Mary Shelley e il potere delle parole
Le parole hanno in sé un enorme potere, quello di rendere possibile il cambiamento sociale, talvolta anche una vera e propria rivoluzione. È per questo che spesso molti intellettuali e scrittori si sono espressi contro il silenzio accondiscendente. Tra questi possiamo annoverare senz’altro Mary Shelley che di questo tema di è occupata nel suo penultimo romanzo, Lodore.
Seguendo il punto di vista di Lodore Ethel, una giovane donna di grande forza intellettuale, istruita attraverso la lettura dei classici e in grado di sopravvivere a molte gravi atrocità della vita, Mary Shelley scrive:
«Le parole hanno più potere di quanto chiunque possa pensare; è attraverso le parole che si portano avanti le grandi battaglie, in questi tempi civilizzati; non ho mai esitato a usarle, quando ho dovuto combattere a favore degli oppressi e dei poveri. Le persone hanno così paura di parlare, sembra che la metà dei nostri simili sia nata con qualche problema fisiologico; come i pappagalli ripetono la lezione che è stata loro insegnata, ma la loro voce viene meno, quando l’unica cosa da fare è mettere paura al tiranno.»
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La stessa Shelley ha fondato la sua vita sull’idea secondo cui le parole non solo sono il miglior strumento che abbiamo a disposizione per sostenere il cambiamento, ma anche il modo migliore che abbiamo per relazionarci agli altri, per condividere la nostra intimità e comprendere quella di chi ci sta intorno, così da dare vita a quell’impulso profondo verso la simpatia e la solidarietà. Del resto sempre in Lodore scrive:
«Si può a malapena definire vita quell’esistenza che non ci porta in intima connessione con i nostri simili.»
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È evidente dunque come anche per Mary Shelley, l’autrice del famosissimo Frankenstein, le parole abbiano un potere eccezionale, quello di spingerci in connessione con l’altro e al contempo di dare il via a moti di rivolta verso un eventuale tiranno.
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