Quando il colore della pelle è una colpa. “Se la strada potesse parlare” di James Baldwin
Puntata n. 55 della rubrica La bellezza nascosta
«Era la strada della domenica mattina. Le nostre strade hanno giorni, e persino ore. Dove sono nata io, e dove nascerà il mio bambino, se guardi la strada puoi quasi vedere quello che accade in casa: per esempio, diciamo, le tre del pomeriggio di sabato sono una pessima ora. I bambini sono a casa di ritorno da scuola. Gli uomini sono a casa di ritorno dal lavoro. Si potrebbe pensare a una felice occasione di incontro, ma non lo è. I bambini vedono gli uomini. Gli uomini vedono i bambini. E questo spinge le donne che stanno cucinando, pulendo, stirando capelli e che vedono quello che gli uomini non vogliono vedere, quasi a impazzire. Lo si vede nelle strade, lo si sente da come le donne strillano per chiamare i loro bambini. Lo si vede dal modo in cui si precipitano fuori dalle case – a precipizio, come un uragano – e sculacciano i bambini trascinandoli di sopra, lo si sente nel bambino, lo si vede nel modo in cui gli uomini, ignorando il tutto, stanno assieme davanti a una ringhiera, siedono assieme dal barbiere, da come si passano una bottiglia, vanno fino al bar all’angolo, stuzzicano la ragazza dietro al bancone, litigano e, poi, si danno un gran da fare con i loro rampicanti. Sabato pomeriggio è come una nube che incombe, è come aspettare che scoppi il temporale.»
Alcune volte, il colore della pelle può essere una colpa. Nei luoghi di ignoranza e nelle menti poco evolute, un uomo con una carnagione di un colore differente sarà visto, quasi sempre, come una figura aliena da cui tenersi a distanza, o sarà l’immagine contro cui sfogarsi, sarà quel nemico da dare in pasto al popolo, per distogliere, quest’ultimo, dai problemi reali.
Quando l’unica colpa è una pelle dalla tonalità differente, può diventare difficile anche difendersi; anzi, una difesa, il più delle volte, può risultare impossibile. Come ci si scagiona dalla propria natura? Come si fa a scontare la colpa di essere stati messi al mondo?
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Sono le domande, queste, che si saranno fatte milioni di essere umani e che ancora si perdono in un mare di silenzio, in un mondo che, nonostante il progresso e gli anni di orrore, fa finta di dimenticare le sofferenze antiche e continua a colpevolizzare per il colore della pelle.
James Baldwin è nato a New York, il 2 agosto 1924 ed è morto a Saint-Paul-de-Vence, il 1º dicembre 1987; il romanzo Se la strada potesse parlare è stato ripubblicato in Italia dalla casa editrice Fandango, con traduzione a cura di Marina Valente.
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Tish è una giovane donna di colore, innamorata dello scultore Fonny, dal quale aspetta un figlio. Poi improvvisamente, quando i due decidono di convolare a nozze, Fonny viene accusato di violenza sessuale nei confronti di una donna portoricana. Dunque Fonny, riconosciuto colpevole per il colore della pelle e non per delle prove concrete, viene messo in carcere. Inizia qui un percorso che porterà Tish a tentare di dimostrare in tutti i modi l’innocenza dell’uomo dal quale aspetta un bambino.
«La sua fidanzata, Tish, è incinta, e in alcuni momenti sarà solo il pensiero di questa gravidanza a impedire loro di sprofondare nella disperazione. Il bambino – prospettiva di una nuova vita – è associato alla “volontà di essere liberi” dei neri. Alla fine del racconto Fonny viene liberato su cauzione e il processo rinviato a data da destinarsi: né libero né detenuto, può se non altro tornare al mondo dei vivi. Se la strada potesse parlare somiglia a una parabola che pone l’accento sulla natura incerta dei nostri destini, di bianchi così come di neri, un romanzo sommessamente potente, senza mai forzature o esagerazioni a effetto.»
(Dalla postfazione di Joyce Carol Oates)
Baldwin affonda le mani nella parte marcia della società, mettendo davanti ai nostri occhi l’ingiustizia che pervade il mondo e dalla quale, sembra, non esistano vie di uscita. Lo stile con cui ci racconta questa storia è netto e asciutto, ogni frase appare decisa e nel complesso il romanzo ci restituisce una poesia rara. Il tutto sembra una grande metafora della violenza e delle sorti incerte della vita umana.
«Mi sono voltata con i miei sei pomodori tra le mani e mi sono trovata faccia a faccia con un piccolo, giovane e lurido teppistello italiano. “Non mi dispiacerebbe un bel pomodorino che ama i pomodori”, ha detto e si è leccato le labbra, e ha sorriso. In quel momento ho pensato due cose contemporaneamente – anzi tre. Quella era una strada molto affollata. Sapevo che Fonny sarebbe tornato da un momento all’altro. Avevo voglia di sbattere i miei pomodori in faccia a quel ragazzo. Ma nessuno ci aveva ancora notati e non volevo che Fonny finisse in una rissa. Ho visto un poliziotto bianco che risaliva lentamente la strada. Mi sono resa conto che sono nera e che le strade affollate erano bianche e così mi sono scostata e sono entrata nel negozio, sempre con i miei pomodori in mano. Ho trovato una bilancia, ci ho messo su i pomodori e mi sono guardata attorno alla ricerca di qualcuno che li pesasse in modo da poter pagare e uscire dal negozio prima che Fonny tornasse da dietro l’angolo. Il poliziotto, adesso, era dall’altro lato della strada: e il ragazzo mi aveva seguita nel negozio.»
Attraverso una narrazione in prima persona, Baldwin affida la storia alle parole di Tish, questa ragazza innamorata e pronta a tutto pur di dare forma e materia alla giustizia e al corretto posizionamento di tutte le cose; il lettore si ritrova dentro la sua mente, segue il filo dei suoi pensieri, a volte lucidi, altre volte confusionari, e impara così a conoscerla e ad amarla. Anche se tutto si svolge in strada e nella realtà tangibile, il vero movimento dell’opera è interiore.
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Se la strada potesse parlare è un romanzo intimo ed emotivo, dove lingua, ambiente e personaggi raggiungono la stessa potenza e lo stesso grado emozionale.
In un momento storico come il nostro, dove barche cariche di umani vengono lasciate in mare, bisognerebbe chiedersi cosa sia poi l’umano, cosa voglia veramente e fin dove sia disposto a spingersi.
Per la prima foto, copyright: Giulia Pugliese on Unsplash.
Per la quarta foto, la fonte è qui.
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