“Perdonabile, imperdonabile”. I consigli di Valérie Tong Cuong per imparare a perdonare
Perdonabile, imperdonabile è il nuovo romanzo della scrittrice parigina Valérie Tong Cuong, pubblicato da Salani nella traduzione di Monica Capuani. Dopo il successo dell’Atelier dei miracoli, vincitore del Prix de l’Optimisme 2014 e tradotto in 16 Paesi, un’altra storia in grado di svelare le emozioni più intime dell’essere umano. Un evento traumatico, come un grave incidente in cui è coinvolto un bambino di dodici anni, può ridurre in frantumi l’equilibrio di una famiglia? Il risveglio di sopite emozioni è sempre collegato a un doloroso imprevisto?
Molti sono gli interrogativi sulla vulnerabilità dell’essere umano che emergono dalla lettura di questo romanzo. A rispondere è la stessa Valérie Tong Cuong, che abbiamo intervistato durante una sua visita a Roma.
Perdonabile, imperdonabile affronta un tema forte: la disperazione di una famiglia di fronte a un fatto tragico in cui è coinvolto un bambino. Come è nata l’idea di questo libro?
Mi era chiaro che volevo parlare del perdono come terreno da esplorare. Questo incidente è arrivato come un’ispirazione che non avevo programmato prima. A posteriori mi rendo conto che era necessario cominciare con uno shock che fosse in grado di coinvolgere tutti i membri della famiglia. L’unico elemento comune a tutti doveva essere messo in difficoltà e l’amore per questo ragazzo era la sola cosa che li accomunava.
In questo romanzo viene esplorato l’animo umano mettendone a nudo le più intime fragilità e debolezze. I quattro personaggi sono le voci narranti della storia e raccontano in prima persona i propri stati d’animo. Se avesse scelto di utilizzare una voce esterna sarebbe stato ugualmente possibile trasmettere al lettore le emozioni dei protagonisti?
Alla terza persona non sarebbe stato possibile ottenere lo stesso risultato. La prima persona è indispensabile affinché vi sia una presa diretta con gli eventi e i protagonisti possano comunicare le proprie emozioni, esprimendo il loro punto di vista rispetto alla storia. Alla terza persona avrei creato una distanza. Durante la scrittura ho fatto anima e corpo con i miei personaggi e desideravo che il lettore facesse lo stesso, ossia che potesse vedere gli errori di ognuno in modo diretto e capirne il motivo. Inoltre, aggiungo che la prima persona era indispensabile per far capire al lettore come sia possibile arrivare al perdono.
Il romanzo è suddiviso in parti: collera, odio, vendetta, amarezza, perdono. Di fronte al dolore e alla paura, tutti e quattro i personaggi attraversano questi stadi emotivi in cui vengono a galla vecchi rancori, rimpianti e rimorsi, che ognuno aveva celato dentro di sé per anni. Crede che queste fasi siano necessarie oppure è possibile perdonare incondizionatamente?
Non credo sia possibile perdonare senza passare per queste tappe. Alcuni restano impantanati in una di esse e non riescono a perdonare. Anche perché, quando si parla di perdono, si parla si cose pesanti che divorano in profondità, non si tratta di piccoli sgarbi o semplici incomprensioni. Queste fasi sono stadi emotivi obbligatori e concatenati. La collera si trasforma velocemente in odio, non appena individuato il colpevole. L’odio genera vendetta. Tuttavia, il desiderio di regolare i conti con chi ti ha fatto del male non sempre può essere soddisfatto e ci si ritrova così nello stadio dell’amarezza, in cui ti accorgi che tutto è peggiorato. Capisci di essere intrappolato in una gabbia e di esserti inflitto una doppia pena: la prima è la ferita e la seconda è una vita oscurata dall’odio e dalla vendetta. Con il tempo ti rendi conto che solo perdonando puoi andare avanti. In questo caso, il perdono non è un regalo che fai all’altro ma un regalo per te stesso. Credo che queste tappe siano obbligatorie in quanto parti del cammino umano.
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I protagonisti appartengono alla stessa famiglia. Una famiglia in cui tutti vivono nella menzogna, nascondono dolorosi segreti. Lei ha fiducia nel valore della famiglia?
Credo nella famiglia, luogo di amore in cui spesso è difficile trovare un equilibrio. Spesso all’interno della stessa si soffre di rivalità, di cose non dette e si utilizzano bugie per proteggere l’altro. Se si parlasse di più, tutto sarebbe più facile e le cose andrebbero meglio. All’interno si creano anche importanti legami che ci permettono di andare avanti. Ognuno trova una spalla su cui poggiarsi, come avviene nella storia tra Marguerite e Milo. Un equilibrio globale tra i suoi membri non esiste. All’interno della mia famiglia incoraggio a parlare, a confrontarsi e a dire tutto quello che non va. Ci tengo a sottolineare che Perdonabile, imperdonabile non è un romanzo cupo. Il messaggio che ho voluto trasmettere è il seguente: la famiglia ti porta verso la luce e dopo essersi spezzata si ricostruisce su nuove basi più forte di prima, come avviene nel mio romanzo.
È necessario un avvenimento traumatico per smettere di mentire a noi stessi e agli altri? Secondo lei perché, talvolta, l’essere umano preferisce vivere nella menzogna piuttosto che affrontare la verità?
Dal mio punto di vista si potrebbe decidere di fare pure senza che intervenga uno shock. Anche se, nella maggior parte dei casi, è un evento traumatico, quale un incidente o una malattia, diciamo un incidente di vita che ci riporta all’essenza delle cose, aiutandoci a mettere le carte in tavola e ad affrontare le nostre menzogne più intime. La vita è una dualità, fatta di cose facili e difficili. Quando capitano le cose difficili si deve essere in grado di risolverle utilizzando degli strumenti. Ecco perché a un certo punto della storia la mamma di Milo dice: «Milo è caduto per aiutarci a crescere». Se fossimo abbastanza saggi capiremmo che da un fatto tragico può venire qualcosa di buono. Senza uno shock ci si crogiola in situazioni sicure, anche se non ideali per evitare rischi e affrontare la realtà.
Come detto in precedenza, i personaggi principali sono quattro più il piccolo Milo. Mentre scriveva il suo romanzo, si è affezionata a qualcuno di loro in particolare?
Io provo un affetto particolare per Marguerite. Sicuramente ha una parte di responsabilità in merito all’incidente di Milo, essendo con il bambino in quel momento. Nella sua vita ha sempre subito ed è la prima vittima come si capisce nel corso della storia. Le menzogne che racconta e i suoi comportamenti non sono altro che una richiesta di amore, quell’amore che la sua stessa madre le ha negato da piccola. Io stessa, da madre, trovo toccante e sconvolgente una simile situazione. Comunque, direi di avere amato tutti i miei personaggi.
E il suo personaggio preferito qual è? Mi domanda Valérie Tong Cuong. Le rispondo, senza esitazione, Celèste, la mamma del piccolo Milo. La sola, secondo la mia opinione, capace di amare incondizionatamente tutti i suoi congiunti.
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