Non guardarti indietro. “Un marito” di Michele Vaccari
Per la collana “la Scala”, Rizzoli pubblica Un marito, di Michele Vaccari, il racconto della vicenda, prima quasi monotona nei suoi ritmi abitudinari e poi sempre più inquieta e tormentata, di una coppia di rosticcieri travolta dall’imminenza dei cinquant’anni, dal desiderio e dalla paura di cambiare rotta, sfuggendo all’ordinario.
In una Genova in cui il Sole, illuminando dapprima – come un «lampo al rallentatore» –, Vernazzola e Boccadasse, per passare poi a tangere tutti i quartieri fino a Staglieno («la città muta dove regnano i morti») e la Luce – sua emanazione – sfidando i dedali e infiltrandosi fra caruggi e doghe di persiane ricostruiscono la città della Litania di Giorgio Caproni (la Genova di «Brezza e luce in salita», di «straducole» – che Vaccari elenca in maniera quasi maniacale generando un forte effetto di realtà –, e «casamenti») e, per la precisione a Marassi, ove «il degrado è bellezza», vivono e lavorano Ferdinando e Patrizia.
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L’assillo della nominazione si spinge all’estremo quando entriamo in rosticceria («Il passo rallenta, la vista comanda»): l’autore sembra riprendere l’assunto, derivato da Bauman e prima ancora da Benjamin, secondo cui attraverso i nomi l’uomo comprende gli oggetti e se ne nutre, li fagocita per poi confrontarsi coi suoi simili.
È, dunque, un trionfo di ricette conservate e perpetuate da secoli (diversi i richiami, di un preziosismo popolaresco, a La cucina di strettissimo magro, di Padre Gaspare Stanislao Delle Piane), di forme dialettali e di coloriture regionali: dalle torte pasqualine in cui prevalgono «l’aspro e il granulare del caglio rappreso» della prescinseua, a «cime classiche o alla savonese, ripieni […] savoiarde […] tomaxelle o pignolini fritti, seppie in zimino e vitelli tonnati, […] polli alla diavola, […] tocchi di matamà o di funghi secchi», fino a «Frittelle di borraggine, fiori di zucca al forno […], polpettone di fagiolini»; e ancora, castagnacci e frisceu; taglieri di formaggi (Bruzzu, Zuncò, Recheuto…), trippa rossa, coniglio alla ligure.
Nell’ultimo libro di Michele Vaccari, dalla routine quotidiana e divoratrice vissuta insieme, dalla rosticceria come ultimo argine contro il cambiamento, la novità e gli sconvolgimenti, da questo bosco sacro scelto per la vita (il capitolo iniziale si intitola «LUCUM»), la coppia, prima così salda, si dirige verso lo sfilacciamento, la separazione e la morte, complice l’idea di un viaggio, anzi di una brevissima vacanza, a Milano.
Il secondo capitolo («CALIGANTEM») segna, attraverso un incipit straniante, in una squallida «Stanza» in penombra, con al centro una poltrona grigia, l’entrata di Ferdinando nell’oscuro tunnel dell’oblio: l’uomo, ora solo, trascina la sua parvenza di vita in un quadrilatero vizioso che, ai suoi vertici, ha la casa, ormai solitaria; la rosticceria, prossima al fallimento; Milano, a sua volta ingabbiata in una serie di quadranti, luogo di domeniche votate alla ricerca indefessa di Patrizia; la Stanza in cui, settimanalmente, ogni lunedì, provvede all’inoculazione di dimenticanza.
In questa vita grama e allo sbando, i parenti di Patrizia, presumibilmente morta, cercano di aiutare Ferdinando; grazie a una psicologa, e l’uomo riesce a far tornare a galla «la Tragedia»: l’ultimo capitolo, «FORMIDINE», è dedicato alla riemersione dello spaventoso trauma che l’ha orbato dell’unica sua ragione e del solo suo sostegno nella vita. Un primo superamento delle difficoltà si ravvisa quando decide di parlare in pubblico, con grande coraggio, del proprio dolore fino a quel momento rimasto muto.
Ferdinando è sopravvissuto all’esplosione di una bomba in Piazza Duomo; il cadavere della moglie risultava disperso: nonostante ciò, era stata annoverata nel computo dei defunti. I due anni successivi a questo lutto a metà sono stati per il marito un ripetuto guardare indietro, un continuo ritorno sui passi già cancellati di una vita perduta.
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Nel finale, l’orrore e la speranza della vita personale di Ferdinando arrivano a saldarsi alle paure e ai sogni di una società in cui configgono una tensione anarchica verso il nuovo e una brama violenta di passato, la stessa tensione che, in piccolo, aveva animato la coppia; il romanzo muta la sua facies passando dal dramma privato alla distopia lasciando magistralmente intatto il filo principale della storia, l’eterno scontro (e incontro) tra la volontà di cambiare rotta e quella di rimanere ancorati alla ricchezza della propria rosticceria interiore.
Per la prima foto, copyright: Nicholas Barbaros.
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