Oriente e Occidente si incontrano nella “Diva futura” di Fabio Viola
Si intitola Diva futura il nuovo romanzo di Fabio Viola, pubblicato da Indiana Editore, dove Oriente e Occidente si incontrano in un mix godibile e fresco, a tratti disincantato, a tratti ironico e beffardo.
Protagonista è Maki, una quarantenne giapponese che ha un lavoro regolare in ufficio, inquadrata e precisa, che intende diventare una popstar senza averne minimamente le qualità né le capacità. Si impegna per raggiungere questo obiettivo con tutta se stessa, sostenuta, con qualche disappunto e tanta pazienza, dal fidanzato italiano – l’Io narrante – che accetta, suo malgrado, di lasciare Osaka e di tornare in Italia per tentare la carta del successo discografico. Maki – in arte Maky Lovely – si propone ai provini e alle band con mise improbabili e qualità tecniche vocali inesistenti, riuscendo, però, a costruire un personaggio che a tratti ha qualcosa di interessante.
Fabio Viola, profondo conoscitore della cultura giapponese, riesce a costruire uno spaccato interessante dell’incontro tra Oriente e Occidente, in cui emergono tantissimi spunti che vanno dalla voglia di emergere e di apparire a tutti i costi all’attrazione per qualcosa che è diverso da sé, dall’emigrazione lontano da casa, lontano dall’Italia, alla passione e alla tenacia nell’inseguire i propri sogni, proprio come fa Maki, la Diva futura di Fabio Viola.
Maki, la protagonista del suo romanzo, è un simbolo di un certo modo di essere/vivere in Oriente? Esiste davvero, o è un mix di tanti elementi che ha riscontrato tra le ragazze giapponesi quando viveva a Osaka?
Il personaggio di Maki è ispirato a una mia ex studentessa, naturalmente con moltissima libertà da parte mia, ed è frullato insieme a una miriade di altri elementi che per me sono universali, appartengono a questo secolo e a questo pianeta, non solo al Giappone. Non vuole essere il simbolo di niente, ho troppo rispetto per il Giappone per proporne una chiave di lettura o farne una banale allegoria. Rifuggo l’orientalismo, che invece mi sembra sia inconsciamente accettato come approccio standard verso l’altro da sé, soprattutto se distante geograficamente. Di certo, gli aspetti più pop, la patina di assurdità che riveste l’esperienza musicale di Maki in patria, sono una piccola satira del mondo degli aidoru e del J-pop. Ma lungi da me l’intento di essere esaustivo o di applicare etichette. Il Giappone, come ogni realtà, è complesso e sfaccettato e incontrandolo ci si accorge di quanto sia “normale”, umano. Sempre che lo si desideri.
Ogni cultura è bella in sé: che cosa le piace in particolare della cultura e dello stile di vita giapponese, rispetto a quella italiana?
Non ho la presunzione di discettare di cultura giapponese VS cultura italiana. Parlo a titolo personale: il senso di potente famigliarità che ho sentito a Osaka dal momento in cui ci ho messo piede è sufficiente a giustificare la mia attrazione per il Giappone. Amo Osaka perché la percepisco come casa, perché la trovo bella a prescindere dal suo valore architettonico, perché i ritmi, gli spazi e il modo in cui la città è vissuta si accordano alla perfezione al mio modo di stare al mondo; in ultima analisi perché lì mi sono sentito vivo. In Italia, invece, mi sento un ospite, se non proprio un prigioniero, e dopo quattro anni ancora fatico a riadattarmi. Non amo la sciatteria, l’essere sguaiati, il vittimismo, l’eterna assertività e il bigottismo italiani. Sono aspetti che, per come la vedo io, schiacciano il buono che questo Paese avrebbe da offrire.
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Ha pensato che con questo romanzo, prima o poi, sarebbe emerso un paragone con Amélie Nothomb? Nel caso, le dà più piacere o fastidio?
Non ci ho mai pensato. Anche perché a mio avviso il suo punto di vista sul Giappone è cinico più che lucido, e spesso sfocia in un semi-inconsapevole razzismo.
La sua scrittura in Diva futura, asciutta e iconica, sembra velata di malinconia e accompagnare con una certa reticenza le esperienze di Maki....
Con Diva futura ho sperimentato uno stile diverso rispetto al mio “solito”. C’è una componente satirica, sia nel contenuto che nello stile, c’è molto disincanto, ma a parte questo ho provato a iniettare nella lingua dosi di empatia e tenerezza. Confesso che mi sono divertito molto a scriverlo, e credo che si senta. Mi piace pensare che un giorno riuscirò di nuovo a scrivere qualcosa con la stessa euforia, ma anche se non dovesse succedere mi ritengo soddisfatto.
Quanta distanza c’è tra l’Io narrante di Diva futura e Fabio Viola?
Tutta la distanza che serve.
Che cosa pensa del fermento della narrativa italiana degli ultimi anni? Che cosa ti piace di più in questo momento?
Dice che c’è fermento? In questo periodo sto leggendo molta saggistica scientifica e ho avuta una ricaduta nell’ossessione per la letteratura giapponese del Novecento. Poi mi piace molto Houellebecq. Di italiani che leggo e apprezzo naturalmente ce ne sono. Non amo fare liste di nomi ma un titolo voglio darlo. A febbraio uscirà per Baldini&Castoldi il primo romanzo di Giorgio Specioso. Si intitola Dinosauri e io, che ne ho lette varie incarnazioni negli anni, lo trovo bello, originale, davvero speciale. Spero che abbia l’accoglienza che merita e che incontri il suo pubblico – che poi è l'ostacolo maggiore per un libro, da sempre ma soprattutto oggi.
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