di vario genere e di varia provenienza, che mi avevano intrigato molto sul piano umano. Credo di aver parlato di spie che non sono affatto come James Bond, ma sono persone reali con i loro problemi concreti. È l'immaginario che le ha costruite in modo diverso nella letteratura di genere.
La Guerra fredda è davvero finita o sta continuando sotto altre forme?
Non è mai finita. La contrapposizione tra Est e Ovest sul piano dello spionaggio è continuata e continua tuttora, solo l'anno scorso gli Stati Uniti e l'Europa hanno espulso centoventi presunte spie russe. Il grande gioco non è mai finito.
Oppure, più dell'eterna lotta fra Stati Uniti e Russia, nel prossimo futuro conteranno altri fattori, ad esempio i rapporti di questi due Paesi con la Cina emergente?
Sicuramente stanno cambiando tutti gli scenari geopolitici e di conseguenza cambia anche lo spionaggio. L'11 settembre è stata la disfatta dell'ossessione tecnologica, dell'idea che con la tecnologia si potesse ottenere un controllo totale, mentre ora si torna a rimettere in campo le persone e a considerare soprattutto il fattore umano.I movimenti terroristici come l'Isis, ad esempio, fanno uno scarso uso della tecnologia.
Per come sono andate le cose dal 1989 ad oggi, pensa che nella ex Germania Est resista una certa nostalgia per il passato comunista, come viene manifestata nel romanzo dal personaggio di Greta?
Certo, ma non solo nella ex Germania Est. Anche in Russia, nelle classi meno abbienti, c'è l'idea che durante l'era comunista ci fossero una maggiore uguaglianza e un accesso a benefici che ora non ci sono più. Non è una nostalgia ideologica, ma pratica.
Come mai ha scelto un titolo chiaramente ispirato a Lewis Carrol?
La favola del tricheco che invita le ostriche al banchetto e poi se le mangia è una metafora di quello che succede col folle progetto Walrus (che a sua volta richiama una famosa canzone dei Beatles), che vorrebbe assogettare con l'ipnosi la mente di soggetti fagocitati fin da bambini. Io mi sono sottoposto all'ipnosi perché non volevo scriverne senza capire come funzionasse ed è stata un'esperienza molto interessante. L'idea del progetto Walrus travolge però tutti i principi etici dell'ipnosi, in cui lo psicoterapeuta deve essere al servizio del soggetto e non il contrario.
L'esperienza da romanziere le ha dato qualcosa di più e di diverso rispetto al suo modo di scrivere abituale?
Era un linguaggio che mi mancava, e che offre opportunità maggiori rispetto a quello giornalistico o a quello cinematografico che ero già abituato a usare. Nel cinema, ad esempio, non esiste nulla che non vada oltre il dialogo e i gesti, cioè quello che si vede e si ascolta, mentre in un romanzo uno scrittore si può dilungare a descrivere i pensieri dei personaggi.
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Pensa che scriverà altri romanzi o tornerà a dedicarsi prevalentemente al giornalismo e alla saggistica?
Io continuo a fare la mia trasmissione Atlantide, in cui racconto comunque delle storie, utilizzando il passato per stimolare una riflessione sul presente. Può darsi che continui con la narrativa di genere, anche se non ho delle ambizioni letterarie. Scrivere è comunque per me un lavoro faticoso.
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Per la prima foto, copyright: Anthony Reungère su Unsplash.
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