Le donne musulmane che lottano contro l'islamofobia e il sessismo
E se fossero proprio le donne musulmane a iniziare una battaglia contro islamofobia e sessismo?
Potrebbe sembrare un controsenso, eppure sarebbe una lotta prima di tutto contro gli stereotipi che di solito accompagnano l’immagine della donna musulmana. In particolare, basti pensare alle continue campagne mediatiche che ritraggono tutte le donne dell’Islam come vittime dei precetti della sharia, succubi di uomini prepotenti e costrette a coprirsi completamente, private così della loro stessa identità.
Una situazione che, ad esempio, nel Regno Unito è trasversale a tutti gli orientamenti politici, dai liberali ai conservatori, che sembrano far affidamento sullo stereotipo della donna musulmana vittima e oppressa dalla propria fede.
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Twitter per combattere l’islamofobia
E, invece, tre gruppi di donne islamiche hanno utilizzato Twitter nel tentativo di combattere l’islamofobia di queste posizioni e, contemporaneamente, smarcarsi da tentativi di strumentalizzazione politica attraverso i quali si tende a giustificare razzismo, cultura imperialista e militarismo.
Insomma, tre azioni (non congiunte) che, facendo leva su tre diversi hashtag, vogliono proporre un’immagine alternativa delle donne di religione islamica.
#NotYourRespectableHijabi
Un gruppo di ragazze ha espresso con #NotYourRespectableHijabi il proprio disappunto dinanzi al continuo tentativo di disegnare lo hjiabi come un’imposizione maschilista, oltre che come una mancanza di rispetto della dignità delle donne.
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Partendo dal presupposto che, nell’Islam, appartiene solo alle donne la decisione di come coprire il corpo così come la scelta di indossare lo hijab, per affermare il proprio sentimento religioso o per manifestare simbolicamente l’orgoglio verso la loro fede e cultura, Humaira Mayet, una giovane donna di 20 anni che vive a Londra, ha iniziato a usare l’hashtag #NotYourRespectableHijabi per esporsi contro chi giudica le donne islamiche dalla loro apparenza e spesso utilizzando questioni prettamente religiose.
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Lo stesso hashtag è stato poi utilizzato da altre ragazze che hanno postato loro foto che le ritraevano con lo hijab e con un makeup molto evidente, a dimostrazione che la loro fede non è sinonimo di oppressione o sessismo.
#TraditionallySubmissive
All’inizio di quest’anno, il Primo Ministro inglese, David Cameron, ha rilasciato una dichiarazione in cui affermava che le donne musulmane nel Regno Unito non possono esprimersi apertamente contro i loro oppressori perché non possiedono le competenze necessarie per parlare in inglese.
Cameron si è spinto fino a parlare della “tradizionale remissività” delle donne islamiche come aspetto su cui, nel mondo musulmano, si fa leva per riuscire a esercitare su di loro una forma di dominio assoluto. La conoscenza della lingua inglese, dal punto di vista del Primo Ministro, rappresenterebbe il mezzo attraverso il quale le donne potrebbero acquisire maggiore consapevolezza di sé stesse, arrivando a ricoprire ruoli più costruttivi nella società inglese, magari supportando le azioni contro il terrorismo islamico.
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Un gruppo di musulmane, sentitesi offese dall’immagine che di loro ha diffuso Cameron, ha iniziato a usare #TraditionallySubmissive su Twitter per elencare i loro successi e smentire, così, le dichiarazioni di Cameron.
In questo caso, l’importanza di una tale campagna risiede nel tentativo di combattere lo stereotipo della donna islamica condiviso da molti e alimentato da tantissimi preconcetti sulle comunità musulmane. In alcuni casi, questi preconcetti sono così profondamente radicati che il rischio di una loro istituzionalizzazione, come per Cameron, è dietro l’angolo.
L’intento, dunque, è quello di combattere apertamente i preconcetti facendo conoscere al mondo ciò di cui le donne islamiche sono state capaci.
#LifeofaMuslimFeminist
Si può essere musulmana e femminista? Secondo Noorulan Shahid sì, al punto che nel 2014 ha creato un hashtag su Twitter (#lifeofamuslimfeminist) affermando il suo essere, allo stesso tempo, una donna islamica portatrice di valori femministi.
Molte altre donne si sono unite a Shahid, sostenendo la loro fede nell’Islam e la loro adesione al femminismo. Un altro hashtag, dunque, per combattere lo stereotipo che vuole le musulmane vittime della loro stessa fede che impedirebbe loro di lottare per i loro diritti.
Pur sostenendo e condividendo le campagne social delle donne musulmane nella loro battaglia contro islamofobia e sessismo, non possiamo esimerci dal notare che hanno avute origine in Occidente, e in particolare nel Regno Unito. Siamo certi che la situazione sia la stessa nei Paesi musulmani?
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