“La distanza” di Baronciani e Colapesce
La distanza, è tutta colpa sua, secondo Baronciani e Colapesce, autori di una graphic novel (Bao Publishing) spigliata e irriverente sui viaggi che prima o poi bisogna intraprendere, sugli affetti che all’improvvisano si fanno difficili, sulla bellezza di un’isola, i suoi segreti, sulla musica e la sua magia. Nicola è siciliano, ha quasi trent’anni, un cane che vive nel suo appartamento, una fidanzata (Carla) che vive a Londra e ha scritto una poesia che parla di lui, del cane che vive nel suo appartamento e della fidanzata che vive a Londra; è una bella poesia. Ha prenotato un volo per raggiungere Carla, le chiede «Sei felice che io venga a trovarti?», però la prega di non rispondere sinceramente, piuttosto preferisce una bugia, perché le bugie «ultimamente sono più rassicuranti». Quando l’amico Piero gli confida di non poterlo più accompagnare all’aeroporto, Nicola accetta un passaggio da Francesca, conosciuta per caso, già in viaggio con Charlotte, un’amica francese. Le ragazze si offrono di accompagnare Nicola all’aeroporto ma, prima, Nicola, Francesca e Charlotte stabiliscono di fare tappa insieme al Festival musicale di Castelbuono. Qualcosa, però, si incrina in silenzio: Carla si fa lontana, è a Londra ed è lontana, è sempre più piccola e distante.
Il tratto netto, essenziale, dell’eclettico Alessandro Baronciani (fumettista, illustratore, art director, grafico e musicista) restituisce con nitore e vezzeggiato infantilismo le sagome di tre ragazzi a ramingare tra le amenità della Sicilia, strizzando l’occhio a un topos del viaggio on the road che profuma di ribellione e meraviglia. La grossolanità simulata delle figure sbozza con candore le tavole e le riempie di colori vividi, poi pallidi, poi lugubri, poi pallidi di nuovo, a registrare una rinascita coraggiosa, nel finale sospeso. C’è un’espunzione del particolare, una censura del dettaglio fastidioso, superfluo; e in questa storia di superfluo non c’è nulla, le cose esistono nella loro forma più semplice: le cascate di Pantalica, una macchina, tre ragazzi e le granite alla mandorla. Fissati per sempre in un cloisonnisme massiccio, Nicola, Francesca e Charlotte abbozzano espressioni, gesti e sentimenti, e agiscono lentamente, quasi accennando anche le decisioni, i pensieri, come cullati da quella grande amaca adolescenziale che ancora li protegge dal mondo, dal dolore, dall’adultità, dalla distanza; ma ancora per poco.
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L’asimmetria delle tavole, che lascia esondare i disegni da una pagina all’altra, è accompagnata dalla voce piccata del cantautore Colapesce (nato Lorenzo Urcillo): dialoghi taglienti e ironici rivelano la cultura underground, la passione per la musica e regalano, a volte, aneddoti curiosi e interessanti, come quello della casa rotante di Annunzio Lagomarsini, costruita su un congegno di binari e rampe semovibili che può sollevarla fino a rendere visibile il mare. Forse retoricamente, Colapesce osserva quanto il tempo incalzi il momento presente, renda frenetici gli scambi interpersonali, i desideri di possesso, le aspettative: «Adesso se lasci il telefono in bagno mezza giornata puoi mettere in crisi un rapporto»; i social network, eccoci. È dal geotag di Facebook che Carla scopre che Nicola è a Marzemi, non a Punta Raisi; e rincara: «sono due giorni che provo a chiamarti. Ti mando messaggi e non mi rispondi…». È come se la generazione di Colapesce e quella di Nicola «non accettasse nessuna forma di attesa, nessun medio-lungo termine, e di pause meno ce ne sono, meglio è». C’è affettazione nella riflessione sulla pausa come essenza della vita stessa, come momento fondante della musica ma, di nuovo, Colapesce ci offre una piccola perla, ci racconta che «The colour of spring (il primo brano dell’unico disco solista del cantante dei Talk Talk, Mark Hollis) parte dopo venti secondi di silenzio».
La ruvidezza del dialetto siciliano restituisce una patina di valore a una cultura affascinante, quella della Sicilia lontana dai pregiudizi e dai luoghi comuni, quella su cui si muovono Nicola, Francesca e Charlotte a stento riconoscendo i loro passi, giovani confusi e timorosi, impauriti dall’unica cosa che, secondo Baronciani e Colapesce, rende insopportabile il discrimine tra ciò che vogliamo e ciò che è reale: La distanza.
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