Premio Campiello Giovani 2015 – Intervista a Clelia Attanasio
Clelia Attanasio è uno dei cinque finalisti del Premio Campiello Giovani 2015, insieme ad Anja Boato, Eva Mascolino, Loreta Minutilli e Gabriele Terranova. Vent'anni, campana, Attanasio si è presentata al Campiello con un racconto intitolato Fuoco, incentrato proprio su un incendio dalle misteriose origini, che sta distruggendo il mondo. Ma com'era il mondo prima del Fuoco? Il compito di raccontare il passato e custodire la memoria è affidato a una donna immersa nei ricordi, la quale, proprio per questo motivo, nutre una visione negativa del presente. Accanto a lei una bambina, che, al contrario, non avendo sperimentato l'esistenza prima del Fuoco, riesce a cogliere il bello di ciò che la circonda.
Clelia, ci hai raccontato che la scrittura è uno strumento utile soprattutto a te stessa, al di là del riconoscimento pubblico che ne può derivare. In che modo lo scrivere ti fa stare bene? Quali emozioni ti suscita?
Scrivo sin da quando ho imparato a farlo. Non è semplicemente qualcosa che mi fa stare bene, non è uno sfogo. Sono una persona molto estroversa, non ho mai avuto problemi a rapportarmi con gli altri e a dire ciò che penso. Ma scrivere trasmette la parte più profonda di me. Anche se non scrivo di cose personali (non ne sento la minima esigenza), ciò che narro porta con sé una parte molto intima del mio vissuto, delle mie idee, della mia sensibilità. Scrivere non mi fa stare bene: è un’esigenza.
Hai iniziato scrivendo poesie e sei passata, successivamente, ai racconti. Scrivi ancora poesie? Come mai questo cambio di genere?
Ho iniziato a scrivere poesie da adolescente, quando ancora non mi conoscevo abbastanza per razionalizzare le mie emozioni e i miei sentimenti. Non avevo idee organiche su ciò che avrei voluto trasmettere e ciò che provavo io stessa. Scrivevo senza sapere di scrivere davvero, in maniera “innocente”. Le poesie sono, secondo la mia opinione, l’espressione più immediata e innocente della scrittura. Esprime i sentimenti e le emozioni in maniera nuda e cruda.
Crescendo, ho acquisito una visione diversa di me stessa e del mondo, e ho capito che avrei voluto raccontare storie, persone. Purtroppo, non riesco a farlo con la poesia.
Qualche poesia la scrivo ancora, ma non mi soddisfano tanto quanto i miei racconti.
In Fuoco ci sono queste protagoniste, la donna ancorata al passato e la bambina proiettata al futuro. Due visioni opposte dell'esistenza, in forte contrasto. C'è qualcosa di Clelia Attanasio in uno dei personaggi? O sei un po' entrambi?
È inevitabile che, scrivendo, qualcosa di me si trascini in ognuno dei personaggi, nonostante la storia non parli di me e nonostante non ci sia nulla dei miei vissuti personali in ciò che racconto. Amo entrambi i personaggi, per motivi diversi, ma sento di essere più vicina sul piano emotivo alla donna protagonista: è in una fase di transizione, paradossalmente molto di più rispetto alla bambina che ha al suo fianco. Io ho appena vent’anni e sono nel pieno della fase di transizione della vita. Per cui, anche se questa donna è molto più grande di me, sento che ho molto in comune con lei: entrambe stiamo crescendo, modificando punti fondamentali del nostro carattere e delle nostre idee e stiamo finalmente conoscendo noi stesse, dopo anni spesi a conoscere gli altri. Anche la bambina certamente ha qualcosa di me: un’innata curiosità, che ha la capacità di rendere le cose che si guardano con occhi carichi di meraviglia e stupore.
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Hai citato tra i tuoi autori preferiti Dostoevskij, Ágota Kristóf, José Saramago e i tragediografi greci. La loro influenza ispira in qualche modo la tua scrittura?
Assolutamente. Leggere è fondamentale per imparare a scrivere. Forse scrivere è una dote innata, ma di sicuro leggere ti aiuta a rendere ciò che si scrive più tuo, anche se può sembrare paradossale. Leggere mi insegna a capire ciò che voglio scrivere. Dostoevskij è certo l’autore che più mi ha ispirato per il suo modo di scrivere e di caratterizzare i personaggi. La Kristóf, invece, ha scritto il libro che più amo in assoluto: Trilogia della città di K. È un libro che mi ha formata, stilisticamente parlando.
José Saramago, invece, è proprio tutto ciò che io non sarò mai: scrive con moltissime virgole e pochi punti, è complesso ed elegante allo stesso tempo. Ed è per la sua estrema diversità dal mio modo di scrivere che amo leggerlo e amo le sue storie.
Infine, i tragediografi greci mi hanno fatto capire il tipo di storie che avrei voluto, un giorno, scrivere: volevo, e voglio tutt’ora, parlare delle persone. I greci sono i primi in assoluto che hanno preso in considerazione l’uomo nella sua interezza e maestosità e fragilità.
Tra le altre tue passioni hai citato anche il cinema e la musica. Pensi che tutti questi interessi possano trovare, un giorno, spazio in qualche tuo racconto?
In qualche modo già lo fanno, anche se in maniera ovviamente indiretta. Tutta la musica che ascolto e i film che guardo condizionano il mio stile, le trame che scelgo. Non scrivo mai nulla senza musica in sottofondo, mi ispira e mi aiuta nella concentrazione. L’arte in generale è ciò che mi aiuta a scrivere meglio e con più passione, che mi ispira e mi dà una visione più ampia del mondo. L’arte è il prodotto dell’uomo per eccellenza, secondo me: quindi, senza essa, probabilmente non riuscirei a scrivere nulla, visto che amo scrivere delle persone e delle loro vite.
Progetti per il futuro? C'è un sogno letterario nel cassetto dopo il Campiello?
Il mio sogno più grande sarebbe poter pubblicare un libro, o una raccolta dei miei racconti. Sarebbe il coronamento di tanti anni di impegno, di tanti tentativi e tanta passione. Per ora, mi concentro sui miei studi di Filosofia. Studiare Filosofia è qualcosa che riempie la mia vita di felicità e piacere e alimenta tantissimo la mia passione per la scrittura; per questo il mio progetto futuro è di laurearmi, conseguire il Dottorato di Ricerca e lavorare sodo per intraprendere la carriera universitaria. Se dovessi riuscire nel realizzare questi due “sogni” potrei ritenermi felice.
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