Premio Strega 2018 – Intervista a Sandra Petrignani
Sandra Petrignani entra nella cinquina del Premio Strega 2018 con un libro che racchiude in sé il rigore della biografia e il fascino immaginifico del romanzo. E non si legga una contraddizione in quest’affermazione perché il potere del romanzo sta nel saper narrare appassionando. E in quest’operazione Sandra Petrignani riesce benissimo nel difficile compito di raccontare da scrittrice la vita e le opere di un’altra scrittrice. E così Natalia Ginzburg diventa protagonista di La corsara (edito da Neri Pozza) nel quale Sandra Petrignani riesce ad accompagnare il lettore nella vita di una delle scrittrici più importanti del nostro Novecento letterario.
Abbiamo posto qualche domanda a Sandra Petrignani proprio a margine della sua inclusione nella cinquina del Premio Strega.
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Mi permetta di iniziare da una curiosità: lei ha incontrato Natalia Ginzburg nella metà degli anni Ottanta, e ha dichiarato che la sua ammirazione per la scrittrice era viva già allora. Per quali ragioni ha atteso più di trent’anni prima di scrivere di lei?
Questo Ritratto di Natalia Ginzburg è il libro più complesso che io abbia scritto. Arriva dopo un percorso di almeno altre tre opere sulle “vite degli altri”: La scrittrice abita qui, Addio a Roma, Marguerite. Senza essermi fatta le ossa con questi tre libri, che coniugano taccuino di viaggio, romanzo e affresco saggistico, non avrei avuto la capacità di orchestrare una narrazione polifonica come quella della Corsara.
Una delle citazioni poste in esergo al libro è una frase di Cesare Garboli, «Dove va a finire, nei libri che leggiamo, la persona fisica che li ha scritti?» Vorrei girare a lei questa domanda rispetto a Natalia Ginzburg e vorrei anche chiederle perché è così importante interrogarsi sulla persona fisica che c’è dietro le opere che leggiamo.
In Lo scrittore fantasma anche Philip Roth riconosce che, quando amiamo un autore, ci incuriosiamo di lui e vogliamo conoscerne la personalità e la vita. È una cosa normale, direi inevitabile. Si legge per entrare in contatto profondo con un altro io, se quel che ha scritto tocca emozioni forti, accende ricordi e sintonie. Oggi si tende a dare troppo risalto alle trame. La trama di un libro, per come la vedo io, è solo un espediente per mettere in contatto la nostra anima con quella del lettore. Un lettore ideale, che poi si moltiplica nelle tante persone reali cui il nostro libro piacerà.
Nella prima parte del libro racconta di un giudizio abbastanza duro di Natalia Ginzburg su un suo manoscritto. Che idea si è fatta della Natalia lettrice. Quali erano gli scrittori, le scrittrici e i romanzi che amava di più? E verso quali invece aveva un atteggiamento più critico?
È stato lo scrittore magistrato Salvatore Mannuzzu, amico della Ginzburg, a spiegarmelo. Mi fece notare che in quel mio primo romanzo, Navigazioni di Circe, circolava un’aria un po’ avanguardistica e combinatoria che Natalia rifiutava a priori, perché gli avanguardisti del Gruppo ‘63 erano suoi grandi detrattori. E in effetti fu uno di loro, il grandissimo Giorgio Manganelli, ad apprezzarlo per primo e farmi sul manoscritto un editing importante. Natalia, invece, dimostrando di non avere alcuna prevenzione contro di me, lodò altre mie cose, che scrissi in seguito, più vicine alla sua poetica.
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Sempre all’inizio di La corsara, raccontando il suo incontro con Natalia, lei scrive: «nella testa delle persone, e così nella mia, Natalia era eternamente la vedova di Leone Ginzburg». Che peso ha avuto nella vita di Natalia questo essere identificata come “vedova di”?
Leone Ginzburg, appena prima di morire, scrisse una bellissima lettera alla moglie, una lettera-testamento in cui le passava le consegne, le dava alcune fondamentali lezioni di vita e di scrittura. Natalia si mantenne sempre fedele a queste indicazioni, forzò persino la sua personalità riservata per entrare nell’agone politico, prima solo come opinionista “corsara”, poi anche come deputata. Insomma, in un certo senso è vero che rimane sempre la vedova di Leone, ma in questo senso: che Leone fu l’uomo che più contribuì alle sue scelte di impegno morale e politico. Con il secondo marito, Gabriele Baldini, si aprì una nuova stagione di vita, socialmente leggera e festevole, più mondana e aperta alle amicizie. Ma avevano caratteri e orientamenti letterari opposti, per esempio. Basti dire che per Baldini, grande amico di Manganelli, “la letteratura è menzogna”, mentre per la Ginzburg è “verità” o non è. Ci fu un’altra figura maschile fondamentale per l’influsso che ebbe sulla sua scrittura da Lessico famigliare in poi: Cesare Garboli, l’amico della sua vita adulta, il suggeritore di tante sue opere.
Natalia Ginzburg era molto amica di Pavese, al punto da dedicargli alcune pagine, tra le più emozionanti di Lessico famigliare. Può restituire ai nostri lettori in poche battute il tipo di amicizia che li univa?
A Pavese la Ginzburg ha dedicato pagine fra le più belle e profonde, non solo in Lessico. Ma la sua amicizia con lui non si capisce nella sua complessità se si esclude Leone. Leone era l’eroe, la guida, il maestro riconosciuto. Pavese e Natalia avevano un’intima fragilità e contraddizioni rischiose che Leone comprendeva e sapeva contenere. Sapeva, Leone, che quelle fragilità erano il prezzo del loro talento e non gli chiedeva di essere eroi. Ma pretendeva che non si autoingannassero, che fossero fedeli con estrema verità al loro compito. La morte di Leone ha unito Pavese e Natalia, ma ha anche segnato nelle loro due vite una frattura, per Pavese insanabile. Natalia, dopo un iniziale sbandamento, ha scelto di continuare a vivere. Del resto Leone glielo aveva indicato, direi ingiunto chiaramente in quella sua ultima meravigliosa lettera. Io credo, ma è solo un’ipotesi, che Natalia si sia salvata grazie a quella lettera e che abbia sempre sentito che la sorte suicida di Pavese, in mancanza di quel mandato finale, avrebbe potuto essere la sua.
Quale posto occupa oggi Natalia Ginzburg nella letteratura italiana? E il suo modo di essere scrittrice e intellettuale in che maniera può essere di ispirazione a scrittori, scrittrici e intellettuali di questo nostro tempo un po’ confuso?
Credo che abbia molto da insegnarci. Molti testi della sua produzione giornalistico-saggistica sembrano scritti per noi, per i nostri giorni. Ha fatto analisi di grande lucidità sulle derive cui avrebbero portato certi cambiamenti sociali, certe disinvolture nella politica, certe scelte editoriali improntate al rapido guadagno soffocando la libertà degli scrittori.
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Questa non è la prima volta che dedica un libro a una scrittrice. In precedenza aveva già pubblicato una biografia romanzata su Marguerite Duras. Ravvisa un legame tra queste due scrittrici? O almeno c’è qualche elemento in comune che l’ha affascinata?
Hanno in comune quella che definirei un’oltranza nella scrittura, una capacità di infrangere regole precostituite, di inventare una lingua solo loro. Sono le scrittrici europee forse più moderne e originali. Detto questo, per carattere agli antipodi.
Come si sta preparando per la serata finale del Premio Strega?
Cerco di non farmi travolgere dall’ansia della caccia all’ultimo voto, tipica di questo premio, e di godermi il mio terzo posto, posso dire inaspettato? Detto questo, lotterò per vincere, come necessario, perché non avrebbe senso se no accettare la gara.
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