"La sera a Roma", il thriller (ma non solo) di Enrico Vanzina
Enrico Vanzina, prolifico sceneggiatore oltre che giornalista e scrittore, torna in libreria con La sera a Roma (Mondadori, 2018), un thriller che si distacca molto dai suoi libri precedenti. In passato Vanzina aveva pubblicato saggi di costume, come Le finte bionde (Mondadori, 1986 e poi Newton Compton, 2014)), ricordi di famiglia e tre gialli seriali usciti per Newton Compton tra il 2013 e il 2016.
La vicenda di La sera a Roma viene narrata in prima persona da Federico, trasparente alter ego dello stesso Vanzina, uno sceneggiatore che si muove nella Roma di oggi, un po' amandola e un po' detestandone l'evidente decadenza, tra personaggi del cinema, giornalisti ed esponenti della nobiltà nera. Un certo Bassani, uomo d'affari conosciuto a una festa, chiede a Federico di incontrare un suo giovane protetto, Domenico Greco, aspirante attore migrato a Roma dal sud, per capire se sia possibile offrirgli un'opportunità nel mondo del cinema. A Federico il ragazzo appare solo come un belloccio insulso e privo di talento, ma poche ore dopo il loro colloquio il giovane viene assassinato.
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Colpito dal fatto di essere stato l'ultimo ad averlo visto vivo, Federico inizia a seguire gli sviluppi dell'indagine, fino a trovarsi suo malgrado invischiato in una storia sempre più intricata, tra complicazioni sentimentali, invidie, gelosie e rancori, che il commissario di polizia Margiotta e Maselli, un giornalista esperto di cronaca nera, tentano di ricostruire in parallelo, fino a una conclusione davvero inaspettata.
Al di là della trama poliziesca classica, La sera a Roma è un romanzo interessante per tutto ciò che l'autore vi ha inserito: una curiosa e intrigante mescolanza di personaggi inventati e reali (da Aurelio De Laurentiis a Roberto Gervaso, tanto per citarne un paio), un ritratto disincantato della Roma contemporanea e alcuni affettuosi omaggi a grandi protagonisti del cinema italiano ormai scomparsi, con qualche allusione alla Grande bellezza di Sorrentino.
A Milano per presentare il suo romanzo alla Mondadori di piazza Duomo, Enrico Vanzina ha gentilmente risposto alle nostre domande.
Roma è la grande protagonista del libro, e la cosa che mi ha colpita di più è la sua visione personale della città. Da romano, cosa ama e cosa odia della sua città?
Io sono un romano particolare, nel senso che mio padre, Steno, è stato forse il regista più rappresentativo di Roma, da Un americano a Roma a Guardie e ladri, ma lui in realtà aveva origini lombardo-piemontesi. Mio nonno era un giornalista del «Corriere della Sera», che ai primi del Novecento andò a fondare un giornale in Argentina, ed era originario del lago Maggiore. Gli unici altri Vanzina in Italia vivono qui a Milano, città che fa comunque parte del nostro patrimonio familiare: tra l'altro, io e mio fratello abbiamo ambientato a Milano ben diciotto film.
Detto questo, amo Roma alla follia ma soprattutto ho cercato di mettere in questo libro un pizzico di memoria e di osservazioni personali, visto che dal 1990 a oggi, prima per sei anni al «Corriere della Sera» e dopo al «Messaggero», curo una rubrica in cui parlo di Roma. La osservo e la conosco: è una città strana, che ha avuto il tempo come migliore amico e peggior nemico. Amico, perché l'ha conservata e tramandata senza che troppi architetti arrivassero a distruggere il passato per costruirvi altro, ma anche nemico feroce perché Roma deve sempre fare i conti con la sua bellezza.
Il confronto continuo con il passato è la dannazione con cui devono convivere i romani. Roma ha avuto andamenti ciclici, popolandosi, spopolandosi e ripopolandosi in modo abnorme. Adesso, in particolare, sta vivendo un momento difficile, e come il Mastroianni della Dolce vita il protagonista del mio romanzo cerca di dare un senso sia alla città, sia alla sua vita: chi sono, dove vivo, cosa faccio. È un viaggio attraverso un amore disilluso, che però rinasce.
Nel romanzo si parla del mondo della cosiddetta "nobiltà nera" romana, quella di origine papalina. Ha ancora un ruolo così importante in città, oppure si tratta di una leggenda?
È naturalmente una nobiltà ormai decaduta, ma mantiene una sua importanza. Roma ha una storia molto diversa da Milano, dove è nata tanto tempo fa una borghesia importante, fiera di essere illuminata, laica e produttiva, orgogliosa di essere una delle forze trainanti del Paese. Roma, invece, è sempre stata soffocata dalla forza della nobiltà: qui la borghesia non si è mai affermata, perché il borghese romano quasi si vergogna di essere tale. È comunque la città dei papi e della loro aristocrazia, anche se adesso questi nobili vivono di ricordi, e per sopravvivere devono trasformare i loro palazzi in bed&breakfast perché non tutti se la passano benissimo. Pensando a Fruttero e Lucentini, che ne La donna della domenica avevano indagato nell'alta borghesia torinese, ho pensato di descrivere un mondo che pochi conoscono e frequentano, che ha ancora un enorme peso, anche se soprattutto ideale, più che economico o di potere.
Un tratto curioso del suo romanzo è la mescolanza tra personaggi reali, chiamati con il loro nome e cognome, e personaggi inventati. La mia domanda quindi è: i personaggi reali sanno di essere stati inseriti?Ha chiestoloro il permesso di citarli?
Questa cosa mi piaceva molto, pensando a degli esempi alti come Truman Capote o Tom Wolfe, perché il parlare di persone reali dava alla storia un grande senso di contemporaneità. Non ho chiesto il permesso a nessuno, a parte il mio avvocato, a cui ho chiesto di controllare la veridicità di quello che gli faccio dire, per non rischiare di attribuirgli concetti che potrebbero suonare assurdi in un tribunale. La moglie del protagonista è molto simile a mia moglie e nella storia ho inserito anche dei dettagli molto privati, ma solo chi mi conosce bene li può attribuire a me. In linea di massima, quelli che si sono ritrovati nel romanzo ne sono rimasti contenti, ma credo anche di essere stato molto attento a cercare di fotografare la loro anima e a farli apparire come sono nella realtà.
Facendo lo sceneggiatore lei ha sempre scritto storie, ma in base a cosa decide di scrivere un romanzo anziché una sceneggiatura?
Ho passato tutti i giorni della mia vita a scrivere, sia come sceneggiatore, sia come giornalista. È come con la musica: un compositore può comporre pezzi di tipo diverso, ma sempre musicista rimane, per cui non mi sento diverso se da sceneggiatore passo a fare il romanziere. Mentre nei romanzi che avevo scritto in precedenza, i tre noir pubblicati da Newton Compton, avevo fatto un po' un pastiche della letteratura americana di genere, con una prosa inventata e piuttosto impersonale, qui ho scelto dei modelli classici italiani, a partire da Moravia. Ho cercato insomma di fare letteratura, non solo di scrivere un giallo, anche perché sono spinto dal cinema a raccontare le cose in un certo modo: un ritmo veloce, dialoghi curati, con un aspetto di verità forse più forte rispetto a tanti romanzi in cui i dialoghi sono spesso un po' troppo letterari rispetto al parlato.
È già pronto a trasformarlo in una sceneggiatura per un film?
Sì, almeno per quanto riguarda la trama poliziesca e i dialoghi, ma penso che sarà difficile tradurre in linguaggio cinematografico tutta la parte introspettiva, le riflessioni personali del protagonista: esiste l'espediente della voce fuori campo, ma non si può certo abusarne.
Forse per me sarebbe una delle sceneggiature più difficili da scrivere.
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Da cittadino innamorato della sua città, cosa farebbe se per un giorno potesse essere sindaco di Roma?
L'hanno fatto fare a Sordi, tanti anni fa, mi pare fosse Rutelli il sindaco che lo chiamò in Campidoglio. Un giorno sarebbe poco, ma cercherei almeno di promettere la soluzione di alcune cose che non possono più essere trascurate: il traffico, la manutenzione del manto stradale e la gestione dei rifiuti. Detto questo, io che ho la fortuna di viaggiare molto e quindi posso fare confronti con le altre città, posso dire che sono almeno vent'anni che non vedo fare qualcosa di nuovo a Roma. Quando vengo qui, e vedo come si è rinnovata Milano negli ultimi anni, mi vergogno tantissimo per Roma, dove proprio non si riesce a pensare in grande. Una cosa che tutti gli ultimi sindaci non sono stati capaci di fare è stata per esempio l'instaurazione di un buon rapporto con i cittadini: c'è un distacco enorme, una totale mancanza di ascolto.
Ci sono speranze che la decadenza di Roma possa invertire la rotta?
Magari! Roma possiede un patrimonio che nemmeno lei conosce, tale che potrebbe attirare dal resto del mondo non solo turisti e amanti delle arti, ma anche gruppi economici in grado di rendersi conto di tutte le sue potenzialità.
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Per la prima foto, copyright: Christian Nordmark.
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