"La figlia femmina", il rapporto malato tra una madre e una figlia
Con La figlia femmina (Fazi, 2017) esordisce nella narrativa Anna Giurickovic Dato, catanese residente a Roma, già finalista del Premio Chiara Giovani e del concorso "Io, Massenzio", collegato al Festival Internazionale delle Letterature, con altrettanti racconti: per questo suo romanzo d'esordio ha scelto di raccontare un dramma familiare oscuro e carico di ambiguità.
Silvia, la protagonista e voce narrante, ci si presenta nelle prime pagine come una madre sola ed emotivamente fragile, alle prese con i problemi che deve affrontare nella sua convivenza con Maria, l'unica figlia tredicenne con cui divide una casa a Roma, dove si è rifugiata fuggendo da un doloroso passato.
Maria è descritta come un'adolescente problematica e mentalmente disturbata: non dorme, si ferisce spesso, si muove sbattendo contro le pareti. Ha anche smesso di frequentare la scuola e trascorre le sue giornate tormentando la madre, leggendo libri inadatti alla sua età e manifestando continui e inspiegabili cambiamenti d'umore.
Dal racconto di Silvia, costruito su una serie di flashback prima di affrontare gli sviluppi del presente, apprendiamo i particolari di una vita precedente trascorsa a Rabat, la capitaledel Marocco, al seguito del marito Giorgio, padre di Maria, impegnato nella carriera diplomatica: anni che nei ricordi vengono descritti come sereni, intrisi della luce mediterranea, dei colori, dei sapori e degli aromi che Silvia si divertiva a sperimentare facendo acquisti nel suk, anche se la convivenza con il marito non era delle più facili e sulla famiglia sembravano addensarsi alcune ombre, che però Silvia si era rivelata del tutto incapace di decifrare.
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Allo stesso modo, ora che vive a Roma ed è impegnata a rifarsi un'esistenza, non è assolutamente in grado di gestire il difficilissimo rapporto con la figlia: quando si decide a farle finalmente incontrare Antonio, il suo nuovo compagno, invitandolo a pranzo, Silvia si ritrova di fronte una Maria attivamente impegnata nel cercare di sedurre il nuovo arrivato, con esiti disastrosi per tutti.
Va detto però che, nonostante la drammaticità delle situazioni, nessuno dei personaggi è in grado di suscitare empatia nel lettore: néSilvia, che sembra non capire nulla di quello che le accade intorno, e che quando ne prende coscienza ha reazioni del tutto inadeguate, né tantomeno Giorgio, condannabile per vari motivi, ma nemmeno Antonio, che ci viene descritto come tanto debole da cadere subito nella improbabile rete di seduzione tessuta da una tredicenne.
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Quanto a Maria, il ritratto che ne fa l'autrice è ben poco realistico, sia negli atteggiamenti, sia nel linguaggio, che non corrispondono assolutamente a quelli attribuibili a una ragazzina della sua età. I lunghi dialoghi tra Maria e Antonio, a proposito di libri che ben difficilmente una tredicenne sceglierebbe di leggere, anche trovandoseli davanti agli occhi nella biblioteca di casa, e che soprattutto avrebbe serie difficoltà a comprendere, sono decisamente anacronistici nel contesto della vicenda.
Ci sarebbe anche da interrogarsi sulla credibilità di alcune situazioni, dal momento cheSilvia, oltre a non prendere alcuna iniziativa per cercare di curare una figlia che lei stessa ci descrive come profondamente disturbata, può permettersi di lasciarle smettere di frequentare la scuola dell'obbligo in una città come Roma, senza che i servizi sociali intervengano per analizzare la loro situazione familiare.
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Tutta la storia, in definitiva, per quanto parta da un presupposto molto interessante, come poteva essere l'analisi dei disagi familiari e delle molestie sui minori, appare troppo poco plausibile per poter considerare La figlia femmina un romanzo davvero convincente e riuscito.
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