“La scelta decisiva”, un nuovo thriller psicologico di Charlotte Link
La scelta decisiva (Corbaccio, 2017 – traduzione di Alessandra Petrelli) è il nuovo romanzo di Charlotte Link, la scrittrice tedesca che si ripresenta ai suoi numerosi lettori italiani a meno di due anni dalla pubblicazione de L’inganno (Corbaccio, 2015 – traduzione di Alessandra Petrelli).
Protagonista della vicenda è Simon, quarantenne tedesco fin troppo tranquillo e abbastanza frustrato: la moglie Maya, oltre a preferirgli un altro uomo, lo tiranneggia in ogni modo, impedendogli di vedere i figli quanto vorrebbe, mentre il vecchio padre gli rimprovera in continuazione di non essere andato oltre un dignitoso ma non troppo remunerativo lavoro di traduttore. Nemmeno con Kristina, la donna di cui si è innamorato, le cose vanno troppo bene, perché lei non sopporta che la loro relazione debba rimanere nascosta per paura delle reazioni di Maya e dei figli.
L’avvicinarsi delle vacanze di Natale è solo l’occasione per sperimentare nuove frustrazioni: Maya rifiuta di mandare i figli, come concordato in precedenza, a trascorrere le vacanze col padre nella casa di famiglia in Provenza, costringendo Simon a partire da solo. Mentre passeggia malinconicamente in riva al mare sotto la pioggia, interviene a sedare una lite fra due uomini e Nathalie, una giovane donna in evidente difficoltà. La decisione di offrirle aiuto trascinerà Simon in una vicenda inquietante e rocambolesca, che si dipana tra la Francia traumatizzata dagli attentati terroristici e la Bulgaria impoverita e impossibilitata a offrire un’esistenza dignitosa a una percentuale troppo alta dei suoi abitanti.
Charlotte Link ha incontrato un folto gruppo di blogger nella sede milanese della casa editrice Corbaccio e ha risposto a numerose domande.
Come mai ha scelto di dedicarsi soprattutto al thriller psicologico?
Nello psicothriller c’è il crimine, ma ci sono soprattutto i personaggi e la loro psicologia. Il crimine rappresenta una situazione anomala, all’interno della quale vengono modificati tutti gli equilibri. Il personaggio resta traumatizzato e quello è il momento migliore per osservarlo e descriverlo, perché i meccanismi della sua normalità smettono di funzionare e si arriva al cuore. Il mio obiettivo è proprio questo.
Da dove riceve maggiore ispirazione? Dalla cronaca, da fatti dell’attualità (in questo libro si parla di una tratta di ragazze dai paesi dell’est) o da altro? Cosa le dà il via per partire con una nuova storia?
La primissima ispirazione arriva sempre da qualcosa di banale e quotidiano. Può essere una frase che sento, oppure l’espressione di un viso e niente di più. Questo costituisce il primo episodio di una sequenza di riflessioni che mi portano a immaginare una storia che non ha niente a che fare con la persona che ha fatto nascere quella scintilla, ma poi questa serie di riflessioni sfocia in un libro.
Ci sono stati dei fatti di cronaca che l’hanno influenzata di più per La scelta decisiva?
No, non in modo particolare, ma poco prima di cominciare a scrivere questo romanzo ero stata a Sofia, in Bulgaria, e ho avuto quindi dei contatti con gente del posto. Queste persone mi hanno raccontato di una ragazza scomparsa in circostanze misteriose, di cui non si sono più avute notizie. Questa è stata la prima scintilla della storia. Poi, tornata in Germania sono entrata in contatto con un regista teatrale che stava lavorando a uno spettacolo e mi ha fornito tantissimo materiale sull’argomento. Molte delle persone che scompaiono senza lasciare traccia di sé, spesso lo fanno volontariamente e non vogliono più dare loro notizie.
Nei suoi romanzi precedenti parla più volte di un mondo dove le donne non possono vivere tranquille, di una normalità che dietro la facciata presenta lati oscuri e inquietanti. Sembra quasi un messaggio presente anche in questo romanzo, dove le donne devono difendersi da una società portata alla diseguaglianza.
Neanche gli uomini possono sentirsi granché sicuri. Viviamo in tempi di grande incertezza e mancanza di sicurezza, e direi che sono tempi duri per tutti. È vero che le donne sono vittime, ma spesso sono anche autrici di determinate violenze. Per esempio, per quanto riguarda il mercato delle ragazze, ho potuto stabilire che il sessanta per cento delle persone impiegate in questo traffico è rappresentato da donne e non uomini.
In un mondo dove le informazioni e le bufale viaggiano a velocità istantanea sui social, quanto c’è ancora di ignoranza, in questi casi di ragazze avviate alla carriera di modelle, e quanto c’è di disperazione o voglia di emergere? Le notizie non arrivano anche nei paesi dell’est?
Sono stata una volta a Sofia e due volte in Russia, e davvero è difficile immaginarsi come si viva in questi paesi. Nelle città è più o meno come da noi, ma non appena si esce da quelle e si arriva al primo paese, è come piombare nei nostri paesi del 1800. C’è una povertà assoluta e soprattutto una vita priva di prospettive, quindi se nasci all’interno di un ambiente simile davvero non hai futuro. Sono moltissime le persone che accettano di correre anche enormi rischi perché non hanno niente da perdere. A volte questa cosa funziona, basta guardare Melanie Trump che è arrivata come modella dalla Slovenia…
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Il romanzo è ambientato in Francia e contiene diversi riferimenti agli attentati terroristici avvenuti in quel paese lo scorso anno. Riportarli sulla carta è stato un modo per esorcizzarli?
Ho una seconda casa nel sud della Francia, perciò mi capita spesso di trascorrervi dei periodi piuttosto lunghi. Per caso mi trovavo in Francia al momento di tutti gli attentati di Parigi e di Nizza, perciò ho vissuto veramente molto da vicino l’atmosfera che si è creata in quei giorni. Non eravamo più nel paese delle spiagge e del sole, ma c’era un’atmosfera carica di terrore, di polizia e di militari dappertutto. Non potevo scrivere della Francia evitando di parlare di questi fatti.
In questa vicenda ci sono tanti personaggi, molto diversi tra loro. Si è ispirata a qualcuno in particolare oppure sono nati dal flusso di pensieri?
Non creo mai delle figure prese come copie da qualcuno che conosco veramente, ma sono le persone che mi capita di conoscere che mi forniscono ispirazione per i personaggi dei miei libri. Osservo con molta attenzione sia le mie esperienze di vita, sia quelle di queste persone e poi costruisco a poco a poco un personaggio che è un insieme di tutti i dettagli, sviluppando una sua vita specifica.
Quanto conta per un autore l’immedesimazione?
Cerco di non identificarmi mai troppo nei miei personaggi, perché devo poi scriverne e quindi è necessario mantenere una certa distanza. È sempre una questione di equilibri: da una parte mi devo proprio immergere in tutte le sensazioni dei personaggi, ma allo stesso tempo devo mantenere la distanza necessaria per rimanere oggettiva e neutrale durante la scrittura.
Quando scrive un romanzo come decide chi sopravvivrà e chi morirà durante la storia?
Parto con un’idea iniziale, ma spesso accade che i personaggi, a un certo punto, sviluppino una vita propria: così, a volte, uno che era destinato a morire in realtà sopravvive, o viceversa, quindi il mio piano originario può cambiare.
Non è un piano preciso al cento per cento, ma una traccia, con i personaggi e il ruolo che svolgono, però in testa non ho ancora un’idea di quello che avverrà. È soltanto con la scrittura che avviene lo sviluppo dei caratteri. Un personaggio può sviluppare un carattere diverso da quello che prevedevo, perciò ci saranno delle modifiche anche delle sue azioni.
Quali sono allora i personaggi di questo libro che ha cambiato durante la stesura?
Di Simon sapevo in principio che era un personaggio debole, ma non sapevo quale evoluzione avrebbe avuto. Non sapevo nemmeno se sarebbe rimasto un debole o sarebbe cambiato, anche se poi abbiamo visto che la sua è stata un’evoluzione positiva.
Riguardo a Nathalie, è stato difficile scrivere di una donna così complessa?
Lo so che può apparire stupefacente, però il personaggio di Nathalie è stato piuttosto facile da scrivere perché la faccio raccontare in prima persona, e quando si fa questo l’identificazione è più forte.
Non ha avuto paura che Nathalie risultasse un personaggio negativo per il quale il lettore non provasse empatia?
Immagino che alcuni lettori possano provare difficoltà a identificarsi con lei perché è un personaggio disturbato, tuttavia il lettore deve anche essere capace di sopportare questo genere di personaggio, perché ce ne sono anche nella nostra vita di tutti i giorni. Nel suo caso specifico c’è però un’evoluzione in positivo.
Qual è il personaggio a cui si sente più legata?
Simon. In tedesco c’è un modo di dire che lo descrive, ed è “uovo molle”: si tratta di una persona debole, un carattere interessante perché non corrisponde all’idea di uomo forte. È un personaggio pieno di dubbi, che si lascia sfruttare ma poi arriva a un punto in cui capisce che non può andare avanti così, perché i suoi insuccessi si moltiplicano a tutti i livelli e ha bisogno di un evento drammatico per cambiare.
E c’è invece un personaggio per cui provava un senso di rifiuto mentre ne scriveva?
Con Nathalie ho avuto le mie difficoltà, tuttavia ho amato molto tutti i miei personaggi e sono anche arrivata a comprenderli. Sarebbe interessante invece capire quali personaggi non sono stati amati dai lettori e per quali ragioni. La maggior parte dei lettori in Germania mi ha detto di non aver amato Simon.
Il problema di Simon è che lui ha un bisogno estremo di armonia e quindi a qualunque prezzo deve essere amato da chi lo circonda e tutti devono essere d’accordo con lui. Questo non consente lo sviluppo di una personalità chiara e sicura, è una cosa che accade molto spesso e lo vediamo in tante persone.
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Tutti i personaggi a un certo punto devono fare una scelta o soffrono per le decisioni prese dagli altri. Quanto la scelta può diventare una colpa?
Questo è un tema molto importante all’interno del libro, perché a volte nella vita hai veramente delle frazioni di secondo per decidere che cosa fare, ed è quello che accade all’inizio a Simon. Ha troppe poche informazioni per sapere se la sua decisione di un momento sarà corretta oppure no, così come spesso ci capita nella vita. È soltanto dopo molto tempo che, guardandoti indietro, puoi stabilire se la tua è stata una buona scelta o no. Proprio questa tematica mi affascina e mi coinvolge molto, è una questione veramente interessante: fai una scelta e poi ti ritrovi a dover combattere contro un senso di colpa causato da quella scelta.
Come gestisce il suo lavoro, in modo strutturato oppure no?
Lavoro come tutti quelli che vanno in ufficio: inizio al mattino alle otto quando mio marito e mia figlia escono di casa e io resto sola, e continuo fino alle quattro del pomeriggio, quando mia figlia rientra da scuola. Il resto del tempo lo occupo facendo ricerche.
C’è un libro a cui è legata di più a livello personale, magari perché è stato più significativo per la sua carriera?
Direi che per me il libro più importante è sempre l’ultimo, quello a cui sono ancora molto legata, tanto che quando inizio a scrivere il successivo devo impormi di tagliare nettamente col precedente, ma un libro che rimane molto importante per me è La casa delle sorelle che ha costituito l’inizio della mia carriera come autrice di bestseller.
Come avverte la pressione di dover scrivere ogni volta un altro bestseller?
In una certa misura, il successo costituisce già una pressione. Il fatto che l’ultimo libro abbia avuto successo muove tutta una serie di aspettative rispetto al prossimo, che dovrà essere “bello tanto quanto” o anche migliore. È sempre difficile, quando leggo sulla fascetta del libro non ancora entrato nelle librerie “l’ultimo bestseller di ...”, perché questo desta sempre grandi attese.
Quand’era più giovane ha mai pensato di fare qualcosa d’altro nella vita?
Non avrei mai pensato di diventare una scrittrice, intanto perché non immaginavo che si potesse vivere di questo mestiere: dopo che erano già usciti i miei primi libri, mi sono comunque iscritta all’università, perché volevo avere in mano un vero mestiere. Ho impiegato un sacco di tempo prima di riuscire a fidarmi, perché volevo prima verificare che la cosa funzionasse, perciò mi ero iscritta a legge e volevo diventare avvocato o giudice.
Quali sono i libri sul suo comodino in questo momento?
Leggo tantissimi gialli. Adesso sto leggendo un romanzo di Nicci French, un’autrice inglese di cui non saprei dirvi però il titolo originale.
Segue i suggerimenti che riceve?
Direi di no, di solito mi fido delle mie sensazioni. Mi sono stati dati tantissimi consigli nel corso del tempo, soprattutto quand’ero più giovane. C’era un sacco di gente che voleva dirmi cosa dovevo fare, per fortuna sono tutti consigli che non ho seguito.
E se invece fosse lei a dover dare un consiglio a un giovane che volesse fare lo scrittore oggi?
Prima di tutto, se un giovane cerca un editore dovrebbe prima cercarsi un agente. In Germania almeno funziona così: nelle case editrici vengono letti pochissimi manoscritti, invece nelle agenzie i manoscritti vengono letti e poi indirizzati a chi potrebbe volerli pubblicare. Gli direi di scrivere soltanto quello che vuole, e di non lasciarsi influenzare da quello che spesso si sente dire, tipo “scrivi questa cosa perché va” o “perché è più popolare”. Bisogna sempre fare ciò che ci detta il cuore.
Se potesse tornare indietro c’è qualcosa che cambierebbe, non farebbe oppure lascerebbe tutto com’è successo?
Per quanto concerne le grandi decisioni della mia vita direi che non cambierei niente, non perché siano state tutte delle scelte buone ma perché hanno avuto tutte una certa importanza per me, quindi non le cambierei. Invece, guardando indietro nella mia vita, direi piuttosto che ci sono delle persone con le quali non vorrei più avere a che fare, soprattutto uomini.
Chi è il suo primo lettore quando finisce di scrivere un libro?
Appena finisco un romanzo lo do da leggere contemporaneamente a mio marito e alla mia editrice. Mio marito si comporta in una maniera abbastanza particolare: in prima battuta mi dice tutto quello che non gli è piaciuto, e quando sono proprio a terra mi dice che sì, in fondo il libro può andare. Invece la mia editrice si comporta al contrario: prima mi elenca tutti i pregi, poi le cose che possono essere cambiate o migliorate. La cosa è interessante, perché ognuno tende a valutare diversamente i vari personaggi. È interessante sapere quando un certo personaggio per qualcuno non sembra comportarsi in maniera logica: questo per me è un segnale molto importante, perché significa che probabilmente non sono riuscita a descriverlo correttamente, quindi devo rimetterci le mani e cambiare qualcosa.
In questo libro cosa andava o non andava?
La mia editrice pensava che dovessi cambiare qualcosa perché, secondo lei, Simon e Nathalie restano inattivi troppo a lungo mentre c’è qualcuno che li sta cercando.
Abbiamo discusso molto su questo, perché in verità era proprio qui che io volevo arrivare. La mia ambizione era avere due personaggi che per quattrocento pagine sono costretti a stare fermi e non sanno chi stia dando loro la caccia e perché. Alla fine abbiamo scelto di conservare la mia versione, perché mi appariva veramente più logica e anche la mia editrice ha acconsentito: in fin dei conti, il libro era mio.
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Quando ha l’idea di un nuovo libro ne parla con qualcuno?
Quando mi viene una nuova idea la penso a lungo finché non ha una forma un po’ più concreta, che mi consenta di descrivere bene ciò che ho in mente. A quel punto la prima persona con cui ne parlo è la mia editrice: le spiego bene quello che mi passa per la testa e così testo anche le sue reazioni.
Parliamo e discutiamo molto e spesso ne ricavo anche nuovi stimoli.
E se l’idea non piace?
Per fortuna non è mai successo, però sono anche sicura che non mi direbbe mai una cosa diretta ma qualcosa tipo “c’è qualcosina che non mi convince e di poco chiaro”. La cosa difficile da scrittore è che passi mesi a pensare soltanto a certe cose, tutto resta chiuso nella tua testa e a volte non vedi più le cose in maniera corretta. Non puoi contare su un collega con cui avere uno scambio di idee. Sei sempre da solo, e per questo trovo importante parlarne con l’editrice per avere il polso della situazione.
C’è un libro che ha avuto difficoltà a portare a termine?
Direi che il più difficile è stato proprio quest’ultimo, perché ha una trama molto complicata e stratificata, c’è una logistica molto complessa e ho dovuto tenere in mano tanti fili diversi fino alla fine e avere tutto sempre ben presente in mente. Soprattutto ci sono le parti ambientate nell’Europa dell’Est, in un mondo molto lontano dalla realtà in cui vivo, che hanno richiesto tantissime ricerche, e soprattutto mi hanno imposto di tuffarmi all’interno di una realtà sconosciuta. È stato difficile.
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