Quando il denaro è l’unico valore. La novella pirandelliana di Alessandro Banda
Forse la casa editrice Gaffi, quando ha deciso di pubblicare il romanzo Io, Pablo e le cacciatrici di eredità di Alessandro Banda, ha ben pensato al successo delle novelle pirandelliane.
La storia, che lo scrittore trentino propone al pubblico nella sua ultima fatica letteraria, più che un complesso e intricato romanzo sembra, infatti, una novella umoristica.
La trama è semplice, ma non mancano in essa la qualità letteraria e un’eleganza linguistica che si assommano a una piacevolezza da humour inglese e a una profonda riflessione tematica.
Pablo, lo dice il titolo stesso è l’assoluto protagonista di questo testo. L’io narrante, che di fatto è suo fratello, accompagna il lettore dai primi anni di vita, a partire dalla penosa carriera scolastica fino all’istante in cui lascia definitivamente il nostro mondo. Dunque una biografia in tutto e per tutto, ma non è una noiosa e pedante storia, bensì una frizzante e piacevole raccolta di aneddoti con un loro asse temporale e spaziale ben definito.
Pablo è un ragazzo poco incline agli studi, altrettanto alla disciplina ferrea del mondo lavorativo degli anni Cinquanta e Sessanta nella nostra cara penisola. Ogni tentativo di avviarlo a una carriera professionale fallisce sul nascere sia che l’azione venga intrapresa di sua spontanea volontà, sia che intervengano familiari o amici come mediatori. Lo si potrebbe quasi definire “un anarchico”, non nel senso politico, ma sociale. Lui non ha una ratio nella vita, segue l’istinto e la spensieratezza. Piace alle donne, ma non ne trova mai una giusta e, anche quando si accasa, non è mai soddisfatto di sé stesso. La sua unica e vera dote è saper conquistare belle donne, turiste tedesche che si lasciavano andare al suo fascino una dopo l’altra. La sua strada nella vita era dunque fare il playboy, ma alla fine decide di dimostrare a sé, alla sua famiglia e al mondo intero che anche lui è capace di crearsi un nuovo nucleo familiare e, dunque, si sposa.
Il primo matrimonio con Barbara, tedesca slesiana, non porta né figli né amore eterno e finisce dopo pochi attimi. Il secondo, con la Krukka, prussiana d’origine e così soprannominata nel testo, fu matrimonio d’interesse: la donna, infatti, lo sposò solamente per ottenere la possibilità di restare nel mondo occidentale degli anni Ottanta e poi decise di lasciarlo.
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Uno così non bada nemmeno troppo a un equilibrio alimentare e a preservarsi per la vecchiaia e così, come spesso accade, si ammala di un male incurabile, che lo porterà alla morte. Molto prima di morire, circa quindici anni or sono, Pablo frequentava una donna veneta, detta la Soppressa con la quale trascorreva i fine settimana presso una misera pensioncina locale e che, durante il periodo della malattia, si apprestò con sollecitudine amorevole e cure ad accompagnare il suo amante fino all’ultimo giorno di vita.
Dopo la dipartita sia lei che Barbara busseranno alla porta del fratello per l’eredità. Come farà a cavarsela dalle due arpie o cacciatrici di eredità il nostro narratore?
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In Io, Pablo e le cacciatrici di eredità la trama, sintetizzata in breve schizzi, lascia il finale aperto, recuperando quelle conclusioni senza esito completo proprie della narrativa postmodernista. Il lettore è coinvolto e si addentra nella vicenda che raggiunge lo spannung proprio negli ultimi paragrafi, ritrovandosi dunque con una serie di interrogativi irrisolti.
Forse l’intento di Alessandro Banda non è nemmeno quello di raccontarla fino in fondo questa storia, piuttosto far sì che il lettore astragga da essa la sua “lezioncina di vita”: fino a che punto può spingere la sete di Denaro nella società odierna? Due donne che da ex amorevoli compagne di vita si trasformano in agguerrite “cacciatrici di eredità”.
Una novella o short story che non annoia mai il lettore, ma lo porta a riflettere tramite la tecnica narrativa, usata con sapiente maestria, della citatio letteraria. Dante con la sua riflessione linguistica e glottologica sui dialetti d’Italia, Dante e l’uso del termine volgare “merda” dentro il canto infernale; Kundera e L’insostenibile leggerezza dell’essere e poi Orazio della Satira quinta laddove Ulisse chiede a Tiresia come potersi arricchire e ancora Petronio e la ripresa icastica di Crotone nel Satyicon.
Alessandro Banda ne fa un uso accorto e allusivamente letterario, con un tocco di risata umoristica che non appesantisce il romanzo, anzi lo abbellisce e lo inserisce nel circuito della letterarietà umanistica e novecentesca. Il riuso in chiave di “aucoritas” del vasto patrimonio letterario riprende i modi stilistici della narrativa della Ronda e contemporaneamente apre a una lettura sarcastica del mondo contemporaneo.
Così, dietro le quinte di una trama più da commedia teatrale che da romanzo composito, c’è l’attacco alla decadenza della società attuale. Non è solo la famiglia a non funzionare più quale cellula della società patriarcale (giacché Pablo non riuscirà mai per propria indole a costituirsene una), ma anche la politica perché non è capace di realizzare vere e proprie riforme a favore del cittadino. E la donna non rappresenta più la docile compagna di vita, ma un’emancipata figura societaria, più tesa ad accumulare carriera e denaro che affetto.
Si badi bene: non è che Banda in Io, Pablo e le cacciatrici di eredità si diverta a sbeffeggiare la figura della donna d’oggi, però rappresentando una situazione testamentaria possibile e altrettanto paradossale (perché il fratello rischia di trovarsi ad abbandonare la propria casa nativa) non va molto lontano dalle cronache dei giornali d’oggi.
Quante storie ci raccontano casi di persone che, avendo sottovalutato alcuni accordi ereditari, si ritrovano di colpo a rischiare di perdere i loro legittimi possedimenti familiari, ingannati dalla rapacità di altre persone fuori dal cerchio famigliare. Per cui non si può pensare che la situazione esposta dal nostro autore non possa essere così realistica come sembra.
Lezione di vita che costa cara o così sembra all’io narratore, ma che altre menti eccelse quali Orazio o Virgilio o Platone avevano già compreso millenni fa. Sotto sotto Banda fa un uso montaliano o elliotiano dell’allusione classica: l’autore o parte del testo ripresa testualmente vengono citati perché a loro è riservato pregio e dignità.
Un libro che, nella scena finale di un dialogo ciceroniano con i testi della biblioteca paterna, svela ancora una volta come il cosiddetto circuito della letterarietà sia infinitamente più foriero di consigli pratici e indimenticabili di quanto si possa pensare, e cancellarne l’autorevolezza significherebbe perdere tutte le lectiones fondamentali che ci aiutano a comprendere come sia in fondo l’essere umano: un essere vivente dove il contrasto fra aspetto intellettuale e pratico è sempre in divenire e non trova mai la sua pace interiore.
Talvolta, anzi, l’animo disorganizzato e instabile di un Pablo può essere un deterrente per la realizzazione dell’uomo medio e ben inserito nella società, ma d’altro canto l’aspetto troppo intellettualistico e ingenuo del fratello non è adatto per sopravvivere su questa terra, dove bisogna sempre andar a caccia di un obiettivo per non essere fregati: soldi, famiglia e ricchezza.
Io, Pablo e le cacciatrici di eredità parla al lettore moderno con sincerità pura e lo pone di fronte a sé stesso, lo rappresenta nei dettagli più piccoli, lo fa riutilizzando anche un italiano regionale e una chiave umoristica piacevole; ma non conviene leggerlo solo come novella pirandelliana o “romanzetto” di un giorno, conviene andare più a fondo e comprendere bene tutta la potenzialità del suo messaggio.
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