Premio Strega 2016 – Intervista a Elena Stancanelli
Storia di un amore malato e di un’ossessione patologica, sono queste le definizioni maggiormente usate per il suo La femmina nuda. Fino a che punto si trova d’accordo con queste descrizioni? E come, invece, definirebbe il suo romanzo?
Sulla definizione “un amore malato” non sono molto d’accordo, perché il romanzo non racconta un amore, ma quello che accade quando una storia finisce. Quello che accade dopo, a mio avviso, non è sempre collegato con ciò che c’era prima e a un amore perfetto può seguire qualcosa di ossessivo che in precedenza non sussisteva.
Ad Anna succede che, nonostante tutto l’amore, si separa e, all’interno del materiale emotivo che prevedequella separazione, lei scivola in un’ossessione rovinosa, masochista, a cui non risponde in manierarazionale. Anche se dare una risposta razionale, in situazioni come queste, è spesso molto complicato.Se dovessi definire la storia che ho raccontato, ecco la descriverei come ciò che accade quando due personesi separano, quel territorio accidentato che riguarda le persone in quella condizione di separazione.
La protagonista è raccontata in tutta la sua nudità nella «gita nel regno dell’idiozia». Quant’è faticoso entrare così nella mente di un personaggio, metterne a nudo tutte le fragilità e le follie?
Per quanto possa sembrare paradossale, è più facile raccontare personaggi in una condizione di squilibrio di quanto non lo sia raccontare personaggi in equilibrio. Anche se non so dire se sia più semplice raccontare personaggi felici o il contrario. Di certo, per me è stato meno complesso narrare quella mancanza di equilibrio perché gli errori sono più permeabili dal punto di vista letterario.
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Sono poche le scrittrici che si cimentano con personaggi femminili di tale intensità. Molto spesso sono raccontati da scrittori. Perché, secondo lei, esiste questa sorta di asimmetria? E quanto è stato difficile “gestire” un personaggio come Anna?
Non so se sono d’accordo con lei quando dice che personaggi femminili più intensi sono stati descritti da uomini. Certo c’è molta più narrativa con voce maschile, e quindi è più agevole attingere a questa, anche per noi scrittrici. Fare una classifica, sotto questo punto di vista, è difficile, ma di sicuro ci sono molti personaggi potenti descritti da donne.
Da donna raccontare una donna ha il vantaggio di partire da dati acquisiti, come quelli di una fisicità condivisa, ma c’è pure lo svantaggio di una certa prossimità, che determina una mancanza di distanza. Che poi è ciò che succede quando uno scrittore lavora su un personaggio maschile.
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Le confesso che il nome della sua protagonista mi ha richiamato subito alla mente la Karenina di Tolstoj. Le sembra un paragone troppo azzardato, oppure qualche somiglianza c’è? Come ad esempio nella relazione con Davide?
Sono lusingata dell’accostamento, ma devo confessare che si tratta di una casualità. Anna era la protagonista del mio romanzo precedente, Un uomo giusto, ed era tutt’altro che una Karenina. Il nome è stato scelto per la sua semplicità, perché mi interessava che fosse altamente condivisibile, più che per gli echi letterari.
L’amante dell’ex compagno diventa “Cane”, privata quindi anche della sua femminilità in un certo senso. Una violenza ancora più atroce, considerato che a usare il termine spregiativo è un’altra donna?
“Cane” è un personaggio letterario, lo è soprattutto nella testa di Anna. È quello che lei immagina sia la persona di cui si è forse innamorato il suo ex. È costruita a modello delle sue ossessioni: spaventoso, feroce, brutto. Per questo la chiama “Cane”. Al confronto con la realtà, il personaggio di Cane si dissolve e torna a essere una persona come le altre. Cane esiste finché non c’è un incontro reale. È solo nella finzione che si presenta pieno di orrore.
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Anna è dentro tutti noi, fa parte della nostra normalità che si scontra con la perdita dell’amore, oppure è l’eccezione, che riguarda solo pochi di noi?
Immagino ci sia una parte piccola di Anna dentro tutti noi, perché questo poi dovrebbe fare la narrativa: andare a cercare qualcosa di condiviso e metterci su una lente per renderlo più evidente. Credo che questo meccanismo che si presenta alla fine di una storia faccia parte di tutti noi; quello che fa Anna è, però, un’eccezione all’ennesima potenza.
Come si sta preparando alla serata finale del Premio Strega 2016?
Da ora fino all’8 luglio abbiamo una piccola tournée che comincia domani e ci muoviamo tanto tra gli incontri dello Strega e le varie presentazioni del libro. Adesso sono a Urbino, per esempio. Così, grazie al cielo, non ho tempo di prepararmi.
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