La psicoanalisi applicata al Vaticano. “La scelta di Sigmund” di Carlo A. Martigli
Un thriller ambientato nel Vaticano del 1903, dove si incontrano Papa Leone XIII e Sigmund Freud. Il ritrovamento congiunto dei corpi di una guardia svizzera e di una donna di servizio, completamente nudi, spingono l’anziano Leone XIII a condurre un’indagine segreta. Va scongiurato lo scandalo, ma soprattutto, c’è il timore che la successione papale possa andare a favore di qualcuno implicato nell’omicidio. Per raggiungere il suo scopo, il papa chiama in Vaticano il medico viennese più famoso del momento, Sigmund Freud: un ebreo ateo, che sta affinando gli strumenti della nascente psicoanalisi per indagare la mente umana. Sarà lui a dover setacciare l’inconscio dei tre potenti cardinali: Mariano Rampolla del Tindari (segretario di Sato), Luigi Oreglia di Santo Stefano (decano e camerlengo) e Joaquìn De Molina y Ortega. Ecco i primi ingredienti del romanzo La scelta di Sigmund, di Carlo A. Martigli (Mondadori 2016), un titolo che mescola con gusto per il gioco: thriller, storia, psicologia e un pizzico di erotismo.
Il romanzo è scritto in terza persona, ma è una terza persona molto generosa con il protagonista, ovvero Sigmund Freud. Senza ricorrere a un io narrante, fa sentire il lettore molto vicino al fondatore della più spregiudicata delle scienze dello spirito del Novecento. Insomma, lei riesce a entrare nei pensieri del dottor Freud e a descriverne le pulsioni, i sogni, le associazioni. Noi lettori seguiamo le vicende quasi interamente attraverso di lui, impariamo ad abituarci alle sue abitudini, ci affezioniamo ai dubbi e alle dipendenze. Quanto studio sulla vita di Freud e sulla sua personalità ha dovuto macinare, per raggiungere un risultato così suggestivo?
Perché una lettura risulti piacevole e coinvolgente, occorre che lo scrittore conosca ciò che scrive. Altrimenti il lettore subodora la truffa, come in tanti romanzacci che pure si trovano in giro. Conoscevo alcune opere di Freud, ma prima di cominciare a scrivere ho comunque scaricato sul tablet quasi tutti i suoi libri e alcuni saggi sulla sua vita. Leggi e prendi appunti, sottolinea e rileggi, alla fine mi sono gettato. Credo che l’ottanta per cento della meravigliosa fatica di scrivere questo romanzo sia stata dedicata allo studio della persona e del personaggio. Se alla conoscenza poi si aggiunge la passione, i risultati prima o poi arrivano. L’unione di questi due elementi è in fin dei conti una metafora della vita, o meglio di come dovrebbe essere.
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Il romanzo, da thriller dalle tinte “forti” si trasforma a mano a mano in romanzo storico. Ci sono personaggi storicamente esistiti fin dall’inizio, oltre a Freud: il papa Leone XIII, il giovane Giovanni Battista Roncalli, i cardinali dell’epoca etc. Ma a un certo punto c’è uno spostamento di pesi, raffinato, deciso e per nulla semplice da comporre narrativamente, verso il conclave del 1903. È un passaggio che scompagina i generi. Ciononostante non ci sono risparmiati diversi colpi di scena. Era sua precisa intenzione praticare una sorta di crossover tra i generi?
Scrivere è passione e divertimento. Cimentarsi con vari generi è come essere un cuoco che unisce ingredienti noti ma diversi tra loro, al fine di arrivare a un piatto nuovo, sconosciuto, saporito e sorprendente. Mi piace fare il cuoco, e quando vedo che i miei piatti, non frutto della casualità, ma della ragione e della pancia (più che del cuore) piacciono, sono stimolato a farne sempre di più. Odio la banalità, il ricorrente, la stessa strada, anche se comoda, gli stessi personaggi e le stesse situazioni. È più rischioso, ma infinitamente più stimolante.
I personaggi femminili “in carne ed ossa” sono solo due, la cameriera Maria e sua figlia Crocefissa. Rappresentano una polarità; la prima è femminile, accogliente, intelligente benché donna del popolo. La seconda ha meno di vent’anni, ma è già piena di malizia. Va detto che, nelle loro speculari caratteristiche, queste due donne sono una sorta di riflesso rispetto alle altre donne importanti della vita di Freud, a cui spesso si fa riferimento; in particolare: la moglie Martha e la cognata/amante Minna. Più eteree, mentali, quasi simboliche. Quali sono stati il suo lavoro e la sua scelta rispetto alle figure femminili?
È stata una scelta voluta per aumentare il contrasto tra la compostezza di un luminare della scienza, abituato al silenzio delle sue donne di casa, figure minori, schiacciate dalla sua personalità, e la solarità delle due donne del popolo. Che incarnano rispettivamente il bene e il male, se pure sono, alla fine, entrambe perdenti rispetto al potere costituito. La peculiarità di Maria è poi quella di arrivare in certi casi alla soluzione del problema usando la semplicità, prima che vi arrivi il padre della psicoanalisi attraverso il ragionamento scientifico. È un paradosso, ma spesso vero. Credo infatti che si possa trovare la stessa profondità in un passo di Platone, in una favola di Esopo o in un proverbio toscano.
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Interessante che il dialogo interiore di Freud, a parte le sue intuizioni psicologiche, sia animato da due elementi della letteratura ottocentesca: lo Sherlock Holmes di Conan Doyle (che per il nostro protagonista è una sorta di modello) e alcuni rimandi alle Affinità elettive. Come mai ha scelto proprio questi due riferimenti?
Per delle semplici quanto corrette ragioni storiche, che pure tornano perfettamente nella logica del romanzo. Freud amava e ammirava Goethe e su di lui scrisse addirittura un saggio Un ricordo d’infanzia tratto da Poesia e verità di Goethe: ne apprezzava la profondità con cui arrivava a scandagliare l’animo umano, in particolare nelle Affinità elettive e nel Faust, i cui protagonisti (vorrei dire con un po’ di ironia) sarebbero stati dei casi interessanti per il dottor Freud. Per Sherlock Holmes Freud aveva invece una sorta di ammirazione mista a invidia. Al punto che ne avrebbe voluto emulare le gesta. Al punto ancora da proporsi all’amministrazione giudiziaria austriaca come indagatore della mente, alla ricerca di eventuali o potenziali pulsioni criminali. Anticipando così di decenni la cosiddetta figura del “profiler”, che negli ultimi anni è stata protagonisti di tanti romanzi, film e telefilm di carattere noir.
A un certo punto della storia compare persino Lombroso – a segnare il dibattito delle idee di quegli anni. Positivismo dell’Ottocento e nuove prospettive antropo-psicologiche. Tutto questo però, curiosamente, si svolge al desco delle alte gerarchie ecclesiastiche. Sembra che lei sia molto interessato al rapporto dell’uomo con sé stesso (a livello di antropologia filosofica) e con la propria spiritualità e religiosità…
Se dovessi rispondere con il mio secolare spirito toscano, direi che in realtà mescolare il pensiero positivo, Rosmini, i massoni (come Lombroso e Freud), il papa e i cardinali, il sesso e la castità, l’ateismo e la fede, soprattutto mi diverte. Anche perché non è cambiato niente dai tempi medievali in cui papi e imperatori si prendevano a legnate o quelli attuali (e reali, come riporta la cronaca) in cui un’improbabile belloccia esperta di niente diventa addirittura membro della Commissione Referente sull’Organizzazione della struttura economico-amministrativa della Santa Sede, per poi complottare sessualmente con un monsignore. Cambiano i secoli, le condizioni, i Paesi, le ideologie e le religioni, ma non la natura umana. Ed è per questo che va guardata con pazienza, con benevolenza, con sopportazione e con ironia: come fa il papa Leone XIII nel romanzo.
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Della psicoanalisi delle origini lei descrive anche diverse tecniche e percorsi (libere associazioni, interpretazione dei sogni, interpretazione del rimosso etc.), unitamente ai dubbi e ripensamenti del suo fondatore. Proprio in quegli anni Freud si interrogava sul modo in cui la psicoanalisi potesse essere equiparata alle altre scienze, come la medicina. Oggi c’è un possibile nuovo terreno che avvicina la psicoanalisi e le neuroscienze (la cosiddetta neuropsicoanalisi). Sembra il possibile coronamento dell’aspettativa di Freud. Come considera queste evoluzioni rispetto al nucleo originario del pensiero freudiano?
Sono soltanto un romanziere e non pretendo di assumere le vesti di uno scienziato. Potrei dire che considero efficace il tentativo della neuropsicoanalisi di eliminare il dualismo epistemologico tra la ricerca psicodinamica e quella neuroscientifica. Ma non riuscirei a dirlo seriamente. Scherzi a parte, considero il pensiero freudiano come un terreno fertile dal quale possono nascere diverse specie di pensiero, ma tutte si rifanno a quell’humus primitivo. Bene o male tutte le scienze o neuroscienze che indagano sulle mente umana si devono rifare a Freud.
Il finale non è aperto, eppure ai lettori amanti della serialità potrebbe suggerire che ritroveremo Sigmund Freud (di cui ormai conosciamo diverse spinte emotive e una certa inclinazione all’innamoramento) in veste di investigatore in altre vicende. Ha in mente nuove storie con questo stesso protagonista?
Ebbene sì. Mi sono così appassionato e divertito a scrivere La scelta di Sigmund che confesso di essere già dietro a un soggetto straordinario, realmente accaduto, potenzialmente devastante, oltre che misterioso e intrigante. Un nuovo romanzo che mi sta stimolando e coinvolgendo. E in cui Sigmund Freud si trova, questa volta involontariamente, in mezzo. Da protagonista, perché è e rimane sempre il mitico professor Freud.
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