Quando a scrivere è lo sguardo. “L’ombra di casa” di William Gay
L’ombra di casa (titolo originale The Long Home) è il romanzo che ha rivelato William Gay al grande pubblico. Era il 1999 quando, grazie a questo libro, Gay vinse il James A. Michener Memorial Prize e nel frattempo sono successe un po’ di cose, a cominciare dalla scomparsa dell’autore (2012) fino alla realizzazione dell’omonimo film The Long Home (2017) del regista e attore americano James Franco, il quale, per vie indirette, ha favorito la prima edizione italiana del romanzo (Bompiani, 2018), nella traduzione di Alessandro Mari.
La storia raccontata da Gay sviluppa uno dei topoi più comuni della letteratura americana. Siamo nel 1943, nel pieno della seconda guerra mondiale, ma dal suo angusto spicchio di mondo Nathan Winer, il protagonista, non può avere contezza di ciò che avviene a migliaia di chilometri di distanza. A Mormon Springs, da qualche parte nella sperduta campagna del Tennessee, non sono le bombe dei tedeschi o dei giapponesi a decidere in un secondo delle vite delle persone, ma l’avidità di Dallas Hardin, un trafficante senza scrupoli che spadroneggia sulla contea col beneplacito di poliziotti e giudici corrotti. Non cadono nemmeno le foglie dagli alberi, se Hardin non lo vuole; le sue mire e i suoi appetiti sembrano non conoscere limiti. Se di specialità si può parlare, la sua consiste nell’impadronirsi delle cose e delle vite degli altri. Lo sanno bene Thomas Hovington e la sua famiglia, nella quale Hardin, complici le gravi condizioni di salute del vecchio, si insinua fino a prenderne il controllo.
«La faccia volpina di Hardin era più affilata e subdola che mai, i suoi freddi occhi gialli più rettiliani. O simili a quelli di uno squalo, inanimati e inespressivi, tolto il perenne luccichio della cupidigia. E lui viveva così come gli squali si sfamano, mettendosi in pancia qualunque cosa attirasse la sua attenzione, risucchiando tutto nel buio caldo dello stomaco, cavando nutrimento da ciò che ne conteneva ed espellendo ciò che invece no».
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È con questo individuo pericoloso e spregevole che il giovane Winer deve scontrarsi se vuole avere qualche possibilità di vivere in pace la propria vita.
La stessa cosa che si augura pure Amber Rose, la figlia di Hovington, prigioniera a casa propria dopo che Hardin si è impossessato dei beni del padre e ha schiavizzato la madre. L’ambiente malfamato in cui è cresciuta – ritrovo di bevitori, sbandati, prostitute e militari in licenza – getta un’ombra tetra sul suo futuro; ma è soprattutto ciò che la ragazza stessa riesce a intuire dei piani di Hardin, che la sorveglia con lo sguardo del magnaccia, a soffocare in lei ogni speranza.
Quando Winer accetta di costruire una bettola per Hardin, Amber Rose è una bella ragazza nel fiore dell’adolescenza. Non passa molto tempo prima che fra loro spunti un interesse reciproco e da lì una relazione, ma i due ragazzi hanno pensieri molto diversi riguardo al modo in cui gestirla. Winer vorrebbe viverla alla luce del sole sperando un giorno di portare Amber Rose all’altare, mentre la ragazza, succube della paura che Hardin ha instillato in lei nel corso degli anni, trattiene i suoi veri sentimenti vivendo ogni attimo che trascorre insieme a Winer come se fosse l’ultimo. Per i due giovani il cammino si presenta irto di ostacoli fin dall’inizio, ma soltanto quando Hardin decide di mettersi di traverso le cose per loro precipitano inesorabilmente. Di contro, proprio nel momento di massimo pericolo, Winer ha il sentore dell’esistenza di un altro motivo per regolare i conti con Hardin, un motivo che affiora minaccioso dal passato e che c’entra con la misteriosa sparizione del padre del ragazzo, avvenuta dieci anni prima…
«La vita è dura, Winer. Devi solo diventare duro come lei. È come giocare a blackjack. Il mazziere ha sempre il vantaggio, ed è la vita a dare le carte. Capito? Devi trovare anche tu un modo per approfittarne. Perché se non lo fai, perdio, ci sarà sempre qualcuno pronto a raccontarti bugie e a darti un quarto di dollaro unto per comprarti il regalo di Natale.»
Malgrado tutti i pregi derivanti da uno svolgimento disinvolto e sempre presente a se stesso, non è la trama l’elemento di maggior qualità dell’Ombra di casa. I personaggi incarnano ruoli già noti al pubblico, le parti che interpretano sono variazioni non originali di un canone con una lunga tradizione letteraria e cinematografica alle spalle. Nondimeno quella di Gay rimane una storia godibilissima e ben scritta, che invoglia ad andare avanti. Un motivo, secondo me, è il modo in cui lo scrittore ha saputo trattare una storia già annunciata come questa, a cominciare dall’uso della terza persona eterodiegetica, con il narratore che, ponendosi sullo stesso piano dei personaggi, riesce a mantenere viva la curiosità del lettore pagina dopo pagina. Particolari e dettagli hanno ancora la polvere e gli odori della quotidianità dalla quale sono stati tratti, così come i dialoghi, che conservano tutta la ruvidità e l’immediatezza degli uomini e delle donne che li intavolano.
Un’altra caratteristica della scrittura di Gay che si accorda alla perfezione con i caratteri dell’ambiente descritto e gli umori di chi lo abita, è il pragmatismo, l’essenzialità. Dialoghi e descrizioni aggiungono esattamente ciò che è necessario al proseguimento della storia; digressioni, flashback, parentesi e le altre tecniche di cui si servono gli scrittori per arricchire le loro storie non fanno parte del repertorio stilistico preferito da Gay, il quale centellina gli aneddoti con la stessa parsimonia con cui, nel romanzo, il vecchio William Tell Oliver dà fondo alle proprie scorte durante il rigido inverno continentale.
Seconda peculiarità del libro è la varietà dei punti di vista. La storia non passa solo attraverso gli occhi dei protagonisti, ma si arricchisce pure delle esperienze di una nutrita schiera di personaggi secondari – come il vecchio Oliver o lo scapestrato Motormouth Hodges – i quali, oltre a dare un contributo significativo al progredire dell’intreccio, prestano allo scrittore le loro prospettive, oppure integrano la trama con selezionati episodi relativi alle loro vicende personali. Per questa ragione il testo si presenta a volte eccessivamente segmentato in paragrafi, ciononostante Gay sa come gestire le insidie del cambio di inquadratura, e nelle prime cinquanta pagine circa riesce perfino a instillare nel lettore il dubbio su chi sia il vero protagonista della storia.
Sebbene la caratterizzazione dei personaggi non rientri fra i punti deboli del romanzo, è anche vero che non ce n’è uno, in mezzo a loro, con il vigore e la tornitura necessarie per imporsi all’attenzione di chi legge. Probabilmente perché, come le vette di una catena montuosa, il livello è in generale elevato, tuttavia rimane pur sempre un fatto che perfino Hardin, uno dei personaggi meglio tratteggiati, sembra destinato soltanto a ingrossare la massa dei cattivi di ogni tempo.
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Se dovessi dire cosa rende unico e speciale L’ombra di casa, quale caratteristica ho apprezzato più di ogni altra, quale impressione si accompagnerà al suo ricordo, questo qualcosa èsenza dubbio lo sguardo che Gay rivolge alle cose, uno sguardo tanto acuto e penetrante, ieratico ma rispettoso al contempo, da aver scritto esso stesso – e non la mano, tanto meno il cervello – certi brani del libro. È lo sguardo di Gay il vero autore di alcune delle più belle descrizioni del paesaggio del Tennessee, dei moti del suo cielo, del cangiare delle stagioni; è il suo sguardo a dire come un uomo zappa la terra, come la sua schiena si inarca mentre lavora, che forma assumono i suoi muscoli quando si tendono sotto la pelle; sono i suoi occhi prestati al lettore a immortalare per tutti e due uno stallone che emerge dalla nebbia, i suoi zoccoli che calpestano la verdura nel campo, il suo incedere possente nel silenzio addormentato dell’alba. Per scrivere questo libro, Gay ha usato gli occhi, e poi le orecchie, e il naso, e la bocca, e le mani. Quando si ha a disposizione un simile bagaglio di sensazioni e di esperienze, le parole devono essere poche e ben scelte; e in questo William Gay e il suo romanzo si sono dimostrati infallibili.
Per la prima foto, copyright: Andrew Ridley.
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