"Ologramma per il re" di Dave Eggers
Di Dave Eggers abbiamo già parlato quando in Italia è stato pubblicato Zeitoun, che raccontava la storia di un iraniano immigrato negli Stati Uniti in seguito alle vicende legate all’uragano Katrina. Un mese fa, è uscito per Mondadori il nuovo romanzo dell’autore americano, Ologramma per il re, con la traduzione di Vincenzo Mantovani. Il titolo originale è A hologram for the king ed è stato pubblicato negli Stati Uniti nel giugno 2012, edito da McSweeney’s, la casa editrice fondata dallo stesso Eggers. Il romanzo è stato finalista al National Book Award.
«Alan Clay si svegliò a Gedda in Arabia Saudita. Era il 30 maggio 2010. Aveva passato due giorni in aereo per andarci». Il romanzo comincia così. Alan Clay è in Arabia Saudita, per conto della ditta Reliant, con il compito di vendere al re Abdullah un’avanzatissima apparecchiatura tecnologica capace di far apparire le persone in 3D. La presentazione dovrebbe avvenire nel tendone dei congressi di Economic City, la mirabolante metropoli che il re saudita ha intenzione di costruire dal nulla in pieno deserto, un’oasi moderna nel bel mezzo della natura più inaccessibile. Per la missione è stato scelto lui solo perché un tempo aveva incontrato il nipote del re, ma i suoi dirigenti nutrono scarsa fiducia nelle sue capacità. Come del resto lui stesso. Alan ha perso il lavoro, è divorziato, ha il conto in rosso e non sa come mantenere la figlia Kit al college. È convinto che il bozzo che ha sulla nuca sia un tumore che gli sta prosciugando tutte le energie. Un cinquantenne in crisi che fa i conti con il suo passato, con la sua vecchia attività di agente commerciale per la Schwinn, la ditta produttrice di biciclette. Questa missione gli serve per riscattarsi, per dimostrare di valere ancora qualcosa. Ma i giorni passano e il re non si fa vivo. Nel frattempo Alan conosce Yusef, uno studente di economia che fa l’autista per arrotondare e si guarda le spalle dal marito dell’ex fidanzata che probabilmente vuole ucciderlo, e la bella dottoressa Zahra Hakem, grazie alla quale scoprirà che il suo bozzo non è un tumore. Non sta morendo, non c’è nessun corpo estraneo a destabilizzarlo. É lui stesso la causa dei suoi problemi.
Dave Eggers, dopo svariate opere di non-fiction, è tornato al romanzo per raccontarci la storia di un uomo cinico e demoralizzato. Eppure l’autore statunitense non rinuncia a mostrarci, proiettate sullo sfondo, le sfumature bizzarre della nostra società. La globalizzazione, gli esiti della delocalizzazione delle imprese, la smaterializzazione dei nostri beni, delle cose, degli oggetti, dei valori, sono la sottotrama spessa e robusta su cui poggia l’intera vicenda. Del resto Alan ha perso il lavoro proprio quando la sua azienda, sotto suo stesso suggerimento, ha deciso di spostare parte della produzione a Taiwan e dirottare lì sempre più pezzi della catena di montaggio, finché a loro non è rimasto più nulla da fare.
Per raccontarci il deragliamento della nostra epoca, Eggers ha scelto l’Arabia Saudita. Un paese che sembra «operare a due livelli, ufficiale e reale», dove esistono regole e leggi inflessibili, ancorate al Corano e alla tradizione, che nessuno sembra però rispettare. Un paese a due velocità, dove una natura desertica e ostile e una popolazione conservatrice e sonnacchiosa si interfacciano con i grattacieli enormi, con le autostrade dritte e immacolate, che si estendono per chilometri, con il progetto mirabolante del re di costruire una metropoli futuristica fondata sul niente. La deviazione estrema di un mondo che sta cambiando a una velocità incontenibile, incomprensibile persino ai suoi stessi abitanti.
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Alan Clay commerciava biciclette, oggetti che si potevano toccare e cavalcare, seguiva il mantra «denaro, avventura, autoconservazione e identificazione», che aveva imparato anni prima come venditore ambulante. Quando in America la popolazione si divideva ancora tra chi acquistava e chi produceva e le due parti si rispettavano e invertivano. Adesso tutto è cambiato. Ron, il padre calzolaio di Alan, l’aveva capito da un pezzo, per questo non riesce ad apprezzare ciò che fa il figlio, «altro che tridimensionale, Alan. Queste sono cose vere. Laggiù stanno facendo cose vere, e noi facciamo ologrammi e siti web, seduti in poltrone fatte in Cina, davanti a computer fatti in Cina, passando su ponti fatti in Cina. Ti sembra sostenibile Alan?».
L’ologramma per il re Abdullah diventa la metafora del nostro mondo occidentale ormai allo sbaraglio, impegnato a dissimulare e ingannare la realtà, a sciogliere lo spazio e il tempo, a trovare sempre migliori sistemi per illudersi. L’Arabia Saudita è un Paese spartiacque e il re è impegnato in un’impresa estrema: spendere i miliardi derivati dal petrolio per tirar su cemento e mattoni e costruire una città impossibile, condannata a non esistere, a non avere abitanti. Questo è quanto, piano piano, Alan pensa e comprende mentre aspetta il re sotto il caldo, mentre attende di presentare un ologramma a una persona che è già ologramma essa stessa. Questo è quanto pensiamo e capiamo anche noi lettori, ancor prima del personaggio che stiamo osservando, con interesse e con un po’ di compassione. Quello che la nostra società sta costruendo è un mondo finto e invivibile. Eppure speriamo comunque di trovare il modo di abitarlo, di afferrare un nuovo senso nelle piccole cose, le uniche capaci di riscattarci; «ancora una volta la cosa più importante per un uomo era la sua utilità. Non consumare, non guardare, ma fare qualcosa per qualcuno che ne migliorasse la vita, anche per pochi minuti».
Con il suo ritorno al romanzo, Dave Eggers riesce senz’altro a regalarci qualche minuto di soddisfazione. Lo fa con una prosa solida e lineare, dritta come un’autostrada nel deserto, piena di dialoghi minimali, precisi come frecce. Lo fa con maestria, con consapevolezza, con fiducia. Per questo il talento di Dave Eggers, anche in questo strano mondo a due dimensioni, è un qualcosa che difficilmente può essere messo in discussione.
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