La poetica del ritratto – Goya nei racconti di Ivo Andrić
In questa quarta puntata della rubrica dedicata alla scoperta mensile di dodici Premi Nobel per la letteratura, conosciuti e meno conosciuti (qui la puntata precedente), racconteremo di Ivo Andrić, vincitore del Premio nel 1961. Analizzeremo lo scrittore bosniaco noto al grande pubblico per Il ponte sulla drina del 1945, tracciando una panoramica meno convenzionale circa la sua produzione. Invero, esploreremo il settore dei racconti della produzione andriciana, filtrandolo con uno dei movimenti diegetici che più di altri restituisce una delle cifre tematiche dell’autore, ovvero il tema del ritratto.
Andrić, nel corso della lunga collaborazione con il «Messaggero letterario Serbo», che nei primi anni del Novecento era la più importante rivista letteraria serba, pubblicò due testi inerenti al ritrattista spagnolo: Goya, una breve biografia del pittore, e Conversazione con Goya (Razgovor sa Gojom[1]). Quest’ultimo testo rappresenta un passaggio cruciale nella narrazione del ritratto andriciana, e, altresì, costituisce un unicum nella produzione dell’autore, poiché non si tratta – come per la maggior parte dei testi che Andrić dedicò a temi e personaggi simili – di un vero e proprio saggio, bensì di un romanzo. L’elemento finzionale intesse quasi la totalità del testo, basti pensare alla circostanza da cui scaturisce l’occasione narrativa: il narratore (anonimo) incontra il pittore ormai anziano, che accompagnerà il lettore con un lungo monologo.
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In Conversazione con Goya la poetica di Andrić diventa chiarissima: in equilibrio tra livello diegetico implicito ed esplicito (quello saggistico), l’autore si confronta con il tema del ritratto, che per costui riproduce una struttura fondante (e fondativa) dell’espressione artistica; la letteratura – per Andrić anzitutto arte della parola – rivela la dimensione ritrattistica a partire dal Settecento e poi con l’affermazione del realismo nell’Ottocento, divenendo un fenomeno stilistico frequentissimo. Andrić è uno degli eredi più illustri:
«Molti racconti di Andrić non sono altro che una serie maggiore o minore di quadri collegati con abilità, la cui successione non arriva mai al ritmo veloce di quadri fuggevoli come in un film: i suoi quadri sono generalmente statici e realizzati con minuzia per una visione lenta»[2].
L’analisi di Jeremić induce il quid del parallelismo tra il pittore e lo scrittore: Andrić è un ritrattista spietato come Goya[3].
Altresì, in Conversazione con Goya, il Goya di Andrić riferisce di come l’esercizio più complesso che impone l’arte del ritratto consiste nella separazione del personaggio da tutto ciò che lo circonda e lo lega agli uomini[4]; tratto, questo, che distingue l’arte del ritratto da tutte le altre: solo nel ritratto l’uomo non è raffigurato in collegamento con altri uomini. Andrić tratta della figura umana offrendo una particolarissima dimensione della scrittura di finzione attraverso l’occhio fintamente autoreferenziale del ritratto, arricchendo il taccuino visuo-spaziale della sua produzione di stilemi non propri di ogni altra arte[5]. L’autore, pertanto, completa una poetica del ritratto che comporta l’isolamento conoscitivo dal personaggio, in cui fattore determinate è quello dell’osservatore (in letteratura, il lettore). Tale caratteristica del ritratto è anzitutto eco (narrativa e/o visiva) di un’illusione o, in altri termini, di una differente concezione tra la realtà fenomenica e l’arte in sé.
Considerando la produzione di Andrić nella sua interezza, la poetica del ritratto sussume un fil rouge tematico imprescindibile ed esplicativo di quanto asserito precedentemente. Un primo esempio è quello del romanzo La signorina del 1945, che in sede critica è stato più volte definito come romanzo-ritratto[6], in cui Andrić configura l’argomento già citato dell’isolamento conoscitivo del personaggio in una realizzazione che fa della descrizione dell’aspetto dei personaggi una sua manifestazione. Ne è un nuovo esempio il racconto Mustafà del 1923: il protagonista omonimo è sin dalle prime battute caratterizzato fisicamente, in cui è esacerbata una dicotomia tra la realtà e le voci legate al personaggio. È, però, nella figura di Petar che Andrić costruisce un potente microcosmo del ritratto composto dai racconti Il tronco (1937), La coppa (1940), Nel mulino (1941), Scherzo nella locanda di Samsara (1946) e dal romanzo Il cortile maledetto (1945). In questo ciclo narrativo, sebbene Andrić descriva Petar sporadicamente, l’autore colloca nella componente figurativa del personaggio i suoi tratti caratteriali e comportamentali; ne è un esempio la mole oggettistica (e simbolica) che Andrić accosta a Petar, soprattutto nel testo del 1937 e in quello del 1940. Questo rappresenta uno dei molti segni figurativi che Andrić mutua da Goya: le parole diventano oggetti che caratterizzano il personaggio[7], scavando una voragine sia illusiva sia evocativa nel terreno del reale.
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Andrić, dunque, a partire dagli anni Trenta applica sistematicamente la tecnica del ritratto in gran parte della sua produzione. L’autore rivede e riconsidera la concezione di Goya, fabbricando una poetica del ritratto incentrata sulla concisione e la pregnanza, sull’isolamento conoscitivo, l’utilizzo di oggetti-metafora, il peso narrativo dei dettagli come metanarrazione della realtà. Conversazione con Goya è il contenitore principe di questa poetica, nonché un testo polisemico, archetipo e precursore di un genere ibrido – tra saggio e racconto – che risponde alla voce futura di Borges.
Riferimenti bibliografici
ANDRIĆ I. (1961), Zapisi o Goji, Novi Sad, Matica srpska.
JEREMIĆ M. D. (1999), Andrić i Goja, in Zbornik o Andriću, prir R. Vučković, Beograd.
VAGLIO L. (2014), L’arte del ritratto. Sulla poetica di Ivo Andrić, in Europa Orientalis (33, pp. 277-292).
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