Maria Borio, la voce talentuosa e forte della sua poesia
Puntata n. 83 della rubrica La bellezza nascosta
«Può capitare che la scena indifferente di questa sera/si espanda come uno schermo verde dietro la nuca/ricostruisca lì il senso di quanto abbiamo amato/naso contro naso, un sorriso inverosimile/camminare il lato nord della stazione osservando tutto/il posto degli uomini che/dormono sulla strada/in un sonno irreale bucare i piedi nella coperta,/ritrovare le vite sopra la nuca/in un silenzio che sfila i pensieri/finché nel traffico diventano immagini.»
La vita è un percorso fatto di sottrazioni, da quando siamo bambini ci insegnano a cosa dobbiamo rinunciare, quali sogni dobbiamo mettere da parte; capiamo che anche i corpi che ci circondano vanno via per detrazione, un giorno ti svegli e tutto quello che per te sembrava reale cambia forma, si trasforma, ti colpisce in pieno petto facendoti perdere qualche battito cardiaco.
I morti che contiamo, per strada, sono la somma del bene che dobbiamo lasciare andare, sono un’addizione delle cose che dobbiamo accettare per forza.
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Con il tempo capiamo che vivere è un gioco matematico, dove non c’è un reale possesso su niente e dove il controllo è una bugia che ci raccontiamo dalla notte dei tempi per non impazzire pensando alla fine, al buio, al nulla.
Maria Borio è nata nel 1985, questa raccolta di versi che prende il nome di Trasparenza è stata pubblicata dalla casa editrice Interlinea.
Poesie che ci raccontano di ciò che è puro e di ciò che è impuro. La cronaca di una società creata dal mondo digitale, un posto liquido i cui ci lasciamo vivere, come se ogni essere umano passasse le sue giornate dietro un grande vetro, e resta l’uomo con la sua natura da una parte, e la tecnologia, tutto il resto, dall’altra, e non si sa chi dei due sia in esilio.
Trasparenza è una raccolta bellissima, e su questo non ci sono dubbi. Tra le pagine vivono la purezza del mondo, l’innocenza dello sguardo bambino, e l’impurezza del reale, lo sporco, la cicatrice. La voce di Maria Borio è talentuosa e forte, perché tra le sue righe sembra esserci tutta la sofferenza e la difficoltà di un vivere che certe volte va al di là delle nostre possibilità.
«Stesa sul letto a volte vedi forme,/curve che entrano e spirali che evadono./Gli organi trasparenti in alto si aprono/e diventano una linea morbida che insegue se stessa,/pulisce il respiro dai colori scuri – il colore del sangue,/o quello denso della carne dove nascono le api./Nulla si rigenera, ma è/prolungato, infinto/nella linea che pulisce gli oggetti e fa cose/per pensare, per abitare: un grande uovo, ad esempio,/si spacca senza perdere liquido e bianchissimo invade/gli angoli del soffitto, apre un arco, una porta/tra i continenti.»
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Non c’è tempo, è questo uno dei messaggi della Borio, pensiamo di avere il tempo per fare, per inventare e reinventarci, crediamo che le occasioni perse ricapiteranno, torneranno, e invece dobbiamo arrenderci allo scorrere inesorabile delle ore, al flagello delle lancette, che, senza rendercene conto, ci proiettano in un corpo vecchio, invecchiato, pieno di rimpianti, zeppo di nostalgia per quello che non è stato.
«La finestra a una luce dice non immaginate,/appoggiatevi alla parete come fosse una strada.
La schiena nuda non ha più freddo. Ecco le cose/che ci abitano: il vetro trasparente, il muro opaco, noi per le cose, una strada curva sul muro,/il muro dentro vene lenticolari. Tutto batte/come bronzo sul deserto: è innocenza/che muove la testa. Mi abiti così, come il giorno/sulla piazza che Giordano Bruno era quel piccolo/fuoco di tutti. Ti abito come il suono che si stacca/tra i palazzi incastrati, la campanella sul muro duro/caldo come un liquido muove la testa.»
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Tutto quello che vediamo è filtrato, distorto, e Maria Borio ce lo mostra parlandoci di vetri, di nebbie, di fumi, di schermi. Non il semplice atto di guardare, ma la visione di sé e dell’esterno è uno dei cardini di questo libro, una ricerca a tratti affannosa, leggera in altri punti, di ciò che siamo, e di ciò che non siamo mai stati capaci di essere.
«Hai il petto spaccato, scrittura e lavoro/sono immagini: l’acqua si apre a cerchi come il cadere continuo/degli occhi sulla fontana./Il vetro passa da un punto trattenuto e libero.»
Quello che ci separa dalla verità è anche ciò che ci separa dalla follia.
Per la prima foto, copyright: Thought Catalog su Unsplash.
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