Premio Campiello 2020 – Intervista ad Ade Zeno
Ade Zeno è entrato a sorpresa nella cinquina dei finalisti del Premio Campiello, superando tanti candidati più noti e prevedibili con il suo L’incanto del pesce luna (Bollati Boringhieri, quila recensione) nonostante si tratti di un libro di non facile lettura, incentrato sul tema sempre un po’ tabù della morte.
Protagonista è infatti un uomo che svolge le funzioni di cerimoniere in un Tempio Crematorio (come l’autore) e che quindi vive a quotidiano contatto con tutte le possibili manifestazioni del lutto.
L’incanto del pesce luna è un romanzo incentrato sull’approccio alla morte, un argomento che rimane un tabù per moltissime persone. Non ha avuto paura di scoraggiare in partenza i suoi potenziali lettori?
La morte è il nostro grande irrisolto, il più ingestibile fra gli spauracchi, siamo disposti a tutto pur di tenerlo a distanza. Evitando di parlarne alimentiamo l’illusione di neutralizzare la sua presenza, solo che in questo modo non facciamo altro che renderlo ancora più spaventoso. Certo, quando ho iniziato a scrivere l’Incanto ero perfettamente consapevole della possibilità di risultare respingente per alcuni lettori, ma è un rischio che ho corso volentieri: per come la vedo io la letteratura deve sempre offrire un certo grado di turbamento, purché non si tratti di un effetto gratuito, fine a sé stesso. Diciamo un disturbo in grado di destabilizzare senza offrire risposte, ma proponendo domande scomode.
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Lavorare quotidianamente a contatto con la morte quanto modifica della propria visione della vita?
Faccio il cerimoniere da molti anni, si tratta senz’altro di un lavoro che modifica radicalmente la visione della vita. Probabilmente anche un medico, un infermiere o un necroforo risponderebbero lo stesso: sono professioni che impongono da una parte il costante contatto con l’altrui dolore, e dall’altra costringono quotidianamente a fare i conti con il mistero della finitezza umana. Ovviamente esperienza e professionalità insegnano a mantenere il giusto distacco, ma l’onnipresenza del memento mori ti fa riflettere molto sul senso delle tue azioni, e sull’importanza di vivere ogni istante sapendo che potrebbe essere l’ultimo. Avere familiarità con la morte aiuta a comprendere quanto sia fondamentale ricondurla a una dimensione naturale: rimuoverla come il più pericoloso fra gli spettri non ci aiuterà a vivere meglio. Che ci piaccia o no, niente è eterno. E noi non facciamo eccezione.
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Gonzalo, il protagonista del suo romanzo, accetta di svolgere un lavoro orribile pur di assicurare un futuro migliore a sua figlia. Davvero si può arrivare a tanto in nome dell’amore?
Non lo so se si può arrivare a tanto, bisognerebbe trovarsi davvero in una situazione simile per rispondere a questa domanda. Però sono convinto che non esista sentimento più sovversivo dell’amore, il suo potere destabilizzante è formidabile, nel bene e nel male.
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Il fatto che un libro “difficile” come L’incanto del pesce luna sia riuscito a entrare nella cinquina finale di un premio prestigioso come il Campiello lascia sperare che non siano sempre i soliti noti e i romanzi più tradizionali ad occupare queste posizioni. Negli ultimi anni, del resto, abbiamo visto vincere o almeno arrivare in finale alcuni libri abbastanza fuori dagli schemi. Pensa che questo sia un buon segnale per il futuro oppure si tratta solo di fortunate coincidenze?
Al Campiello è sempre stata ampiamente riconosciuta una sostanziale autonomia rispetto alle dinamiche di potere editoriale che spesso animano e condizionano altri premi letterari, e la cinquina di quest’anno conferma senz’altro questa linea. Non sono certo che l’Incanto possa essere catalogato come libro “difficile”, però trovo confortante scoprire che anche scritture anomale e meno etichettabili abbiano qualche possibilità in più per raggiungere nuovi lettori.
Come si sta preparando alla serata finale del Premio Campiello?
Mi hanno chiesto di indossare un vestito decoroso e una cravatta nera. Mi sto organizzando, penso di potercela fare.
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