La spietata realtà di “Mars room” di Rachel Kushner
Mars Room di Rachel Kushner, pubblicato in Italia da Einaudi Editore (traduzione di G. Granato), si presenta come uno spaccato nudo e crudo della realtà americana.
Protagonista Romy Hall, che è stata appena condannata a due ergastoli e che si ritrova privata della libertà, la libertà di sbagliare. Rinchiusa nel carcere di Stanville, si rivolge direttamente al suo primo e unico interlocutore, il lettore, raccontandogli una vita che nessuno vorrebbe ritrovarsi a leggere. Il racconto che ne uscirà sarà frammentato, in un puzzle tra passato e presente che non potrà mai dirsi completo, ma interrotto di continuo.
Romy è la madre di Jackson, lasciato in custodia nelle mani della nonna al momento del verdetto in tribunale e presenza costante dei suoi pensieri. Nei confronti di questa madre, il dito puntato del mondo intero – delle guardie, delle altre carcerate – che addossa alla donna la colpa per non aver pensato alle sorti del suo bambino. Le recriminazioni sono in parte condivise dal lettore stesso, che disapprova un comportamento che non riesce a comprendere ma dal quale, intimamente, è affascinato. Come può una madre permettersi di lasciare suo figlio? Avrebbe potuto evitare di compiere quel gesto estremo e non perdere, così, la possibilità di riabbracciare quel bambino?
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Ma questa donna è incurante delle conseguenze, e si muove nel mondo con un carattere che la società disapprova e giudica. In realtà, il suo essere in apparenza spregiudicata è solo l’altro lato della medaglia che si ostina a nascondere: un atteggiamento quasi arrendevole rispetto alla vita e al suo futuro. Il futuro non è mai stato un’opzione, neanche prima di finire in prigione e subire la terribile condanna. Le sue scelte, soprattutto quelle peggiori, sono fatte con consapevolezza, come se non aver cura di quello che potrebbe accaderle sia una condizione ineluttabile, contro cui non ha senso opporsi.
Il Mars Room, che dà il titolo al romanzo, è il luogo da cui si potrebbe ritenere che tutto sia cominciato: il luogo di perdizione tipico di San Francisco, un night club dove Romy è una spogliarellista neanche troppo insoddisfatta del proprio lavoro; qui, in uno stralcio del suo racconto, il lettore scoprirà che ha conosciuto colui che ha contribuito alla sua completa disfatta.
Perseguitata come una donna mai dovrebbe essere, la protagonista giunge al fatidico gesto definitivo, che segnerà l’inabissamento della linea della sua vita. Un omicidio che decreta l’abolizione di ogni diritto nei confronti dell’imputata, specie se è stata accusata di aver ucciso un uomo dai grandi valori, un ex soldato americano che ha messo in pericolo la propria vita per la patria.
«Infilarci quelle tuniche grottesche mi fece venire in mente quel detto sul dare le perle ai porci. Nessuna donna dovrebbe farti venire in mente un porco o essere costretta a indossare quella roba. Né nessun Conan. Le ciabatte erano meglio. Mi ricordavano le scarpette di tela che portavamo da piccoli, quelle che si compravano allo spaccio della Marina di Market Street. Era lì che prendevo anche le tute da ginnastica per la scuola. Da grande ci passavo davanti andando al Mars Room. Erano tutti e due vicini all’angolo dove l’uomo d’affari con la Mercedes mi aveva promesso i soldi per il taxi quella notte che pioveva. San Francisco era così, una città dove gli strati della mia storia erano tutti schiacciati su un unico piano.»
Da tutti questi dettagli trapelano gli indizi rilasciati da Rachel Kushner sul tema dell’ingiustizia sociale, altra grande protagonista della storia. L’ingiustizia è vissuta non come recriminazione dei diritti negati quanto piuttosto come affermazione di uno status quo. E davanti alla realtà inesorabile, Romy non si sbraccia chiedendo aiuto, ma attende il destino guardandolo dritto negli occhi.
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Il ritratto che l’autrice fa all’interno di Mars Room è violento, senza speranza. Lo stesso rapporto con il mondo esterno risulta falsato: l’unica forma del legame con gli altri è quella ricercata attraverso provvisori atti di radicamento, raggiunti con la droga e l’eccesso.
Ma non c’è commiserazione in Mars Room, non si percepisce mai il rimpianto, sebbene al lettore ogni frase possa apparire il pretesto per abbandonarsi al mare profondo dell’amarezza.
Per la prima foto, copyright: Eric Nopanen su Unsplash.
Per la terza foto, la fonte è qui.
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