“Livelli di vita” di Julian Barnes
Di Julian Barnes ci è già capitato di parlare di recente sul nostro blog. In quell’occasione l’oggetto del discorso era l’ultimo romanzo dell’autore inglese, Il senso di una fine, vincitore del Man Booker Prize nel 2011 e pubblicato da Einaudi. La stessa casa editrice torinese ha dato alle stampe all’inizio di ottobre l’ultimo volume di Barnes, Livelli di vita, traduzione fedele, e altrettanto ambigua, dell’inglese Levels of Life. La traduttrice è Susanna Basso, che ormai da qualche anno si occupa dei testi del narratore britannico.
Livelli di vita è un piccolo romanzo diviso in tre sezioni; Il peccato dell’altezza, Con i piedi per terra e Perdita di profondità. Nella prima sono messi insieme i tre vessilli della modernità a detta di Tournachon; la fotografia, l’elettricità e l’aeronautica. E tre sono i personaggi in rilievo; lo stesso Tournachon, meglio noto con il soprannome di Nadar, il colonnello della cavalleria della Guardia Reale inglese Fred Burnaby e la grande attrice Sarah Bernhardt. Ognuno dei tre, a suo modo, aveva osato sfidare gli dei, ognuno di loro si era spinto al di sopra della terra, sopra le nuvole, al di là delle leggi naturali. Perché solo chi vola in alto può fotografare il mondo. Così come i primi astronauti che viaggiarono verso la luna finirono con lo scoprire invece la terra.
La fotografia e l’aeronautica, la memoria e la fuga. Nadar riuscì a mettere insieme queste due cose. E «se metti insieme due cose che insieme non stanno il mondo cambia». Allo stesso modo quando metti insieme due persone che insieme non sono mai state il mondo a volte cambia a volte no. E l’amore è il modo migliore che abbiamo per avvicinarci agli dei, per conquistare il mondo e poi perderlo, perché «il mondo esiste per essere perduto». Come l’amore. E ogni storia d’amore è anche una storia di sofferenza. Una storia di perdita e di conquista. L’amore è «il punto d’incontro tra verità e prodigio. Verità come nella fotografia; prodigio come nell’aeronautica».
La seconda sezione narra la storia d’amore breve e complessa tra Fred Burnaby e Sarah Bernhardt. Una storia di volo e precipizio. Quando il rischio più grande è quello di rimanere con i piedi per terra. Più ancora che affidarsi al volo con dei mezzi poco adatti come i palloni aerostatici, quando il futuro del volo consisteva già nell’innalzarsi su mezzi più pesanti dell’aria. La storia di un amore sfatto e impossibile. Un volo rapido e un atterraggio mozzafiato, di quelli che ti conficcano le gambe in un’aiuola, spappolandoti gli organi interni.
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Ma il romanzo esiste per la sua ultima sezione. Per piangere la perdita di profondità, mentre il volo non è ancora terminato, mentre ancora ci si trova per aria. Livelli di vita, così come Il senso di una fine è dedicato semplicemente «a Pat». E lo saranno tutti gli eventuali romanzi futuri di Barnes. Perché «Pat» è Pat Kavanagh, sua moglie. Scomparsa a causa di una malattia fulminante nel 2008. E ogni storia d’amore è davvero una storia di sofferenza. Mentre l’universo «fa il suo mestiere» a noi tocca rimanere a galla. Con una lucidità estrema e una passione a tratti disarmante Julian Banes ci porta dentro il lutto. Il livello di vita peggiore, quello prima dello schianto, prima dell’atterraggio, ma senza più il brivido del volo. Barnes piange sua moglie «senza complicazioni né riserve» e questa è «la sua fortuna ma anche la sua sfortuna». Un dolore infinito eppure razionale. Il dolore di chi ha perduto la sua profondità, il senso delle cose, il rapporto con la realtà. Un dolore che mette il lettore quasi a disagio, come se stesse assistendo a qualcosa che non avrebbe il diritto di osservare, qualcosa di riservato, troppo grande, troppo forte. Eppure, nonostante il fatto che trattando un tema del genere, il rischio di cadere nel patetico e nel morboso sia estremo, l’autore riesce ad evitarlo con la maestria che solo ai grandissimi scrittori è concessa, solo a chi ha saputo volare al di là delle nubi, tra la terra e l’universo e da lì ha potuto osservare le cose con chiarezza, ha potuto vedere se stesso riflesso tra le nuvole, in mezzo al cielo.
Livelli di vita è la storia di un lutto e di tutti i lutti, è la storia di un dolore e di tutto il dolore, che però è solo il modo meno felice di dire amore. Barnes ci ricorda ancora una volta che la nostra corsa tra le nuvole ha dei limiti, ci ricorda che ognuno di noi, ogni giorno, compie il più grande miracolo possibile, che ognuno di noi, in ogni attimo della sua vita, è impegnato a volare su una macchina molto più pesante dell’aria.
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