Premio Campiello 2014 – Intervista a Giorgio Fontana
Morte di un uomo felice, pubblicato da Sellerio, tratta anche la storia di una vittima del terrorismo. Da che cosa è nata questa scelta? Quali sono state le categorie di concetti che hanno animato la direzione durante la stesura del romanzo?
Spiegare come nasce una storia è davvero difficile, per me: non c'è una “scelta” precisa o un momento identificabile. Ma posso metterla così: appena chiuso Per legge superiore – con cui Morte di un uomo felice forma un dittico – sapevo che avrei voluto raccontare qualcos'altro ancora di Giacomo Colnaghi. In quel romanzo Colnaghi appare come personaggio minore dal punto di vista puramente narrativo, ma centrale dal punto di vista emotivo e ideale. E dunque mi ci sono buttato a capofitto: era una storia delicata e appassionante, inscritta a sua volta in un momento doloroso e complesso della storia italiana. Di certo non un tema facile da raccontare; così come non è stato facile costruire tutto il rapporto fra Giacomo e il padre partigiano Ernesto – il loro dialogo a distanza, che ritengo il cuore pulsante di tutto il libro. Quindi ho studiato come un pazzo, molto semplicemente; e ho cercato di dare il massimo, non accontentandomi mai. E come sempre accade, è stato durante le varie stesure che ho preso maggiore coscienza dei miei personaggi e delle urgenze che li attraversavano.
La giustizia torna come tema nei suoi romanzi, o meglio, il senso della giustizia. John Rawls, importante filosofo americano, scrisse nel suo celebre Una teoria della giustizia: «Poiché la verità e la giustizia sono le virtù principali delle attività umane, esse non possono essere soggette a compromessi». Come si rapporta il magistrato Giacomo Colnaghi con tale assunto?
La frase del grande John Rawls troverebbe interamente d'accordo Colnaghi; purtroppo nelle cose umane i compromessi sembrano all'ordine del giorno. Più nel dettaglio, credo che la visione della giustizia di Colnaghi abbia una forte connotazione idealistica. A differenza del collega Roberto Doni, protagonista del romanzo precedente, ritiene che la giustizia non si riduca all'amministrazione e interpretazione (per quanto onesta e cristallina) delle leggi: crede che senza un margine di dubbio, di pietà e di interrogazione etica, si rischi sempre di abusarne. Non è certo una posizione semplice da difendere, del resto: e anche il suo motto – «Eccezioni sempre, errori mai» – si può prestare a numerosi fraintendimenti. Comunque, filosofo per filosofo, credo che Colnaghi apprezzerebbe ancora di più questo invito di sant'Agostino: «Adempi, o giudice cristiano, il dovere di un padre amorevole; sdegnati contro l'iniquità in modo però da non dimenticare l'umanità: non sfogare la voluttà della vendetta contro le atrocità dei peccatori, ma rivolgi la volontà a curarne le ferite».
L’EXPO sta portando molta attenzione verso l’area nord-ovest di Milano, mentre lei, nel suo romanzo, si concentra in particolare nel nord-est della città meneghina. Storie lontane nel tempo quelle della criminalità brigatista e dei colletti bianchi contemporanei, intravede qualche filo rosso su cui forse i media, non la magistratura, indugiano ancora ad indagare?
Davvero non so cosa rispondere, nel senso che non ho alcuna conoscenza di fatti o “fili rossi”, e non sono uno storico. Credo anzi che uno scrittore si debba limitare a raccontare delle storie – le proprie storie. Non mi piace l'opinionismo facile; quando non so, preferisco tacere.
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La caratterizzazione dei personaggi passa, nella sua storia, attraverso tanti piccoli gesti, la sua curiosità verso il particolare ha motivazioni precise?
La descrizione è la parte della scrittura che mi piace di più, o almeno quella dove mi trovo più a mio agio (a differenza, ad esempio, della stesura dei dialoghi). Amo far emergere la personalità attraverso i gesti e i dettagli; e ancora di più amo trattare gli spazi come personaggi a loro volta. In questo romanzo come nel precedente ho provato a rendere Milano proprio con un lento accumulo di particolari; cerco sempre di scovarne di nuovi, di inediti, di meno scontati: così come cerco di lavorare sui cinque sensi invece che sul solo campo visivo. Lo stesso per i personaggi; anche se non ho dogmi "minimalisti" – mi piace anche entrare nella loro testa, o descriverne una sensazione – preferisco farli emergere con una lenta somma di dettagli, persino di minuzie. È un po' come scolpire un bassorilievo.
Dunque volevano vendetta. Difficile non rimanere coinvolti dalla primissima parte dell’incipit. Spiegherebbe ai nostri lettori come mai questa scelta e come le è venuta l’idea?
Gran parte del romanzo ruota attorno alla contrapposizione tra vendetta e giustizia: ma come dicevo parlando dell'atto di nascita di una storia, non è semplice spiegare come salti fuori un incipit, come "venga un'idea". In tutta franchezza credo sia impossibile, almeno per me: non esistono trucchi o ricette del mestiere, qui si va per illuminazioni e tentativi. Nel caso di Morte di un uomo felice sono stato fortunato: il primo incipit – «Dunque volevano vendetta» – è rimasto tale e quale attraverso le successive stesure. Mi sembrava, e mi sembra tuttora, un buon inizio: volevo aprire il romanzo con una frase breve e incisiva, e così è stato.
Come si sta preparando alla serata finale del Premio Campiello 2014?
Quanto a mondanità valgo zero. Davvero, zero assoluto: sono un tipo da birra Moretti con amici intimi. Quindi diciamo che non mi sto preparando in nessun modo; cerco solo di restare sereno. Sarà senz'altro una serata molto emozionante: non avendo aspettative particolari (la mia testa si è fermata all'ingresso in cinquina), mi auguro semplicemente di divertirmi.
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Commenti
Morte di un uomo felice e' un romanzo bellissimo e intenso ; scritto in modo semplice e magistrale.
Gli auguro tutta la fortuna che merita
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