“La maledizione della croce sulle labbra”, il medical noir di Edoardo Rosati e Danilo Arona
Tutto ha inizio in un luogo lontano, in un’isola sperduta del Sud America, ma La maledizione della croce sulle labbra è una storia profondamente mondiale e, per certi versi, italiana. Edito da Ink Edizioni, il romanzo di Edoardo Rosati e Danilo Arona è un’esplosiva corsa contro il tempo, contro un’infezione mortale che intende impossessarsi di Milano e, poi, forse, del mondo intero. A contrastare l’epidemia, ci lavora Alejandro, un infettivologo e non solo. Infatti, l’epidemia non è soltanto una questione di virus letali, ma anche di trame più fitte, più umane e, forse, ancor più pericolose.
In occasione dell’uscita di La maledizione della croce sulle labbra i due autori hanno svelato alcuni retroscena del romanzo.
È una storia surreale eppure nulla di più realistico, come nasce l’idea?
Arona –Surreale no. Perché, dal punto di vista medico, è verosimile. Al limite, la tecnica narrativa è iperrealista, credo del tutto inconsapevolmente da parte nostra, per il suo focalizzarsi a fini anche “spettacolari” (se mi è concesso) sui dettagli fisici del morbo in progressione. Su questo fronte non inventiamo niente, se si considera ad esempio l'esistenza in campo medico dell'infezione conosciuta come “fascite necrotizzante”, sui cui effetti ritengo di non dovermi dilungare in un'intervista, se non ribadendo che sono sul serio terribili ma reali. L'idea nasce, non ci si stupisca, da un tema peculiare del gotico, anche classico, nel quale l'Occidente viene attaccato da forze “aliene”, estranee, provenienti da un Altrove identificabile via via con l'Oriente tenebroso, con l'Africa nera e altri luoghi “esotici” ma pericolosi. Da Dracula al demone Pazuzu, passando per I seguaci della dea Kali, il Male è generalmente un elemento “Straniero” che contagia con la sua cultura e la sua diversità, ma pure con i suoi batteri, il civilissimo europeo o americano. Traferiamo il tutto in ambito medical e “complichiamolo” felicemente con altre tipicità del gotico (la notte, il doppio, la Metropoli infera...) ed eccoci a La Maledizione della Croce sulle Labbra, un aggiornamento contemporaneo di paure antiche su base scientifica. Che diventa una bella, si fa per dire, metafora dei nostri tempi inquieti con i migranti che bussano, e non solo, alle porte dell'Europa.
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In che misura l’indifferenza dell’Occidente incide sulla possibilità che l’incubo si impossessi di una Milano già caotica e vulnerabile di suo?
Arona– Io non parlerei di indifferenza. Nell'ipotesi narrativa che proponiamo la gente “metropolitana” è disconnessa dal reale, perché, semplificandola di molto, è connessa con l'irreale, con il virtuale, ovvero con il nulla, in una sorta di narcolessia sociale, sulla quale contano gli adoratori di Exu per sferrare il loro attacco a uno dei cuori del mondo civile. Vorrei precisare che questo romanzo è stato da noi scritto in tempi non sospetti, quando al massimo la nostra fonte ispirativa poteva limitarsi a un George A. Romero in vacanza nella metropoli lombarda, per capirci quel fantahorror con cui siamo anche cresciuti (un titolo giusto per spiegare, La città verrà distrutta all'alba). Però il tempo trascorso ha trasformato il nostro lavoro in uno scenario “possibile” per un attacco terroristico su vasta scala. Personalmente non ci credo affatto per l'assoluta difficoltà logistica e organizzativa di un'ipotesi come quella descritta, ma leggere Paola Rambaldi che termina la sua recensione scrivendo: «Ecco un genere di terrorismo a cui non avevo pensato e speriamo che i prossimi kamikaze non prendano appunti», mi induce a riflettere sulle tremende potenzialità della parola scritta. Quindi, per non sottrarmi ulteriormente alla risposta... sì, è possibile che l'apatìa dell'Occidente abbia a favorire lo sviluppo di un incubo come quello della Croce sulle Labbra. Peraltro uno dei grandi snodi della narrativa popolare che trae linfa ispirativa dalla cronaca consiste nell'abitare perennemente in una zona di confine tra il Possibile e la Realtà. Qualcuno si ricorda del terrificante attentato progettato in Black Sunday di Thomas Harris, quello del dirigibile pubblicitario imbottito di eslosivo destinato a esplodere sullo stadio di New Orleans durante la finale del Superbowl? Beh, personalmente mi fa riflettere. A volte gli autori di thriller moderno corrono il rischio di diventare i teorici dell'Isis.
Religione, politica, malavita: gli ingredienti per un cocktail letale. Quanto sono simili, in verità, i due microcosmi che si incontrano, ovvero l’isola di Guana e Milano?
Arona – Più che simili, sono complementari. E speculari. Violenza primordiale, rituale, sull'isola che diventa comunque il primo terreno di scontro tra le due culture. Violenza patologica, anch'essa rituale, nella metropoli. Il fatto è che anche su questo terreno la vince la globalizzazione. E le probematiche tendono a essere le stesse. Però, insomma, al di là di tutto quanto esposto prima sull'eventualità del terrorismo biologico, il nostro è un occhio da narratori che veicolano ipotesi “fantastiche” in grado di indurre anche alla riflessione. Poi che religione, politica e malavita siano un cocktail letale in qualsiasi contesto direi che purtroppo non ci piove. Dai Ton Ton Macoute dell'isola di Haiti, milizia paramilitare forse ufficialmente scomparsa, al fenomeno tipicamente metropolitano (e italiano) delle prostitute nigeriane schiave del voodoo, gli ingredienti della miscela possono variare e per qualità e per quantità. Sostituiamo la parola “religione” con “magia nera” e il tasso di mortalità della miscela può ulteriormente alzarsi. C'è chi ha avanzato ipotesi “occulte” anche per la strage compiuta dal picconatore Kabobo nel 2013. Non mi spingo a tanto perché non dispongo di elementi concreti per formulare giudizi. Però che tutto questo “precipiti” naturalmente in un lavoro come La maledizione della croce sulle labbra è un fenomeno del tutto naturale. Scrittori come noi saranno, sempre con autoironia, pure eredi del gotico, ma con un occhio particolare e sempre attento alla cronaca di ogni giorno.
Il mondo è in crisi, è spaventato, vede nemici ovunque, e scarica sull’islam tutti, o quasi, i mali del mondo. Sull’islam e sull’immigrazione. Eppure, leggendo il libro emerge anche un’altra componente importante: lo stile di vita estremamente globalizzato. Quanta verità c’è in questa riflessione?
Rosati – Concordo perfettamente. Lungi da noi vestire i panni dei “predicatori” spara-sermoni, ma sicuramente in quest’epoca in cui gli occhi della mente sono per certi versi accecati/cloroformizzati dagli smartphone e dalle connessioni online H24, è più facile, per le minacce reali, insinuarsi subdolamente nelle pieghe della società e aggredire la nostra quotidianità. Il mondo è ormai diventato grande quanto una biglia, eppure continuiamo a pensare che tutto ciò che sconvolge l’altra metà del pianeta (leggi, nel caso specifico: influenza suina, Sars, Ebola…) non potrà affatto scalfirci nella nostra metà apparentemente “sana”… Ma la globalizzazione ha frantumato anche i confini biologici… E le nuove, emergenti epidemie ringraziano di cuore! Nel mondo contemporaneo, un turista che abbia contratto una malattia, trasmessa per via respiratoria o da contatto, potrebbe in meno di 24 ore raggiungere qualsiasi punto del globo. Così come è plausibile che gli aerei traghettino zanzare portatrici del plasmodio della malaria e le sbarchino in Europa. O che, in un qualunque Paese europeo, gli addetti alla stabulazione degli animali da laboratorio contraggano infezioni endemiche in zone delimitate dell’Africa equatoriale, semplicemente perché gli esemplari provenienti da quelle aree sono infetti…
Alejandro Vegas lo ritroviamo impegnato a vigilare contro gli invisibili, contro i virus e le epidemie, a tratti appare come un idealista irrimediabile. C’è vero rimedio all’ipotetico laboratorio che è il mondo?
Rosati – Vegas, oltre a essere “medico detective in prima linea”, è anche un filosofo dell’infettivologia… Questa sorta di Indiana Jones della microbiologia coglie schemi, disegni, logiche impalpabili nei percorsi di un agente infettivo… Lui sa che il suo nemico invisibile è scaltro, che i microkiller con cui deve vedersela conoscono bene i talloni di Achille degli umani… Vegas sa che, proprio come noi, i virus hanno un preciso, ineludibile obiettivo: sopravvivere e riprodursi. Ma gli agenti virali son parassiti bell’e buoni e per vivere devono giocoforza schiavizzare le nostre cellule. Così vuole mamma Natura. Con conseguenze, però, potenzialmente imprevedibili… Di più: letali. Ecco perché Alejandro si danna per la cecità e l’ignoranza della politica e della burocrazia, che finiscono puntualmente per agevolare le mosse dell’Altro. Vegas è anche perfettamente consapevole del fatto che l’Uomo è il miglior… “sponsor” delle nuove pestilenze: in quel megalaboratorio, appunto, che è il mondo, le terre dove ci si ammazza e su cui piovono bombe, le terre avvelenate dai gas nervini e dall’uranio impoverito, si candidano a diventare delle straordinarie piastre di coltura capaci di sfornare chissà quali nuovi mostri… Proprio come contro i tumori, il rimedio più efficace è allora uno soltanto: tenere sempre alta la guardia…
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Alejandro e Pellegrino Vegas, scienza e religione, due facce di una stessa medaglia?
Rosati – Dove finisce la scienza comincia la religione, si dice. Ma qui non volevamo opporre meccanicamente i due fronti di pensiero. In scena ci sono due fratelli. Due anime complementari. Che si integrano nonostante i tratti caratteriali di ciascuno. Dinanzi all’emergenza sanitaria, Pellegrino – frate e… fratello di Alejandro – non si mette certo ad accampare giustificazioni trascendentali e millenarie. Anzi, coopera pienamente col fratello per cercare di tamponare l’avanzare della peste. Però, ci piaceva rimarcare questo coté religioso per amplificare il tema del fanatismo, dell’esaltazione mistica che muove il manipolo di untori provenienti dai Caraibi… Untori fondamentalisti che veicolano il ferale morbo come se diffondessero la parola di Dio… Del loro Dio, Exù, che è una divinità demoniaca… Come dire: il delirio religioso contagia corpi e semina danni alla stregua di una malattia infettiva…
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